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Reato associativo: quando fornire droga non basta

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare per il reato associativo finalizzato al traffico di droga, specificando che la semplice fornitura, anche ripetuta, di sostanze stupefacenti a un gruppo criminale non è sufficiente a dimostrare la stabile appartenenza dell’individuo al sodalizio. L’ordinanza è stata invece confermata per i singoli episodi di spaccio, evidenziando la necessità di provare un vincolo durevole e una cosciente partecipazione agli scopi dell’associazione.

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Pubblicato il 16 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Associativo: La Cassazione Annulla la Custodia Cautelare per Mancanza di Prova

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sulla distinzione tra la partecipazione a un’associazione a delinquere e la semplice commissione di reati-fine, come lo spaccio di droga. Il caso in esame ha messo in luce come la prova del reato associativo richieda elementi ben più solidi della mera fornitura di sostanze stupefacenti a un gruppo criminale. Per i giudici, è necessario dimostrare l’esistenza di un vincolo stabile e la volontà di contribuire al mantenimento e agli scopi del sodalizio.

Il Caso in Esame: Dallo Spaccio alla Presunta Associazione

Un individuo veniva sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere sulla base di due principali accuse: la partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (ai sensi dell’art. 74 d.P.R. 309/1990) e due specifici episodi di cessione di droga (ai sensi dell’art. 73 dello stesso decreto). Il Tribunale del riesame aveva confermato l’ordinanza, ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza per entrambi i capi d’imputazione. L’indagato, tramite il suo difensore, ha quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazione, contestando la validità del provvedimento restrittivo.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha sollevato diverse questioni, tra cui:

1. Mancata valutazione autonoma: Si contestava al giudice delle indagini preliminari di non aver valutato autonomamente gli indizi, limitandosi a riprodurre la richiesta del Pubblico Ministero.
2. Inutilizzabilità delle intercettazioni: Veniva eccepita l’illegittimità delle intercettazioni telefoniche per difetto di motivazione sulla loro indispensabilità.
3. Errata identificazione: Si metteva in dubbio l’identificazione dell’indagato come interlocutore in una conversazione chiave.
4. Insussistenza del reato associativo: Il motivo principale del ricorso verteva sulla mancanza di prove sufficienti a dimostrare la partecipazione stabile dell’indagato all’associazione criminale. Secondo la difesa, gli elementi raccolti provavano al massimo singoli episodi di spaccio, ma non un’adesione permanente al sodalizio.

La Decisione della Corte: La Distinzione nel Reato Associativo

La Corte di Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata limitatamente al reato associativo (capo 93) e rinviando la questione a un nuovo esame del Tribunale. Ha invece rigettato il ricorso per quanto riguarda i singoli episodi di cessione di droga (capo 119), per i quali la misura cautelare resta in vigore.

Le motivazioni della sentenza

La Corte ha ritenuto infondati i motivi procedurali. Ha giudicato sufficiente la valutazione del giudice e inammissibile l’eccezione sulle intercettazioni, poiché la difesa non aveva allegato il decreto autorizzativo necessario per la valutazione. Anche l’identificazione dell’indagato è stata considerata supportata da una pluralità di elementi convergenti.

Il punto cruciale della decisione riguarda però il reato associativo. Secondo i giudici supremi, gli elementi valorizzati dal Tribunale del riesame – ovvero le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia e le risultanze delle intercettazioni – non erano sufficienti a provare un contributo stabile e consapevole al gruppo. Le prove dimostravano che l’indagato era una persona che forniva stabilmente sostanze stupefacenti ad alcuni membri dell’associazione, ma questo, da solo, non basta.

La Cassazione ha spiegato che, per configurare la partecipazione a un’associazione, non è sufficiente essere un fornitore abituale. È indispensabile la prova (anche indiziaria) di un vincolo durevole che accomuna il fornitore agli acquirenti, basato sulla coscienza e volontà di far parte dell’associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune. Nel caso di specie, gli elementi raccolti delineavano un contesto di cessione e acquisto di droga, anche con pagamenti dilazionati, ma non comprovavano l’esistenza di un patto reciprocamente vincolante e di un’offerta di contribuzione permanente che costituisce l’essenza del reato associativo.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce un principio fondamentale: la condotta di chi vende droga, anche in modo continuativo, a membri di un’associazione criminale non si traduce automaticamente in una partecipazione all’associazione stessa. Per affermare la responsabilità per il più grave reato associativo, l’accusa deve dimostrare che il fornitore ha aderito stabilmente al sodalizio, condividendone gli scopi e offrendo un contributo consapevole e permanente alla sua operatività. La decisione comporta l’annullamento con rinvio, obbligando il Tribunale a una nuova e più rigorosa valutazione degli indizi, distinguendo nettamente le prove relative ai singoli episodi di spaccio da quelle necessarie per sostenere l’accusa di partecipazione al sodalizio criminale.

Essere un fornitore abituale di droga per un’associazione criminale è sufficiente per essere considerati parte dell’associazione stessa?
No. La sentenza chiarisce che la fornitura stabile di stupefacenti, di per sé, non è sufficiente. È indispensabile provare l’esistenza di un vincolo durevole e la coscienza e volontà di far parte dell’associazione, contribuendo al suo mantenimento e al raggiungimento dei suoi scopi.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza solo per il reato associativo e non per i singoli episodi di spaccio?
Perché, secondo la Corte, le prove raccolte (intercettazioni e messaggi) erano sufficienti a dimostrare i singoli episodi di cessione di droga, ma non a provare l’esistenza di un patto stabile e di un’adesione permanente dell’indagato all’associazione criminale, elementi necessari per configurare il reato associativo.

Quali elementi sono necessari per provare la partecipazione a un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga?
Sono necessari elementi fattuali idonei a comprovare l’esistenza di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un’offerta di contribuzione permanente tra l’individuo e l’associazione. Bisogna dimostrare una stabile adesione al sodalizio criminale, al suo ruolo e al suo contributo all’operatività del gruppo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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