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Reato associativo: prova e misure cautelari

Un soggetto, posto agli arresti domiciliari per traffico di droga e reato associativo, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando l’assenza di gravi indizi per il reato associativo e l’inadeguatezza della misura. La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che per le misure cautelari è sufficiente una qualificata probabilità di colpevolezza e non una prova piena. Inoltre, ha confermato la validità della presunzione legale di pericolosità per chi è indagato per reato associativo finalizzato al traffico di stupefacenti.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato associativo: quando gli indizi bastano per la misura cautelare?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14310 del 2024, torna a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: i presupposti per l’applicazione di misure cautelari in caso di reato associativo finalizzato al traffico di stupefacenti. La decisione offre importanti chiarimenti sulla distinzione tra i ‘gravi indizi di colpevolezza’ richiesti in fase cautelare e la prova piena necessaria per una condanna, nonché sulla potente presunzione di pericolosità che accompagna tali accuse.

I fatti del processo

Il caso ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Bari che, in sede di riesame, confermava la misura degli arresti domiciliari a carico di un soggetto indagato per partecipazione a un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/1990) e per singoli episodi di spaccio (art. 73 D.P.R. 309/1990).

L’indagato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione basato su tre motivi principali:
1. Carenza di gravi indizi: Si sosteneva che gli elementi raccolti (contatti telefonici e un singolo episodio di ritiro di stupefacenti) non fossero sufficienti a dimostrare una partecipazione stabile e consapevole al sodalizio criminale.
2. Mancanza di esigenze cautelari: La difesa riteneva incongrua la motivazione sulla pericolosità sociale, evidenziando il carattere occasionale dell’episodio contestato.
3. Inadeguatezza della misura: Si lamentava una motivazione carente sulla scelta degli arresti domiciliari rispetto a misure meno afflittive.

La decisione della Cassazione sul reato associativo

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure mosse dalla difesa. I giudici hanno colto l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali in materia di misure cautelari.

In primo luogo, è stato chiarito che il ricorso per cassazione contro provvedimenti cautelari è ammissibile solo per violazioni di legge o per vizi di motivazione manifestamente illogici, non per sollecitare una nuova e diversa valutazione dei fatti, che è di competenza esclusiva dei giudici di merito.

Le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive. Sul primo motivo, relativo alla sussistenza dei gravi indizi per il reato associativo, i giudici hanno ricordato che in fase cautelare non si richiede la prova ‘oltre ogni ragionevole dubbio’, ma una ‘qualificata probabilità di colpevolezza’. Il Tribunale aveva correttamente evidenziato, con motivazione logica e coerente, come le intercettazioni e le altre risultanze investigative dimostrassero un ruolo stabile e professionale dell’indagato all’interno del gruppo, quale venditore all’ingrosso con contatti costanti e collaudati. La partecipazione a un’associazione, hanno specificato gli Ermellini, non richiede un’investitura formale, ma un contributo funzionale e consapevole all’esistenza e al rafforzamento del gruppo, e non è esclusa neppure dal coinvolgimento in un singolo episodio, se questo avviene sfruttando la struttura dell’organizzazione.

Per quanto riguarda il secondo e terzo motivo, la Corte ha sottolineato l’importanza dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari per reati di particolare allarme sociale, tra cui proprio il reato associativo finalizzato al narcotraffico. Ciò significa che la pericolosità dell’indagato si presume, e spetta a lui fornire elementi concreti per vincere tale presunzione. Nel caso di specie, non solo la difesa non aveva fornito tale prova contraria, ma il Tribunale aveva ulteriormente rafforzato la valutazione di pericolosità citando la serialità degli episodi, la professionalità criminale, i precedenti specifici e persino una successiva sentenza di patteggiamento per fatti analoghi. Di conseguenza, anche la scelta degli arresti domiciliari è stata ritenuta adeguatamente motivata e proporzionata.

Le conclusioni

La sentenza in commento consolida l’orientamento giurisprudenziale in materia di misure cautelari per reati gravi. Emerge con chiarezza che:
1. La valutazione dei ‘gravi indizi di colpevolezza’ in fase cautelare risponde a un criterio di elevata probabilità, distinto da quello della certezza processuale richiesta per la condanna.
2. Per il reato associativo finalizzato al traffico di stupefacenti opera una forte presunzione di pericolosità sociale, che inverte l’onere della prova a carico dell’indagato.
3. Le censure proposte in Cassazione non possono mirare a una rilettura dei fatti, ma devono limitarsi a denunciare vizi di legittimità, come la violazione di legge o una motivazione palesemente illogica.

Per applicare una misura cautelare per reato associativo, è necessaria la prova certa della colpevolezza?
No, la legge richiede la sussistenza di ‘gravi indizi di colpevolezza’, ossia elementi che rendano la responsabilità dell’indagato altamente probabile e fondata su una base concreta, ma non è necessaria la prova ‘oltre ogni ragionevole dubbio’ richiesta per una sentenza di condanna.

La partecipazione a un solo episodio criminoso esclude la configurabilità del reato associativo?
No. Secondo la Corte, il coinvolgimento anche in un solo episodio criminoso non è di per sé incompatibile con la partecipazione a un’associazione, qualora l’agente si sia consapevolmente avvalso della struttura organizzata per commettere il fatto, dimostrando così di farne parte.

Perché per il reato associativo finalizzato al traffico di droga si presume la necessità di una misura cautelare?
Perché l’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, data la particolare gravità del reato, stabilisce una presunzione relativa sia della sussistenza delle esigenze cautelari (pericolo di reiterazione del reato), sia dell’adeguatezza della custodia in carcere. Spetta all’indagato fornire elementi specifici per dimostrare il contrario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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