Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35953 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35953 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a PLATI’ il DATA_NASCITA NOME COGNOME nato a LOCRI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a PLATI’ il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/12/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; uditi:
il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi relativi al trattamento sanzionatorio e la dichiarazione di inammissibilità dei restanti motivi;
gli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori di COGNOME NOME, gli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori di COGNOME NOME, e l’AVV_NOTAIOto NOME COGNOME, difensore di NOME, che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 13/12/2024 la Corte di appello di Milano, decidendo in sede di rinvio, a seguito dell’annullamento da parte della Corte di cassazione della
sentenza della Corte d’appello di Milano in data 17/10/23 limitatamente alle posizioni di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con esclusivo riferimento al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90 (contestato al capo 1 dell’imputazione), in parziale riforma della sentenza dei GIP di Milano in data 7/10/2022, ritenuto per COGNOME il ruolo di partecipe, concesse al medesimo le attenuanti generiche, equivalenti rispetto all’aggravante di cui al comma 4 dell’art. 74 d. P.R. 309/90, ha rideterminato la pena inflitta al predetto in anni 10 di reclusione confermando “la sentenza impugnata con riferimento a COGNOME NOME (pena inflitta per il solo capo 1 pari ad anni 16 di reclusione) e a COGNOME NOME (pena inflitta per il solo capo 1 pari ad anni 8 di reclusione)”.
Avverso la sentenza, i predetti imputati hanno proposto, per il tramite dei difensori, ricorso per Cassazione, articolando i motivi di seguito sintetizzati.
Il ricorso proposto da COGNOME NOME, a firma dell’AVV_NOTAIO, con il primo motivo, denuncia la violazione dell’art. 74 d.P.R. 309/90 “in combinato disposto con l’art. 627 c.p.p. e art. 125 c.p.p. ed art. 546 lett. e) c.p.p.”. aggiunge che “la sentenza è carente di logica motivazione sul punto”.
Il ricorso assume che la sentenza di annullamento aveva demandato al giudice del rinvio di valutare se “il rapporto di fornitura di COGNOME protrattosi nel tempo, sua disponibilità a sostituire i COGNOME nei momenti in cui gli stessi si trovavano, per ragioni di emergenza pandemica, impossibilitati a raggiungere la Città di Milano, avesse o meno assunto quel carattere di reciproco affidamento nell’ottica del perseguimento degli obiettivi associativi al fine di stabilire se vi fosse stato meno un mutamento nel rapporto tra fornitore ed acquirente …”.
Si sostiene che la Corte territoriale aveva valorizzato a tal fine la collaborazione prestata, nella vicenda contestata al capo 14) dell’imputazione, da NOME in favore di COGNOME NOME quando questi era stato costretto a lasciare Milano e a tornare in Calabria.
Il mutamento del rapporto, tuttavia, secondo il ricorrente, non tiene conto di una serie di circostanze, relative al periodo precedente al marzo 2020, che provavano che NOME era solo “un cliente abituale indebitato” dei COGNOME. Si segnala a tal fine che:
al fg. 22 della sentenza del GIP, in relazione al capo 12), si attribuisce a NOME solo il ruolo di acquirente e rivenditore della droga;
al fg. 77 della sentenza del GIP, COGNOME risulta un cliente abituale indebitato; nelle cessioni di questo periodo non viene contestato l’art. 73 comma 6 d.P.R. “per la mancanza di soggetti diversi dai due direttamente interessati”.
Si richiama ancora l’attenzione sulla vicenda di ,cui al capo 5), relativa alla cessione di 50 gr. di cocaina da COGNOME a COGNOME per assumere che il tenore del
dialogo intercettato valorizzato dai giudici di merito non era compatibile con l’esistenza di vincolo associativo.
Si deduce, poi:
l’irrilevanza dell’ammanco di poche decine di euro rivelato dal messaggio del 6/4/2020, risultando significativo che NOME non tratteneva alcun importo;
l’irrilevanza della cessione di cui al capo 15), in cui NOME figura solo come stabile acquirente;
l’irrilevanza dell’episodio del 9/6/2020 in quanto NOME non risulta imputato per la cessione nonostante la riscossione di € 12.500,00 provenienti dai Ca n nata;
l’irrilevanza dell’episodio del 25/6/2020, laddove l’informazione fornita da COGNOME NOME a NOME in ordine alla non ottima qualità della droga poteva essere ricondotta all’ipotesi del concorso.
Si segnala ancora che:
NOME e NOMENOME” avevano differenti canali di fornitura;
a NOME era stato vietato “NOME‘interlocutore del NOME, di avere contatti con i soggetti incaricati della cessione e del ritiro del denaro”;
NOMEe intercettazioni del 20/3/2020 emergono “pressioni minacciose, intimidatorie da parte del COGNOME nei confronti del NOME“;
“nessun tipo di vantaggio economico veniva attribuito a NOME nelle rispettive forniture”;
la sentenza ha dato rilievo al coinvolgimento dell’associazione delle consorti di NOME e COGNOME NOME, pur “prendendo atto della sentenza del GUP che in separato procedimento ha assolto” le due donne NOMEe accuse di far parte dell’associazione.
2.1 Con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 74 d.P.R. 309/90 “in considerazione del comma 1 riconosciuto alla figura di COGNOME NOME, in combinato disposto con l’art. 125 c.p.p e 546 lett. c) c.p.p.”.
Si deduce che, a pag. 28 della sentenza, la Corte d’appello ha richiamato integralmente la sentenza del GIP senza considerare però che il giudice di primo grado aveva ritenuto che l’associazione era stata costituita nel 2019 mentre nella sentenza impugnata “la presenza del COGNOME nel ruolo di partecipe viene collocata a marzo del 2020″.
2.2 Con il terzo motivo di impugnazione, si contesta” la violazione dell’art. 74 d.P.R. 309/90 in relazione alla sussistenza dell’aggravante di cui al comma 4, in combinato disposto con l’art. 125 c.p.p. e 546 lett. e) ( art. 606 lett. c) ed e c.p.p.)”.
Si assume che l’integrazione dell’aggravante era stata desunta da una conversazione fra NOME e NOME “dove si fa riferimento a delle
armi ma dove non vi è alcun collegamento con il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90″.
Si aggiunge che la non riferibilità delle armi al ricorrente trova riscontro nel fatto che l’aggravante non era stata applicata a NOME.
2.3 Con il quarto motivo, si denuncia “la violazione dell’art. 62 bis. cod. pen. in combinato disposto con l’art. 125 c.p.p. e 546 lett. e c.p.p (art. 606 lett. c) ed e) c.p.p.”. Si lamenta che:
in relazione al reato associativo la riconoscibilità delle attenuanti generiche era ancora sub iudice, essendo passato in giudicato il diniego della circostanza in relazione ai reati fine;
la decisione sul punto del GIP vedeva l’associazione costituita nel novembre 2019 mentre quella della Corte territoriale collocava il mutamento del rapporto con NOME nel marzo 2020;
le dichiarazioni rilasciate da COGNOME NOME nel corso del giudizio di appello non rappresentavano la mera riproposizione di quanto dichiarato in precedenza in quanto “tendono ad affrontare il tema confessorio rispetto alle proprie condotte di carattere illecito, ma anche a esprimere una valutazione dei rapporti con NOME attraverso un richiamo specifico ad una serie di intercettazioni”.
Il ricorso a firma degli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME proposto nell’interesse di COGNOME NOME si articola nei seguenti motivi.
Con il primo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 74 d.P.R. 309/90 “nonché difetto o comunque manifesta illogicità della motivazione sulla individùazione dei presupposti di tale fattispecie incriminatrice” nonché l’ “errata percezione delle risultanze processuali e travisamento dei dati probatori”.
Si assume che, pur volendo assegnare a COGNOME il ruolo di partecipe, difetterebbe comunque per l’integrazione del reato associativo il numero minimo dei partecipanti, non risultando intraneo all’associazione RAGIONE_SOCIALE.
Si lamenta che la Corte territoriale non aveva tenuto conto dell’assoluzione disposta dal GUP del Tribunale di Milano con la sentenza del 26/10/2023, depositata il 16/11/2023, divenuta irrevocabile al momento del deposito nel giudizio di rinvio, che aveva assolto COGNOME NOME dai reati di cui ai capi 5),8),12) dell’imputazione, e COGNOME NOME e COGNOME NOME, mogli rispettivamente di COGNOME NOME e COGNOME NOME, dal reato associativo, per cui non era spiegabile il riferimento “ai COGNOME” che la Corte territoriale aveva fatto in relazione a reat per i quali NOME era stato mandato assolto o non era stato neanche imputato (capi 14), 15) e 21).
Si sostiene, quindi, che NOME non era mai “rimasto coinvolto ad alcun titolo nei traffici del padre con NOME“.
3.1 Con il secondo motivo si denuncia la violazione “dell’ad 238 bis c.p.p., nonché, comunque, mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla omessa o comunque arbitraria valutazione dell’esito della sentenza emessa dal GUP in data 26.10.2023 nel parallelo procedimento che vedeva imputate COGNOME NOME e COGNOME NOME NOME‘imputazione associativa oggetto anche del presente procedimento; nonché COGNOME NOME dai reati di cui ai capi 5, 8 e 12″.
Si lamenta che la Corte territoriale si era discostata da tale pronuncia senza fornirne adeguata spiegazione.
3.2 Con il terzo motivo, si denuncia “il difetto assolto di motivazione, o comunque contraddittorietà e manifesta illogicità della stessa, in relazione alla riconosciuta aggravante di cui al comma 4 dell’ad. 74 d.P.R. 309/90”.
Si deduce che i motivi di appello avevano contestato l’integrazione dell’aggravante (secondo e quarto motivo dell’appello dell’AVV_NOTAIO; secondo e terzo motivo dell’appello dell’AVV_NOTAIO) solo che la sentenza annullata non aveva dato rilievo a tali argomenti avendo ritenuto non sussistente la consorteria criminale.
3.3 Con ultimo motivo, si deduce la “violazione di legge ai sensi dell’ad. 606 lett. b) c.p.p., in relazione all’ad. 81 cpv c.p., nonché mancanza o comunque manifesta illogicità della motivazione, per non avere la sentenza impugnata deliberato sull’applicazione della continuazione tra il reato associativo e i reati satellite”. Si deduce che la sentenza impugnata, “nel riconoscere la responsabilità degli imputati per il più grave reato associativo, ha ritenuto di dover riservare alla fase esecutiva l’applicazione della continuazione con i reati satellite, in quanto apparirebbe inopportuno intervenire, attraverso una sentenza ancora soggetta ad impugnazione, sulla pena relativa ai reati satellite già in corso di esecuzione”. Si lamenta, quindi, che tale motivazione integrava “un vizio in iudicando, tanto più che la conferma della pronuncia di condanna disposta in primo grado, ne fa rivivere anche le connesse deliberazioni, prima fra tutte il riconoscimento della continuazione tra tutti i reati, sulla quale la Corte di rinvio non avrebbe potuto esimersi dal pronunciare”.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione NOME NOME che, con il primo motivo, denuncia la violazione di legge sostanziale e il vizio di motivazione in relazione all’ad. 74 d.P.R. 309/90 nonché la violazione dell’ad. 627 cod. proc. pen. non essendosi il giudice del rinvio “uniformato” alla sentenza rescindente. Si rileva, quindi, che con memoria difensiva del 29/11/2024 si era rappresentato che:
NOME aveva avuto rapporti solo con NOME mentre con riferimento a NOME non sussisteva “alcun rapporto tale da giustificare l’affectio societatis;
i COGNOME, quando si erano ritirati a Platsi per il lockdown, non si erano avvalsi di NOME per rifornire COGNOME NOME, tant’è vero che la cessione contestata al capo 5) aveva avuto . carattere eccezionale, come confermato NOME‘interrogatorio di COGNOME del 4/3/2022, che aveva sostenuto di aver incontrato una sola volta NOME, e NOMEe intercettazioni (nn. 1176 e 1185 del 5/4/2020);
il coimputato COGNOME NOME, nel corso dell’incidente probatorio, aveva dichiarato di non aver avuto mai alcun contatto con NOME;
i fatti di cui al capo 20) non hanno alcun legame con l’associazione;
NOME non era stato coinvolto nel delitto di cui al capo 24), per il quale, peraltro, era intervenuta una sentenza assolutoria;
NOME pagava gli interessi sui debiti contratti con NOME COGNOME;
non vi era alcuna prova della “composizione della vicenda debitoria” fra NOME e COGNOME NOME che si assume essere intervenuta durante il periodo natalizio;
NOMEe intercettazioni era emerso che i reati fine avevano avuto a oggetto droga di scarsa qualità e tale risultanza riverberava i suoi effetti “sul concetto di organizzazione”;
la presenza del COGNOME è circoscritta nel tempo e limitata nei luoghi;
COGNOME e COGNOME erano clienti personali di COGNOME;
non vi era prova che il suggerimento di NOME a NOME di recarsi in Calabria per acquistare droga facesse riferimento alle fonti di approvvigionamento dei COGNOME;
nelle telefonate intercettate NOME aveva avuto quale esclusivo interlocutore NOME NOME;
come rivelato dal capo 17), COGNOME NOME non costituiva l’unico canale di approvvigionamento di NOME;
nel periodo luglio-settembre 2020, quando era rimasto in Calabria, COGNOME non aveva fornito alcun contributo al sodalizio, tant’è che quando COGNOME gli aveva chiesto di vendergli droga, gli aveva proposto di recarsi in Calabria non indicando quale possibile fonte di approvvigionamento i COGNOME;
“l’incontro da NOME, avvenuto in relazione al capo 17)”, non vide coinvolti i NOME;
COGNOME, nel mese di luglio 2020, in assenza di NOME, per approvvigionarsi di droga si era rivolto a NOME COGNOME;
da un’intercettazione riportata a pag. 2229 dell’informativa finale emergeva che NOME poteva anche non rendersi disponibile all’acquisito della droga che veniva lui offerta da NOME COGNOME.
A fronte di tali elementi, la Corte territoriale aveva giustificato la condanna in relazione al reato associativo sostenendo che nel corso del tempo il ruolo di NOME si era trasformato divenendo l’imputato “da mero acquirente a collaboratore e persona di fiducia dei COGNOME” e individuando nella vicenda contestata al capo 14) l’evento rivelatore di un tale cambiamento, senza considerare che all’operazione relativa ai due chilogrammi di cocaina era rimasto estraneo NOME COGNOME.
In relazione al capo 5) dell’imputazione, altra operazione ritenuta NOMEa Corte territoriale indicativa del mutamento del ruolo svolto da NOME, si sottolinea che NOME COGNOME era stato mandato assolto mentre il riferimento “a tale NOME, contenuto nel progressivo 2613 del 24/4/2020, al quale il trasportatore avrebbe dovuto consegnare una somma di denaro, non è dimostrativo di una condivisione di interessi associativi”. E, anzi, l’espressione “il resto li consegnate nelle mani di NOME che me li porta” che si rinviene nella trascrizione milita, secondo il ricorrente, contro l’ipotesi associativa.
In relazione al capo 15), ulteriore vicenda valorizzata nella sentenza impugnata, si sostiene che l’essersi recato NOME da NOME per riscuotere il prezzo dello stupefacente pagato dai COGNOME costituiva un elemento postumo che “nulla dimostra”.
In relazione al capo 21), l’ultima delle operazioni analizzate NOMEa sentenza, viene nuovamente sottolineato che la condivisione di informazioni circa la qualità dello stupefacente fra COGNOME NOME e NOME non aveva visto il coinvolgimento di NOME COGNOME.
Era, poi, priva di fondamento, secondo la difesa, l’affermazione della Corte territoriale secondo cui COGNOME aveva invitato COGNOME a raggiungerlo in Calabria per rifornirsi di droga in quanto voleva cedergli la cocaina reperita dai COGNOME, risultando tale conclusione fondata su un ragionamento probatorio inaccettabile, ossia che non essendovi prova che in Calabria NOME avesse contatti con altri narcotrafficanti, gli unici che potevano rifornire di droga COGNOME erano i COGNOME.
4.1 Con secondo motivo, si denuncia la violazione di legge sostanziale in relazione agli “artt. 597 comma 2 lett. a) cod. proc. pen. e 74 comma 4 d.P.R. 309/90” lamentando che l’aggravante dell’associazione armata era stata applicata anche nei confronti di NOME nonostante il GIP l’avesse esclusa e il punto della sentenza non fosse stato impugnato dal PM.
4.2 Con ulteriore motivo, si denuncia l’inosservanza di legge processuale in relazione agli “artt. 125 comma 3 cod. proc. pen. e 62 bis e 133 cod. pen.” nonché il vizio di motivazione in relazione al disconoscimento delle attenuanti generiche.
Si lamenta che l’attenuante era stata esclusa sostenendo che essendo stata negata in relazione ai reati fine con sentenza passata in giudicato non poteva essere riconosciuta in relazione al più grave reato associativo. Si assume che tale motivazione era apparente in quanto la Corte non si era confrontata con “le
numerose argomentazioni difensive spiegate nell’atto di appello a cui si rinvia come parte integrante”.
4.3 Si lamenta, infine, la violazione di legge sostanziale e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione fra i reati fine e quello associativo. Si rappresenta che la sentenza appellata aveva riconosciuto un tale vincolo e che i difensori avevano chiesto in sede di conclusioni l’unificazione per cui la Corte territoriale, avendo riservato al giudice dell’esecuzione l’applicazione dell’art. 81 cod. pen., aveva in definitiva applicato una pena di 13 anni e 8 mesi di reclusione a fronte di una pena irrogata dal GIP di 8 anni, 8 mesi e 20 giorni.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso ‘NOME, articolando i seguenti motivi.
5.1 Con il primo motivo, si denuncia il vizio di motivazione in relazione all’art. 74 D.P.R. n. 309/90. Si lamenta che il giudice di rinvio ha fatto proprie le valutazioni anche in punto di fatto della sentenza rescindente senza fornire una compiuta motivazione che giustifichi le conclusioni cui è pervenuto.
5.2 Con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 74 d. P.R. 309/90 e il vizio di motivazione in ordine “agli elementi indicativi dell’associazione ex art. 74 D.P.R. n. 309/90 desumibili dal capo 14 di imputazione”.
Si rileva che l’episodio delittuoso di cui al capo 14) era stato ritenuto decisivo ai fini dell’integrazione del reato associativo in quanto disvelava l’adesione di NOME al programma criminoso associativo. La Corte territoriale, infatti, dopo aver analizzato il reato di cui al capo 12) rilevando che NOME era un acquirente abituale cag dei COGNOME, aveva rilevato che nella vicendaial capo 14) NOME aveva consentito e ai COGNOME di approvvigionarsi di due chilogrammi di cocaina procurando il denaro, recapitandolo al fornitore e ritirando lo stupefacente. La motivazione, però, secondo la difesa, non si confronta con il motivo di appello che aveva dato una differente interpretazione della vicenda che vedeva i COGNOME interessati all’acquisto della droga e NOME che si rivolge ad NOME COGNOME per reperire la sostanza. Tale lettura appare coerente con le cautelkadottate sia da COGNOME NOME, che aveva dato a NOME istruzioni per il pagamento del prezzo e il ritiro dello stupefacente tali che avrebbero impedito a questi di vedere e identificare la controparte, che NOMEo stesso NOME, che aveva taciuto a NOME che NOME e NOME COGNOME sarebbero stati presenti sul posto e avrebbero immediatamente ritirato la droga.
Si lamenta, quindi, che la Corte territoriale aveva interpretato tale vicenda in chiave associativa, benché non fosse in alcun modo coinvolto NOME COGNOME, Tichiamando valutazioni riportate nella sentenza rescindente senza procedere a una autonoma valutazione dell’operazione come sarebbe stato suo obbligo e senza
confrontarsi con le motivazioni della prima sentenza di appello che era pervenuta a conclusioni opposte.
5.3 Con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 74 d.P.R. 309/90 e il vizio di motivazione “in ordine agli elementi indicativi dell’associazione ex art. 74 D.P.R. n. 309/90 desumibili dal capo 5 di imputazione”.
Il motivo, dopo aver rilevato che nessun addebito era stato mosso a NOME COGNOME per tale cessione, essendo stato a suo carico solo ipotizzato, valorizzando la frase “passa il ragazzo da te” proferita nel corso di una telefonata intercettata, che potesse essersi incontrato con NOME per ritirare il denaro, si sofferma sull’espressione “scusa se rompo” per desumere che si era in presenza di “una richiesta di un favore” e non di un vincolo associativo. Si sottolinea che in tal senso si era espressa la prima Corte di appello e si lamenta che la sentenza impugnata era pervenuta a conclusioni opposte limitandosi a fare proprie le valutazioni del GIP senza però confrontarsi con gli argomenti della prima sentenza di appello.
5.4 Con il quarto motivo, si denuncia la violazione di legge penale e il vizio di motivazione “in ordine agli elementi indicativi dell’associazione ex art. 74 D.P.R. n. 309/90 desumibili dal capo 21) di imputazione”.
Si premette che: in relazione al predetto capo era stato ritenuto indice della sussistenza dell’associazione l’aver COGNOME NOME informato COGNOME della scadente qualità della droga che gli era stata ceduta; era stato ritenuto che quando COGNOME aveva proposto a COGNOME e a COGNOME, suoi clienti abituali, di raggiungerlo in Calabria per approvvigionarsi, volesse in realtà vendere loro la droga dei COGNOME, non essendo emerso che COGNOME disponesse in Calabria di altri fornitori.
Si deduce quindi che:
l’informazione era spiegabile con il rapporto consolidato intercorrente fra NOME e NOME;
non era esplicitata la ragione per la quale la Corte territoriale utilizzasse la locuzione “i COGNOME” così accomunando NOME e NOME COGNOME nei rapporti con NOME, quando quest’ultimo aveva avuto contatti solo con NOME, eccezion fatta per quel riferimento “passa il ragazzo” già esaminato al motivo precedente;
il processo inferenziale secondo cui NOME voleva “presuntivamente” vendere ai suoi clienti abituali la droga dei COGNOME in quanto non era v 4mersi suoi contatti con ambienti del narcotraffico in Calabria non era compatibile con i principi del processo penale.
5.5 Con il quinto motivo, si denuncia la violazione di legge penale e il vizio di motivazione in relazione all’art. 74 d.P.R. 309/90 in ordine agli elementi indicativi dell’associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309/90.
Si deduce che la sentenza impugnata aveva, in primo luogo, tentato di coinvolgere nell’associazione NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME, e NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME, nonostante con sentenza divenuta
irrevocabile le due donne fossero state mandate assolte dal reato associativo. Viene, quindi, equiparata la posizione di COGNOME a quella di COGNOME per sostenere che, come la moglie di NOME, anche NOME aveva concorso con NOME COGNOME nella commissione di alcuni reati di spaccio ma non per questo poteva essere a lui addebitato di aver fornito un contributo al sodalizio.
Si assume, ancora, che della riunione chiarificatrice svoltasi nel dicembre 2019 a Platì, che avrebbe appianato i contrasti fra” i COGNOME” e NOME, non vi era traccia alcuna nel compendio probatorio.
5.6 Con il sesto motivo, si denuncia la violazione di legge penale e il deficit motivazionale in relazione all’art. 74 d.P.R. citato in riferimento agli elementi costitutivi dell’associazione.
Viene quindi ribadito che: NOME aveva avuto rapporti solo con NOME COGNOME e non erano stati forniti argomenti in grado di superare quelli assolutori svolti nella sentenza annullata; COGNOME era stata assolta dal reato associativo; COGNOME risultava aver avuto un solo contatto con NOME COGNOME.
Si deduce ancora che la Corte territoriale non aveva chiarito se i beni nella disponibilità ‘degli imputati costituissero “corredo necessario del pactum sceleris” e non aveva precisato perché la ripetuta commissione dei reati fine costituisse indice del reato associativo.
5.7 Con il settimo motivo, si denuncia la violazione di legge sostanziale e il vizio di motivazione in relazione all’art. 74 d.P.R. 309/90 in ordine al ruolo ascritto a NOME COGNOME all’interno dell’associazione. Si sottolinea, nuovamente, che NOME aveva avuto un solo contatto con NOME per cui non poteva essere ritenuto partecipe di una struttura associativa.
5.8 Con l’ottavo motivo, si denuncia la violazione di legge sostanziale e il vizio di motivazione in relazione all’aggravante dell’associazione armata.
Si rappresenta che la prima sentenza di appello, nella parte divenuta irrevocabile, rappresentava che le armi del capo 25) erano detenute da NOME e NOME COGNOME e non anche che fossero nella disponibilità dell’associazione. Per cui la motivazione della sentenza impugnata che richiamava la prima sentenza della Corte d’appello per argomentare l’integrazione dell’aggravante era affetta da un “palese vizio logico”, desumendo che l’associazione in sé fosse armata dal fatto che due dei presunti associati disponevano di armi.
5.9 Con il nono motivo, si denuncia la violazione di legge sostanziale e il deficit di motivazione in relazione alla pena irrogata. Si lamenta che la pena irrogata era sensibilmente superiore al minimo edittale ma che tale scostamento non trovava spiegazione alcuna nella sentenza impugnata. Si aggiunge che la dosimetrica contestata aveva finito per infliggere una pena corrispondente a quella del GIP benché la Corte territoriale avesse ritenuto NOME non organizzatore del sodalizio, come il giudice di primo grado, ma partecipe.
5.10 Con ultimo motivo, si denuncia la violazione di legge sostanziale e il deficit di motivazione in relazione alla ritenuta equivalenza delle attenuanti generiche all’aggravante.
Si lamenta che la ritenuta “equivalenza è totalmente distonica alla «ammissione degli addebiti», alla «incensuratezza» e al «ruolo subordinato rispetto al padre nella commissione dei reati» (pagina 30) che, sostenendo la concessione delle attenuanti generiche, non consentono la loro mera prevalenza ma impongono una loro equivalenza”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È necessario premettere che molte delle censure proposte, presentate come violazione di legge e come vizi di motivazione, si risolvono essenzialmente nella prospettazione di una diversa analisi del merito della vicenda, inammissibile in sede di legittimità, nonché nella pretesa di contrastare valutazioni dei fatti e delle risultanze probatorie che risultano fondate su argomenti privi di carenze o invalidità qui apprezzabili.
Molte delle censure, poi, ignorano che la decisione impugnata non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, ogni qualvolta, come nella specie, entrambe le decisioni risultano sviluppate e condotte secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti. Le sentenze di merito, infatti, concordano, negli aspetti essenziali, nell’analisi del compendio probatorio, per cui la motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente sì da costituire un unico complessivo corpo argomentativo, privo di lacune, considerato che la sentenza impugnata ha dato congrua e ragionevole giustificazione del finale giudizio di colpevolezza.
A tale complessivo apparato argomentativo si farà, pertanto, riferimento nel valutare l’ammissibilità e la fondatezza delle censure difensive, molte delle quali, peraltro, seguono il medesimo schema argomentativo, in quanto attingono le valutazioni dei dati probatori formulate dal GIP – fatte proprie NOMEa sentenza impugnata- riproponendo le considerazioni fondanti l’assoluzione annullata, così da risolversi in una mirata rilettura degli elementi di fatto che sono stati posti a fondamento della decisione e nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, prospettati come preferibili rispetto a quelli della Corte territoriale, perché maggiormente plausibili oppure perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa.
1.1 Devono, pertanto, essere richiamati gli incontrastati orientamenti di questa Corte, da lungo tempo consolidati ( Sez. 6, n. 1354 del 14/04/1998, Kurzeja, Rv. 210658 – 01) secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di
legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non al suo contenuto valutativo, non potendo risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in termini più favorevoli per il ricorrente, magari altrettanto logici ma comunque significativamente diversi (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Rv. 205621).
Va, infatti, ancora una volta chiarito che il controllo di legittimità concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per Cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria ad essa sottesa, che, in quanto riservata al giudice dì merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione. Il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., in altri termini, è ravvisabile solo quando il tessuto argomentativo del provvedimento presenti fratture logiche insanabili, tali da renderlo palesemente viziato da irrazionalità o basato su premesse fattuali inesistenti o travisate, così da collidere con il modo di ragionare comune, quasi sorprendendo il lettore per la sua insensatezza, ma non quando il ricorrente proponga una lettura alternativa, per quanto plausibile, del materiale probatorio. Esula dai poteri della Cassazione, relativamente al controllo della motivazione del provvedimento impugnato, quello di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito a (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, COGNOME, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tanto premesso, il Collegio ritiene, per le ragioni che verranno esplicitate esaminando le doglianze difensive, che la Corte territoriale ha rispettato le regole di valutazione della prova in punto di esistenza del sodalizio ex art. 74 d.P.R. n. 309/1990, fornendo in proposito congrua e adeguata giustificazione.
In particolare, la Corte distrettuale ha correttamente applicato i principi enunciati NOMEa sentenza rescindente la quale aveva ribadito, sul punto richiamando quanto già esposto nella prima sentenza di appello, che, agli effetti della configurabilità del sodalizio ex a’rt. 74 d.P.R. n. 309/90, non sono richiesti né la formalità né la contestualità del patto associativo, ben potendosi desumere la prova del vincolo NOMEe modalità esecutive dei reati-fine e NOMEa loro ripetizione, dai rapporti tra gli autori, NOMEa ripartizione dei ruoli fra i vari soggetti in vista
raggiungimento di un comune obiettivo e NOME‘esistenza di una struttura organizzativa, sia pure non particolarmente complessa e sofisticata, indicativa della continuità temporale del vincolo criminale.
2.1 Le strategie difensive, volte a ricondurre le molteplici cessioni accertate ad accordi occasionali e accidentali, diretti alla commissione dei singoli reati, la cui consumazione esauriva la ragione del legame dei correi senza che residuasse alcuna forma di organizzazione potenzialmente in grado di reiterare nel tempo ulteriori ed analoghe condotte antigiuridiche, così da configurare l’ipotesi del concorso di persone nel reato continuato, in applicazione di linee interpretative da tempo affermatesi nel panorama giurisprudenziali di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 11023 del 24/06/1985, Bulone, Rv. 171160 – 01), impone, però, di precisare alcune delle enunciazioni di principio della sentenza rescindente richiamando consolidati orientamenti di legittimità.
Al punto 2.2. del considerato in diritto, la sentenza rescindente ha fatto cenno tre elementi necessari per la configurazione del reato associativo, ossia: a) un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati; 6) l’indeterminatezza del programma criminoso afferente gli stupefacenti; c) l’esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira.
2.2 Si è quindi soffermata sulla natura del patto associativo, da cui il vincolo deriva, e sugli elementi da cui è possibile desumerne l’esistenza, non potendo pretendersi, intervenendo comunque l’accordo nell’ambito di un comune progetto criminale, adesioni di tipo formali o atti costituitivi o statuti, come avviene in ambito societario (Sez. 6, n. 8046 del 08/05/1995, Valente, Rv. 202031 – 01).
A tal fine, va precisato, soccorre il rapporto fra reato associativo e singoli reatifine, che pur costituito in termini di autonomia, tanto è che la commissione di quest’ultimi “non è necessaria né ai fini della configurabilità dell’associazione né ai fini della prova della Sussistenza della condotta di partecipazione (Sez.4, n. 11470 del 09/03/2021, Rv.280703 – 02; Sez.3, n. 9459 del 06/11/2015, dep.08/03/2016, Rv. 266710 – 01), può costituire, però, indice sintomatico dell’esistenza dell’associazione (così Sez. 4, n. 23518 del 29/04/2008, COGNOME, Rv. 240843, nello stesso senso anche Sez. 6, n. 9898 del 21/06/1995, COGNOME, Rv. 202646); essendo stato precisato che la ripetuta commissione, in concorso con i partecipi al sodalizio criminoso, di reati-fine integra, per ciò stesso, gravi, precisi e concordanti indizi in ordine alla partecipazione al reato associativo, superabili solo con la prova contraria che il contributo fornito non è dovuto ad alcun vincolo preesistente con i correi e fermo restando che detta prova, stante la natura permanente del reato “de quo”, non può consistere nell’allegazione della limitata durata dei rapporti intercorsi (Sez. 3, n. 42228 del 03/02/2015, COGNOME, Rv.
265346; Sez. 2, n. 5424 del 22/01/2010, Sindyal, Rv. 246441; Sez. 5, 10 n. 6026 del 25/03/1997, Puglia, Rv. 208088)” ( Sez. 3, n. 12509 del 1/4/2025, Penna).
2.3 Al patto deve, poi, corrispondere la disponibilità di fatto delle risorse umane e materiali sufficienti per una credibile attuazione del programma associativo (Sez. 6, n. 7387 del 3/12/2013 (dep. 2014), Pompei).
E’, però, pacifico che, nell’associazione a delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti, l’elemento dell’organizzazione assume un rilievo secondario, nel senso che la sua sussistenza è richiesta nella misura in cui dimostra che l’accordo illecito permanente teso alla realizzazione di un numero indeterminato di reati può dirsi seriamente contratto, nel senso che la mancanza assoluta di un supporto strumentale priverebbe il delitto del requisito dell’offensività; il che, sotto il profil ontologico, comporta che è sufficiente anche un’organizzazione minima perché il reato si perfezioni e, sotto il profilo probatorio, che la ricerca dei tratti organizzativi è essenzialmente diretta a provare, attraverso tale dato sintomatico, l’esistenza dell’accordo indeterminato a commettere più delitti che di per sé concreta il reato associativo ( Sez. 3, n. 20003 del 10/1/2020, COGNOME; Sez. 2, n. 19146 del 20/2/2019, COGNOME; Sez. 4, n. 22824 del 21.4.2006, COGNOME).
2.4 In tema, merita di essere segnalata Sez. 3, n. 6871 del 8/7/2016 (dep. 2017), Pajuelo, che muovendo NOMEe definizióni di “gruppo criminale organizzato” enunciata nell’art. 2 lett. a) e c) della Convenzione ONU sul crimine organizzato transazionale formalizzata a Palermo nel dicembre del 2000, ratificata in Italia con legge 16/3/2006 e da quella di “organizzazione criminale di cui NOME‘art. 1 della Dec. 24/10/2008, n. 2008/841/GAI – DECISIONE QUADRO DEL CONSIGLIO relativa alla lotta contro la criminalità organizzata”- ha definito la relazione che intercorrere fra l’associazione e la struttura organizzativa che la connota osservando:
” le associazioni per delinquere, poiché sono illecite nella causa e nell’oggetto, sfuggono a tipizzazioni e regolamentazioni legislative, espressamente previste quando invece l’interesse perseguito sia ritenuto meritevole di tutela, e sfuggono per antonomasia a requisiti descrittivi tipici del loro modo di essere e di manifestarsi. Un’associazione per delinquere non è tale se rispecchia determinate caratteristiche strutturali (che non possono ovviamente essere) predeterminate per legge; è tale se, a prescindere NOMEe forme organizzative scelte (eventualmente lecite e ad essa preesistenti o sovrapponibili), persegue il fine di commettere più delitti. E’ dunque lo scopo che qualifica il delitto; l’elemento organizzativo, quando c’è, ne prova l’esistenza, ma essa può essere desunta anche NOME‘esistenza di regole comunemente osservate volte proprio a consentire il perseguimento dello scopo, NOME‘esistenza, cioè, di un programma delinquenziale.
Le associazioni per delinquere, in disparte la loro suscettibilità ad essere definite alla stregua di “ordinamenti giuridici” anch’esse (e ciò proprio perché dotate di
regole proprie), vivono e si muovono nella realtà fattuale, secondo regole e meccanismi insuscettibili di creare rapporti giuridici e, dunque, diritti e doveri riconosciuti e sanzionati come tali NOME‘ordinamento giuridico statale. Ma l’insuscettibilità della regola ad essere fonte di rapporti giuridicamente riconosciuti non equivale alla sua indifferenza per il legislatore penale quando essa costituisca strumento per indirizzare gli accoliti verso il perseguimento del comune programma illecito.
Oltretutto, quando si parla di requisito organizzativo occorre intendersi perché non si può certamente pretendere che i mezzi utilizzati da un’associazione criminale – abbiano la stessa visibilità fisica e siano contraddistinti da quell’autonomia patrimoniale che, con diversi gradi di intensità, caratterizza quelle lecite (una sede, un patrimonio, un fondo). Del resto, ogni azione, sia essa lecita o illecita, assume giuridica rilevanza solo se appartiene al mondo sensibile; anche il pensiero, per essere comunicato, ha bisogno di strumenti che lo rendano percepibile al suo destinatario (una lettera, una mail, un telefono, un computer), e così un mezzo di trasporto per muoversi, un’abitazione dove alloggiare.
Quando si evoca il requisito strutturale-organizzativo occorre tenere presente che il concetto di organizzazione comporta l’esistenza di una volontà “organizzante” di persone e cose che non necessariamente devono essere dedicate in via esclusiva allo scopo sociale, come se si trattasse, appunto, di un’azienda o del capitale sociale o di beni strumentali dell’impresa; peraltro nel caso di associazioni per delinquere i beni possono essere (e normalmente sono) quelli di uso comune, indifferentemente utilizzati a scopi leciti o illeciti. Quel che rileva, appunto, è che il loro uso denoti l’esistenza della regola unificante che li organizza, quando necessario, in vista dello scopo.
Le associazioni per delinquere di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990 non sono, dal punto di vista del requisito organizzativo, “speciali” rispetto al tipo comune di cui all’art. 416, cod. pen..
Costituisce una declinazione dei principi sin qui illustrati l’affermazione che, in questi casi, ai fini della configurabilità del delitto associativo, l’elemento dell’organizzazione assume un rilievo secondario, poiché ciò non si spiega con lo “svilimento” di tale elemento, bensì con il fatto che la sua sussistenza è richiesta nella misura in cui serve a dimostrare che l’accordo illecito permanente teso alla realizzazione di un numero indeterminato di reati…”
Tanto premesso, venendo al ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, il primo motivo risulta inammissibile in quanto aspecifico, risolvendosi in generiche doglianze prive della necessaria correlazione con il provvedimento impugnato.
La censura difensiva si appunta su un’espressione incidentale che si rinviene nella parte iniziale del tessuto motivazionale della sentenza impugnata, che viene
estrapolata dal contesto per attribuirle un significato e una portata che non hanno riscontro nel provvedimento. Il periodo in cui l’espressione è inserita riassume, infatti, i principi di diritto enunciati nella sentenza rescindente cui il giudice di rinvio avrebbe dovuto uniformarsi, senza richiamare valutazioni formulate dal giudice di legittimità assumendone la vincolatività nella ricostruzione dei fatti o nel loro apprezzamento giuridico. E difatti, il motivo, oltre che richiamare principi espressione di consolidati orientamenti di legittimità, non specifica quali sarebbero le valutazioni fattuali esposte nella sentenza rescindente indebitamente formulate da questa Corte travalicando le proprie attribuzioni funzionali né i punti della decisione impugnata in cui tali valutazioni sarebbero state richiamate assumendone il carattere vincolante per il giudice del rinvio.
Manifestamente infondato risulta il secondo motivo del ricorso.
Il motivo, sotto l’egida della violazione di legge e del vizio di motivazione, propone due profili di censura.
4.1 In primo luogo, rileva che le vicende valorizzate NOMEa Corte territoriale per desumere l’esistenza del vincolo associativo non vedevano quale concorrente NOME COGNOME, per cui potevano attestare solo il cambiamento dei rapporti intervenuti fra COGNOME NOME e NOME.
L’argomento difensivo, che, come si vedrà, è comunque a tutti i ricorsi, sconta due errori, uno di fatto e uno di diritto.
4.2 Il primo luogo la doglianza difensiva confligge con uno dei punti centrali della sentenza di condanna del GIP, ossia l’indissolubile legame fra NOME e NOME COGNOME.
Già il GIP, a pag. 30 della sentenza, aveva sottolineato che NOME era il principale referente del padre NOME e i due agivano congiuntamente nella gestione dell’attività illecita rappresentando un unico centro d’interesse. Anche alle pagine successive, inoltre, innumerevoli sono i riferimenti ai “COGNOME” proprio in quanto l’interazione fra padre e figlio è costante e completa, agendo i medesimi in perfetta sintonia, anche in relazione ai capi di imputazione per i quali solo uno dei predetti è imputato. A mero titolo esemplificativo, può farsi riferimento: alla vicenda sintetizzata al capo 5), essendo risultato che il denaro versato da COGNOME a COGNOME per la droga da questi ceduta su disposizione di NOME COGNOME doveva essere consegnato, in parte, a NOME COGNOME; al capo 15), relativo a una cessione di stupefacente fatta da COGNOME NOME a COGNOME NOME e al padre NOME tramite NOME, in cui però fu COGNOME NOME che provvide a “passare” da NOME per ritirare il denaro; da segnalare anche che NOME, mentre con il padre stava procedendo a verificare l’importo riscosso, attribuì ad entrambi il rapporto di credito derivante della cessione; al capo 18), rivelando le intercettazioni con Si apre, nella sentenza di primo grado, l’esposizione delle risultanze istruttorie (pag.
102 e ss.) la cointeressenza esistente fra NOME COGNOME e il figlio NOME sia in ordine alla gestione della droga che ai proventi tratti NOMEe illecite cessioni.
La cointeressenza e l’interscambiabilità fra NOME e NOME COGNOME, d’altronde, emerge anche NOMEa prima sentenza di appello, dove l’utilizzazione dell’espressione “NOME COGNOME” è ricorrente, proprio a significare che i due imputati costituivano un unitario centro d’imputazione d’interessi.
Sulla linea tracciata NOMEa precedenti sentenze si colloca, pertanto, quella impugnata, che ha sì ricondotto il ruolo di NOME COGNOME a quello di partecipe del sodalizio ma poi ha sottolineato che: era stato condannato per nove reati satellite, tutti commessi in concorso con il padre, che coprono l’intero arco temporale interessato NOME‘indagine; era il principale referente del padre, avendo con lui collaborato per tutto il periodo in cui l’illecita attività era stata monitorata condividendone le scelte e le operazioni e assicurando un costante ausilio sia in ordine alla distribuzione della droga che nella riscossione dei corrispettivi.
Dalle sentenze di merito, quindi, emerge che la stretta collaborazione e interscambiabilità fra NOME COGNOME e il figlio NOME precedettero l’inizio dell’indagini e si protrassero per tutta la durata dell’attività investigativa e, avvalendosi dell’apporto di NOME, consentirono all’associazione di portare avanti un programma delittuoso indeterminato, sia nella scansione temporale che dal punto di vista dei quantitativi di droga da collocare sul mercato.
Non si è, infatti, in presenza di accordi o convergenze temporanee di interessi relativi a questa o quella partita di droga destinati a dissolversi dopo la consumazione dei reati fine ma di intese e legami stabilmente destinati alla perpetrazione di un numero indeterminato di reati in tema di sostanze stupefacenti.
4.3 Le modalità esecutive dei reati fine, siccome ricostruite dai giudici di merito, confermano, quindi, per quanto esposto al punto 2.2, tanto l’esistenza dell’associazione quanto la partecipazione degli imputati al delitto associativo, ricorrendo un’apprezzabile continuità nei ruoli ricoperti dagli imputati e condotte attuative assai simili: NOME COGNOME, coadiuvato dal figlio NOME, infatti, provvedeva a reperire la sostanza stupefacente che poi veniva smerciata utilizzando i canali di spaccio che ai due imputati facevano capo o affidandola a NOME, la cui rete di distribuzione consentiva, in poco tempo, di smaltire chilogrammi di cocaina.
La costante disponibilità di NOME a smerciare i quantitativi di droga lui affidati e la puntuale esecuzione delle disposizioni lui impartire, il continuo apporto che NOME forniva al padre, nella piena consapevolezza della rete di spaccio che consentiva di monetizzare rapidamente le partite di droga acquistate, e l’incessante attività di NOME COGNOME che tramite canali rimasti ignoti era in grado di reperire in rapida successione chili di sostanze stupefacenti smerciandoli
in tempi contenuti grazie all’ausilio di NOME e del figlio NOME costituivano il nucleo dell’organizzazione che connotava l’associazione delineata nella sentenza impugnata.
4.4 Ed è proprio l’articolazione dell’associazione in ruoli e competenze derivanti dal patto da cui discendeva la cosiddetta affectio societatis, che portava tutti gli aderenti a operare nella consapevolezza che l’attività propria e altrui avrebbe contribuito all’attuazione del programma criminale volto alla commissione di un numero indeterminato di reati in tema di sostanze stupefacenti, che spiega perché NOME e NOME COGNOME non concorrano nei reati scopo, risultando i loro ruoli distinti, rappresentando canali alternativi di smaltimento della droga dell’associazione.
Insignificanti, pertanto, sono le doglianze difensive incentrate sul fatto che NOME COGNOME non risulta essere stato condannato per reati che hanno visto il concorso di NOME, risultando tanto i reati di NOME COGNOME quanto quelli di NOME espressione di quel programma criminale generico per la cui attuazione i ricorrenti avevano deciso di coordinare il loro agire così da dare vita a una struttura organizzativa in cui ciascuno garantiva il proprio contributo consentendo agli altri di farvi affidamento.
4.5 In punto di diritto, poi, l’argomento difensivo nega l’autonomia del reato associativo rispetto ai reati scopo risultando il contributo materiale o di energie psichiche o fisiche nel quale si concretizza il vincolo sociale, sul quale gli altri intranei alla consorteria possono fare affidamento, funzionale rispetto alla dimensione organizzativa e all’attività delittuosa dell’associazione e non già ai singoli delitti che concorrono a costituite tale attività.
Sostenere che l’associazione non sussiste in quanto NOME non concorse nei reati scopo che vedono NOME quale responsabile, benché l’oggetto di tali reati fosse la droga reperita da NOME COGNOME, che per tutta la durata dell’indagine ha operato avvalendosi dell’ausilio prestato dal figlio NOME, vuoi dire ignorare la convergenza dei contributi personali dei tre ricorrenti rispetto al comune scopo dell’immissione di sostanze stupefacenti sul mercato che NOME e NOME e NOME, tramite la struttura organizzativa all’uopo predisposta, hanno con continuità perseguito.
4.6 La conclusione cui si perviene risulta in linea con molteplici decisioni di questa Corte che, proprio in considerazione dell’autonomia del reato associativo rispetto ai reati fine, hanno ritenuto che l’inserimento organico nell’associazione possa essere desunta anche NOMEa partecipazione a un unico episodio criminoso, “laddove le connotazioni della condotta dell’agente, consapevolmente servitosi dell’organizzazione per commettere il fatto, ne riveli, secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell’associazione (Sez. 6, n. 1343 del 04/11/2015, COGNOME, Rv.
265890; Sez. 1, n. 43850 del 03/07/2013, Durand, Rv. 257800; Sez. 4, n. 45128 del 11/11/2008, COGNOME, Rv. 241927) ed anche a prescindere NOMEa condanna per reati fine (Sez. 3, n. 18519 del 8/2/2022, COGNOME; Sez. 4, n. 8092 del 28/1/2014, Prezioso; Sez. 6, n. 3241 del 10/02/1998, Cadinu, Rv. 210683 – 01).
4.7 Ulteriore profilo di doglianza prospetta l’irrilevanza della vicenda contestata al capo 14) ai fini della dimostrazione del mutamento del rapporto fra NOME e i NOME. Si richiama, a tal proposito, la ricostruzione della vicenda proposta nell’atto di appello e le valutazioni espresse al riguardo NOMEa prima sentenza di appello.
Va però osservato che la versione alternativa proposta NOMEa difesa, secondo cui NOME si era limitato a fare da intermediario rivolgendosi ad NOME COGNOME per poter soddisfare la richiesta di NOME e NOME COGNOME, interessati ad acquistare il significativo quantitativo di stupefacente oggetto del capo, è contraddetta NOMEa ricostruzione della vicenda operata dal GIP e della prima sentenza di appello che hanno rilevato che:
NOME COGNOME, in Calabria, aveva concordato la fornitura di due chilogrammi di droga da effettuarsi a Casorate;
l’operazione assegnava un ruolo chiave a NOME che avrebbe dovuto provvedere a ritirare e smerciare là droga e al pagamento del prezzo;
NOME aveva dato a NOME e NOME COGNOME, pochi minuti dopo aver ricevuto i due chilogrammi di cocaina, solo una parte dello stupefacente ricevuto, pari a gr. 800 (pag. 32 della sentenza in data 17/10/2023).
E difatti, il primo messaggio che fa riferimento alla fornitura dei due chilogrammi di cocaina da COGNOME NOME a NOME risale al giorno 11/3/2020 cui fece seguito, il giorno succéssivo, un messaggio di NOME a COGNOME NOME che segnalò che la presenza delle forze dell’ordine sul territorio non consentiva di effettuare lo scambio (pag. 83 della sentenza primo grado).
E’, invece, del 26/3/2020 il primo messaggio con cui NOME NOME chiese a NOME se avesse la disponibilità di cocaina.
4.8 Riprendendo quanto esposto al punto 1, la censura in valutazione rappresenta plasticamente come, al di là del nomen iuris della rubrica, sovente i motivi dei ricorsi si risolvano in una diversa valutazione, in termini più favorevoli per la difesa, delle risultanze istruttorie senza neppure indicare le incongruenze o le lacune dell’apparato logico argomentativo invalidanti la sentenza.
Va, quindi, ribadito che il controllo di logicità della motivazione deve essere svolto dal giudice di legittimità attraverso la verifica della razionalità argomentativa (e della proiezione finalistica) dei passaggi espressivi in cui si articola la decisione e non mediante una impropria rivalutazione diretta di singoli elementi istruttori o mediante l’apprezzamento diretto di prospettazioni difensive su piste alternative rimaste, a parere del ricorrente, inesplorate.
4.9 Ulteriore motivo di doglianza è relativo al fatto che la sentenza impugnata non si sarebbe confrontata con la valutazione della vicenda data NOMEa prima sentenza d’appello, che aveva escluso che l’operazione illecita avesse un qualche rilievo “in un’ottica associativa”.
Neanche questa censura è fondata. Sia pure richiamando la sentenza rescindente, la decisione impugnata supera il rilievo dato NOMEa prima Corte d’appello alle modalità di consegna della cocaina, finalizzate a impedire a NOME di entrare in contatto con il cedente, e al fatto che NOME non aveva avvisato NOME COGNOME che NOME e NOME COGNOME sarebbero stati nei pressi del luogo previsto per lo scambio per poter disporre immediatamente di una parte della droga, sottolineando che il perseguimento di scopi confliggenti da parte dei sodali non costituisce ostacolo all’integrazione del reato associativo se la consorteria costituisce il mezzo per il raggiungimento degli obiettivi.
Venendo al successivo motivo d’impugnazione, lo stesso censura il rilievo dato in chiave associativa al reato di cui al capo 5).
Sostiene il ricorrente che il motivo non intende “fornire ricostruzione alternative” ma in verità le censure difensive mirano ad accreditare l’interpretazione data NOMEa sentenza annullata all’episodio a scapito delle conclusioni cui perviene la decisione impugnata.
Sennonché la sentenza in valutazione colloca nell’ambito del rapporto associativo la cessione di 50 gr. di cocaina fatta da NOME a NOME mentre COGNOME NOME e NOME si trovavano impossibilitati ad allontanarsi dal territorio di Fiati a causa delle limitazioni di movimento imposte a seguito della pandemia, spiegando anche la differente lettura data, rispetto alla precedente sentenza di appello, in ordine all’intercettazione n. NUMERO_DOCUMENTO.
Non è, quindi, vero che la seconda sentenza non spieghi le “ragioni del superamento della precedente”.
Sostiene altresì la difesa che l’episodio, comunque, in quanto rimasto isolato, non potrebbe costituire indice dell’esistenza dell’associazione e che, comunque, non sarebbe provato che “il ragazzo” che avrebbe dovuto ritirare parte del prezzo fosse NOME.
Sennonché al primo rilievo deve ribattersi che l’impugnazione espunge NOMEa trama argomentativa che sorregge la condanna la vicenda proponendo una lettura parcellizzata e sganciata NOMEe operazioni illecite, realizzate da COGNOME in concorso con NOME COGNOME, che l’hanno preceduta e seguita.
Non si confronta, ancora, con la trascrizione della telefonata 2613 del 24/4/2020 nel corso della quale NOME COGNOME disse all’autotrasportatore di trattenere dal denaro che era stato lasciato nella vettura da NOME il prezzo del
trasporto mentre la parte rimanente doveva essere consegnata “nelle mani di NOME che me li porta” (pag. 62 della sentenza di primo grado).
Le censure incentrate sul capo 21) proseguono nella contestazione dell’interpretazione in chiave associativa delle cessioni accertate e del ruolo di NOME COGNOME.
La linea difensiva è comune alle doglianze relative ai precedenti capi, ossia isola la prova, l’argomento o la vicenda dal contesto in cui sono inseriti NOMEa Corte territoriale per neutralizzarne la valenza significativa in chiave associativa.
L’informazione relativa alla scadente qualità della sostanza viene, quindi, rappresentata come coerente con la sussistenza del rapporto fornitore acquirente abituale ma non viene collegata agli altri indici valorizzati NOMEa sentenza impugnata per desumere la sussistenza del rapporto associativo.
Va, allora, ricordato che, nella valutazione delle prove, alla valutazione dei singoli elementi indiziari per verificarne la certezza e l’intrinseca valenza dimostrativa deve seguire un esame globale degli elementi certi per accertare se la rélativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa, in una visione unitaria, risolversi consentendo di attribuire il reato all’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e cioè con un alto grado di credibilità razionale (Sez. 1, n. 46566 del 21/2/2017, NOME).
A tale principio si uniforma la sentenza impugnata che mette a confronto le emergenze probatorie acquisite in relazione al capo 12) con quelle relative ai capi 14), 5), 15) e 21) per mettere in evidenza il mutamento del ruolo di NOME in relazione alle attività illecite di NOME e NOME COGNOME, con l’assunzione della posizione di “collaboratore e persona di fiducia” dei predetti. La sentenza, quindi, delinea un complesso quadro indiziario che conduce all’ipotesi accusatoria quale l’unica in grado di spiegare, unitariamente, il compendio probatorio, globalmente valutato.
La censura, inoltre, lungi NOME‘ individuare palesi incongruenze nella motivazione impugnata, si esaurisce, anche in questo caso, nel proporre una differente lettura del dato probatorio che, per quanto innanzi esposto, esorbita dal controllo riservato a questa Corte.
6.1 Del tutto infondata risulta poi la doglianza incentrata sull’uso dell’avverbio “presumibilmente” da parte della Corte territoriale. Il termine risulta essere inserito nell’argomentazione con la quale la Corte ha confutato che NOMEe intercettazioni sarebbe emerso che COGNOME aveva intenzione di mettere in contatto COGNOME e COGNOME, se avessero seguito il suo consiglio di raggiungerlo in Calabria, con un canale di rifornimento diverso da quello rappresentato dai COGNOME. La Corte d’appello, quindi, esamina le intercettazioni fondanti l’argomento difensivo per desumerne che non vi era alcuna indicazione che
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consentisse di ritenere che NOME disponesse di autonomi canali di approvvigionamento di droga in Calabria per cui doveva ritenersi “presumibilmente” che intendeva acquistare la droga dai COGNOME. L’avverbio è, quindi, contenuto nella parte finale di un ragionamento volto a neutralizzare un argomento difensivo infondato al fine di dimostrare la compatibilità delle intercettazioni, indicate come confutanti, con l’ipotesi accusatoria.
Giova, inoltre, ricordare che in tema di ricorso per Cassazione, l’emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei. di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M, Rv. 271227 – 01; Sez. 2, n. 9242 del 8/2/2013, Reggio, Rv. 254988).
Manifestamente infondato risulta anche il successivo motivo di impugnazione volto a contestare un obiter dictum estraneo al ragionamento probatorio che fonda la condanna.
La Corte territoriale, infatti, dimostra di non condividere il ragionamento che ha fondato l’assoluzione, disposta dai GUP del Tribunale di Milano con sentenza in data 26/10/2023, con la formula per non aver commesso il fatto, di COGNOME NOME dal reato associativo ma non attribuisce alla donna alcun rilievo ai fini della configurazione della consorteria costituita da COGNOME NOME e NOME e da NOME.
7.1 Il motivo incentra poi la sua analisi sulla posizione di COGNOME riproponendo dubbi e doglianze generiche che non si confrontano con la motivazione dei giudici di merito.
Si lamenta che non vi è prova della riunione pacificatrice delle festività natalizie del 2019, ma tale accadimento, nella sentenza del GIP, è solo un’ipotesi investigativa per spiegare il mutamento dei rapporti fra COGNOME NOME e NOME, che da debitore moroso nei cui confronti venivano esercitate pressioni per il pagamento divenne un soggetto sul cui contributo era possibile contare al fine di perseguire gli obbiettivi del sodalizio, tant’è, si legge a pag. 78 della sentenza di primo grado, che NOME aveva attivato “una utenza telefonica dedicata allo scambio di sms”. Il motivo tenta, ancora, di spostare l’attenzione dal sostanziale cambiamento intervenuto nei rapporti fra COGNOME NOME NOME il figlio NOMENOME da una parte, e NOME NOME‘altra, documentato dal fatto che dopo il dicembre 2019 non si rinvengono più conversazioni del tipo di quelle sintetizzate alle pagg. 77 e 78 della sentenza di primo grado, nel corso dellg9uale i COGNOME s’interrogavano su come estorcere a NOME NOME pagamento delle partite di droga lui consegnate e non ancora
saldate, prendendo in considerazione la possibilità di sottrargli la vettura che utilizzava oppure di dare mano libera a coloro dai quali i COGNOME avevano acquistato quelle forniture di droga, agli accadimenti che aveva permesso di appianare le ragioni di contrasto, del tutto irrilevanti a fronte dal dato oggettivo costituito NOME‘assunzione, da parte di COGNOME, del ruolo di uomo di fiducia ed esecutore delle disposizioni impartite da NOME COGNOME.
7.2 Si lamenta ancora che la sentenza non spiega perché COGNOME avrebbe dato un contributo alla persistente operatività dell’associazione. E, però, la sentenza impùgnata, e prima ancora quella del GIP, si soffermano sul contributo che COGNOME aveva garantito all’operatività e, quindi, all’esistenza stessa del sodalizio criminoso rappresentando per tutto l’arco temporale coperto NOME‘indagine il principale canale di smercio della cocaina di cui i COGNOME disponevano per poi diventare il referente dei medesimi nel periodo delle restrizioni dovute alla pandemia.
La sentenza, ancora, richiamando i principi di diritto enunciati nella pronuncia rescindente, spiega le ragioni per le quali l’autonomia della rete di spacciatori che facevano capo ai NOME e a NOME non smentisce la sussistenza del vincolo associativo. Va, peraltro, anche rimarcato che le indagini della polizia giudiziaria hanno rilevato che molteplici furono i rapporti di COGNOME NOME e NOME con NOME e NOME COGNOME, spacciatori facenti parte della rete di smercio di NOME (a mero titolo esemplificativo si può fare riferimento alle intercettazioni relative al capo 18).
7.3 Il motivo d’impugnazione, ancora, ignora la frequenza e la rilevanza delle cessioni di sostanze stupefacenti effettuate dai COGNOME in favore di NOME e il fatto che tali operazioni non necessitavano di preventive intese in ordine alla disponibilità all’acquisto o alle modalità di pagamento. Non è a questo punto superfluo richiamare quanto già esposto al punto 2.2 in ordine alla rilevanza ai fini della prova della sussistenza del vincolo associativo dell’uniformità delle condotte e della ripartizione dei ruoli in vista del raggiungimento del fine comune, rappresentato dal comune interesse a immettere sostanza stupefacente sul mercato del consumo attraverso una serie indeterminata di delitti cogliendo le occasioni che via via si presentano (Sez. 2, n. 20451 del 03/04/2013, COGNOME, Rv. 256054 – 01).
Il sesto motivo d’impugnazione ripropone censure già oggetto dei precedenti motivi di gravame con l’unico elemento di novità rappresentato NOMEa denunciata mancanza di motivazione in relazione “all’esistenza di una organizzazione strumentale appositamente e stabilmente asservita agli scopi illeciti associativi”.
Anche in questo caso l’argomento difensivo non si confronta con l’apparato motivazionale che sorregge la condanna.
La sentenza di primo grado si è soffermata sui mezzi che permettevano il perseguimento degli scopi dell’associazione, rappresentati dai luoghi utilizzati per la custodia e il confezionamento dello stupefacente, NOMEe vetture per le operazioni TARGA_VEICOLO trasporto e NOMEe utenze telefoniche per il mantenimento dei contatti. Viene anche messo in evidenza come nel luglio 2020 NOME utilizzò l’autovettura tg. TARGA_VEICOLO, in uso ai COGNOME, per recarsi al ristorante “Da RAGIONE_SOCIALE” ove COGNOME NOME aveva concordato un appuntamento con NOME COGNOME per definire le modalità di pagamento del debito relativo a una precedente fornitura di cocaina.
Tali argomenti risultano perfettamente in linea con i principi enunciati al punto 2.4 e aderenti agli elementi probatori richiamati.
La sentenza annullata aveva contestato il giudizio di idoneità dei “mezzi strumentali a disposizione dell’associazione” sottolineando che le abitazioni utilizzate per la custodia e il confezionamento delle droghe erano quelle in cui dimoravano NOME e NOME COGNOME e i familiari così come le auto utilizzate per lo spostamento delle sostanze e per la gestione dei contati erano in uso ai predetti mentre l’impiego di utenze telefoniche intestate a terzi costituiva “modalità operativa comune a tutti i criminali”.
Tali argomenti sono travolti dal principio di diritto richiamato a pag. 11 della sentenza rescindente e da quanto innanzi esposto che sanciscono che il giudizio di idoneità del complesso dei beni strumentali è dato non NOMEa natura dei beni ma alla destinazione loro impressa.
La sentenza impugnata, quindi, seppur non si soffermi specificatamente sull’idoneità dei mezzi strumentali all’attività di spaccio, nel richiamare il principio di diritto enunciato nella sentenza rescindente, fa chiaramente propri i dati di fatto e il giudizio di idoneità esposti, in relazione alla predisposizione di mezzi idonei a concretare un supporto stabile e duraturo alle varie deliberazioni criminose, nella decisione di primo grado.
Il successivo motivo d’impugnazione ripropone le doglienze relative al ruolo di NOME COGNOME all’interno della compagine associativa sottolineando che aveva avuto un solo contatto con NOME.
Al riguardo non può che richiamarsi quanto esposto ai punti 4.2, 4.3, 4.4 e 4.5.
Inammissibile in quanto non proposto con l’appello risulta il motivo relativo arl’integrazione dell’aggravante di cui all’art. 74 comma 4 d.P.R. 309/90.
La sentenza impugnata sostiene che, sul punto “non risultano contestazioni difensive” e, comunque, l’integrazione dell’aggravante “discende NOMEa condanna passato in giudicato per il capo 25″.
E, in effetti, NOMEe sintesi dei motivi di gravame riportate nella prima e nella seconda sentenza di appello, risulta che l’aggravante in esame venne sì attinta
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NOMEe censure difensive ma le stesse si esaurirono nel prospettare che non era rimasta provata la disponibilità delle armi in capo ad NOME e NOME COGNOME, essendo solo emerso NOMEe intercettazioni che i medesimi avevano “un interesse alla vendita delle armi ma non la prova che ne possedessero effettivamente” (pagg. 15 e 17 della prima sentenza di appello e pag. 29 della seconda).
E’ evidentemente una critica del tutto diversa da quella proposta dal decimo motivo degli AVV_NOTAIO che non contesta idt più la disponibilità delle armi in capo ai COGNOME, non più sostenibile dopo il passaggio in giudicato del capo della condanna relativa al reato contestato al capo 25), ma la riferibilità di tali armi all’associazione.
A fronte dell’affermazione della Corte territoriale secondo cui l’integrazione dell’aggravante non era stata oggetto delle censure difensive e del riepilogo dei motivi di gravame riportato nella prima sentenza di appello, che agganciavano le censure relative all’aggravante a un differente profilo, il ricorrente avrebbe avuto il dovere processuale di contestare specificamente, in ricorso, che la questione in esame era stata già sollevata in sede di gravame dimostrando la non rispondenza della sintesi dei motivi di appello a quelli effettivamente proposti (cfr: Sez. II, n. 9028 del 5 novembre 2013, dep. 25 febbraio 2014, CED Cass. n. 259066).
Posto che alcuna contestazione al riguardo è stata formulata deve inferirsi che la censura in scrutinio è stata tardivamente sollevata, non essendo deducibili per la prima volta in sede di legittimità vizi non dedotti in precedenza come motivo di appello (in tal senso, ex multis, Sez. V, n. 48703 del 24 settembre 2014, CED Cass. n. 261438).
11. Manifestamente infondato risulta anche il nono motivo d’impugnazione.
La pena base inflitta, infatti, risulta inferiore alla media edittale, da determinarsi dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale (la forbice edittale) ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Rv. 276288 – 01).
Questa Corte ha precisato che nel caso in cui venga irrogata, come nel caso in esame, una pena al di sotto della media edittale non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283). Va, anche ricordato che la dosimetria può trovare giustificazione dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solò NOMEa parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949).
Non è, quindi, ravvisabile il deficit motivazionale denunciato, avendo la Corte territoriale, sia pure in relazione al bilanciamento delle circostanze, sottolineato l’elevata pericolosità di COGNOME NOME e l’intensità del dolo.
In ordine poi all’argomento incentrato sulla comparazione del trattamento sanzionatorio irrogato dal GIP e quello risultante dal cumulo delle pene irrogate NOMEa prima sentenza di appello in ordine ai reati fine e NOMEa sentenza in valutazione in relazione al reato associativo, va osservato che la censura non tiene conto che la pronuncia impugnata, sul punto non contestata NOMEa difesa di NOME COGNOME, non ha proceduto all’unificazione, ex art. 81 cod. pen., del reato associativo con i reati scoppaffidando la rideterminazione della pena complessiva per il reato continuato già configurato dal GIP al giudice dell’esecuzione.
Generico risulta l’ultimo motivo di impugnazione, che non coglie nella motivazione della Corte territoriale errori di diritto o profili di manifesta illogicità quanto oppone alle valutazioni della corte territoriale delle altre, postulando alla Corte giudizi di valore che non competono al giudice di legittimità.
Venendo al ricorso proposto dagli AVV_NOTAIO, nell’interesse di COGNOME NOME, il primo motivo, volto a contestare la configurazione quale partecipe di NOME COGNOME, e quindi l’insussistenza dell’associazione per mancanza del numero minimo dei componenti, non si confronta con le sentenze di merito che sottolineano che la precipua occupazione di NOME era collaborare con il padre nel commercio della droga. La stessa sentenza annullata, nel sintetizzare i motivi di appello proposti nell’interesse di COGNOME NOME, dà atto che “non è controversa la condivisione dell’attività di spaccio tra NOME e COGNOME NOME, agendo padre e figlio sovente come un’unica entità”.
Il tratto caratterizzante dell’accordo associativo è la consapevolezza da parte degli aderenti di far parte di una stabile struttura organizzativa in cui gli apporti degli accoliti si integrano al fine di consentire il perseguimento degli scopi sociali.
Come già osservato, in relazione alle partite di droga affidate a NOME per lo smercio, il contributo di NOME risulta del tutto marginale proprio perché l’organizzazione adottata prevedeva canali autonomi di smaltimento per cui non vi era ragione che NOME interagisse con NOME in quanto questi aveva dato prova di riuscire ad assolvere i compiti lui affidati. Per le medesime ragioni NOME era estraneo all’attività di spaccio di NOME. Ciò che rileva, come osservato dai giudici di merito, è la stabile e duratura disponibilità di NOME e di NOME al perseguimento del programma criminoso del sodalizio, secondo le dinamiche organizzative adottate che assegnavano a ciascuno specifici compiti.
L’estraneità di NOME ai reati fine che vedono il coinvolgimento di NOME, pertanto, non smentisce la ricostruzione cui è pervenuta la sentenza impugnata.
14. Il secondo motivo, incentrato sull’assoluzione di COGNOME NOME e COGNOME NOME dal reato associativo e di COGNOME NOME da alcuni reati fine disposta dal GUP del Tribunale di Mil a no con sentenza in data 26/10/2023 è aspecifico non confrontandosi con la sentenza impugnata che non configura le due donne quale intranee alla compagine associativa e fonda il ruolo di partecipe attribuito a NOME COGNOME su condotte differenti da quella oggetto del verdetto assolutorio.
Va, anche, ricordato che “l’acquisizione agli atti del procedimento, ai sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen., di sentenze divenute irrevocabili non comporta, per il giudice di detto procedimento, alcun automatismo nel recepimento e nell’utilizzazione a fini decisori dei fatti e dei relativi giudizi contenuti nei passaggi argomentativi della motivazione delle suddette sentenze, dovendosi al contrario ritenere che quel giudice conservi integra l’autonomia e la libertà delle operazioni logiche di accertamento e formulazione di giudizio a lui istituzionalmente riservate (Sez. 1, n. 11140 del 15/12/2015 (dep. 2016 ), COGNOME‘, Rv. 266338 – 01; Sez. 2, n. 52589 del 06/07/2018, COGNOME, Rv. 275517 – 01; Sez. 4, n. 10103 del 01/02/2023, COGNOME, Rv. 284130 – 01).
In relazione al terzo motivo relativo all’aggravante dell’associazione armata valgono le considerazioni innanzi esposte.
Appare fondato l’ultimo motivo, risultando la continuazione già riconosciuta dal GIP, per cui tale punto della decisione, non essendo stato impugnato con il gravame, imponeva alla Corte territoriale di procedere all’unificazione del reato associativo con gli altri per i quali era intervenuta la condanna definitiva. L’omessa applicazione della continuazione ha, altresì, comportato la violazione del divieto di reformatio in peius in quanto il cumulo materiale della pena inflitta per i reati scopo, determinata NOMEa sentenza della Corte d’appello in data 17/10/2023 in anni sette, mesi uno e giorni dieci ed C 30.400,00 di multa, e di quella in valutazione risulta pari ad anni 23 mesi 1 e giorni 10 ed C 30.400 di multa a fronte della pena di anni 18 di reclusione irrogata dal GIP.
Il primo motivo proposto NOME‘AVV_NOTAIO nell’interesse di COGNOME NOME, propone argomenti già esaminati, inframmezzati con riferimenti giurisprudenziali, uniti a una convinzione di fondo, ossia che il rapporto di debito accumulato da NOME con i COGNOME non consentiva l’inserimento del primo in una compagine associativa. E’ però un fatto, come già osservato, che le intercettazioni rivelano un profondo cambiamento nei rapporti di NOME COGNOME e NOME: se fino al dicembre 2019 NOME COGNOME si confrontava con il figlio NOME per individuare le forme di coercizione più adeguate per costringere NOME ad adempiere il debito
accumulato per pregresse forniture di droga, la vicenda del 30 marzo 2020 disvela l’instaurazione di un rapporto di differente natura, fondato sulla fiducia, comportante l’affidamento a NOME di una partita di droga del valore di decine di migliaia di euro senza alcuna garanzia sul positivo esito, per i COGNOME, dell’operazione.
17.1 Si è già detto del capo 5) e della logicità del risultato interpretativo in relazione alle comunicazioni intercettate cui perviene la Corte territoriale in ordine alle espressioni adoperate da NOME NOME per modificare le precedenti istruzioni da lui impartite a NOME. Il ricorso non spiega perché l’invio da parte di NOME a NOME dell’intero importo pagato da COGNOME sai -ebbe incompatibile con l’ipotesi associativa, posto che nelle conversazioni non si fa riferimento alcuno a debiti pregressi o compensazioni. E’, quindi, logico ritenere che la droga appartenesse ai COGNOME e che il rapporto associativo consentisse ad NOME di disporne senza dover riconoscere un corrispettivo a NOME per l’ausilio prestato.
17.2 Nel ricorso il capo 15) viene ritenuto come insignificante in chiave associativa, senza considerare quanto sottolineato NOMEa sentenza impugnata, ossia che NOME, dopo aver effettuato il taglio delle stupefacente, metteva a disposizione di COGNOME NOME la sua rete di distribuzione, tant’è che NOME, NOME e NOME, entrano in contatto direttamente con “i COGNOME” che, da quanto emerge NOMEe sentenze di merito, ‘costituivano il principale canale di smercio cui disponeva NOME.
17.3 Il successivo argomento difensivo non tiene conto della motivazione contestata. A parte l’errore cui incorre il difensore, che individua “COGNOME e COGNOME quali fornitori esclusivi del COGNOME” mentre è pacifico che erano acquirenti della droga da questi commerciata, la doglianza non si confronta con la sentenza che ha spiegato le ragioni per le quali COGNOME NOME, nella vicenda contestata al capo 14), previde modalità di consegna che miravano a evitare che NOME potesse identificare il fornitore. Non è dato poi comprendere a quali intercettazioni del 20 marzo il ricorso faccia riferimento.
17.4 Le considerazioni innanzi esposte consentono anche di disattendere l’argomento difensivo incentrato NOME‘assoluzione delle consorti di COGNOME NOME e COGNOME NOME dal reato associativo.
18. Il secondo motivo di impugnazione, che lamenta il deficit di motivazione in ordine al ruolo di organizzatore attribuito a COGNOME NOME risulta generico in quanto si sofferma sulle differenti coordinate temporali che caratterizzerebbero l’associazione delineata dal GIP rispetto a quella configurata NOMEa sentenza impugnata ma non spiega l’incidenza che la differente collocazione temporale che si assume intervenuta avrebbe sulla qualificazione giuridica della condotta del ricorrente, risultando il medesimo, durante l’intero periodo di indagine, l’effettivo
organizzatore o promotore del sodalizio “in grado di da tt ai sodali ordini e disposizioni” (pag. 30 della sentenza di primo grado).
E’ vero, infatti, che la sentenza di primo grado rappresenta l’associazione come già esistente a gennaio 2020 ritenendo che già all’epoca NOME ricoprisse il ruolo di partecipe “in qualità di stabile acquirente del sodalizio”, per poi assumere il ruolo di “referente dei COGNOME in territorio lombardo, nel periodo nel quale questi ultimi sono rientrati in Calabria a causa delle restrizioni dovute all’emergenza epidemiologica”, mentre la sentenza impugnata valorizza ai fini associativi questo secondo periodo, pur non contestando che nel periodo precedente sussisteva un consolidato rapporto illecito che faceva di NOME uno dei principali canali di smercio della cocaina reperita da COGNOME NOME e dal figlio NOME che poteva assumere rilevanza ai fin associativi. Sennonché non è dato comprendere l’incidenza della apparente discrepanza sulla qualificazione giuridica contestata, risultando NOMEe sentenze di merito che anche dopo il marzo 2020 NOME NOME continuò a essere colui che dirigeva l’attività illecita reperendo la droga e decidendo i canali di smercio da utilizzare per monetizzarla.
Il terzo motivo, relativo all’aggravante dell’associazione armata è inammissibile per le ragioni innanzi esposte.
Il quarto motivo, relativo alle attenuanti generiche, non si confronta con l’argomento sviluppato nella sentenza impugnata che nega le attenuanti generiche con un ragionamento che non presenta profili di manifesta illogicità, avendo ritenuto la Corte territoriale che il diniego della circostanza per reati meno gravi non era coerente con il riconoscimento dell’attenuante per reati più gravi. Il motivo, inoltre, valorizza il differente ambito temporale di operatività dell’associazione, non spiegando perché, però, tale elemento dovrebbe comportare la riduzione di una pena base coincidente con il minimo edittale, e le dichiarazioni rese nel procedimento di appello, che vengono sì allegate al ricorso, senza però che venga chiarito in cosa differiscono rispetto alle precedenti dichiarazioni e che contributo avrebbero fornito alla ricostruzione dei fatti.
Venendo al ricorso proposto nell’interesse di NOME, il primo motivo lamenta l’illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, per superare gli argomenti difensivi proposti con la memoria depositata all’udiénza del 29/11/2024, valorizza le vicende di cui ai capi 14), 5), 15), 21), in relazione alle quali, però, NOME COGNOME è stato mandato assolto o non è stato mai imputato.
Trattasi di argomenti già esaminati in quanto comuni ai ricorsi di NOME e NOME COGNOME.
Anche le censure che attingono i passaggi motivazionali relativi al fatto che all’invito di COGNOME ai COGNOME di raggiungerlo in Calabria per rifornirsi “presumibilmente” dai COGNOME e all’assoluzione dal reato associativo “delle signore COGNOME e COGNOME” risultano comuni ai ricorsi già esaminati e, pertanto, si rimanda a quanto innanzi esposto.
Generico, oltre che manifestamente infondato, risulta il motivo incentrato sull’applicazione a NOME dell’aggravante dell’associazione armata, esclusa dal GIP. Il trattamento sanzionatorio applicato NOMEa Corte territoriale per il reato associativo coincide con quello adottato dal giudice di primo grado, per cui non è dato comprendere in cosa sarebbe consistita la violazione del divieto di reformatio in peius.
Generiche risultano, anche, le censure relative al trattamento sanzionatorio e al diniego delle attenuanti generiche. La sentenza impugnata fornisce una motivazione in ordine alle ragioni per le quali ritiene che NOME non possa usufruire delle attenuanti generiche e in relazione a tale motivazione il ricorso non individua profili di manifesta illogicità né deduce le circostanze meritevoli di positivo apprezzamento che la Corte territoriale aveva indebitamente omesso di considerare.
24. E’ però fondato l’ultimo motivo di impugnazione.
La sentenza del GIP aveva irrogato complessivamente, per tutti i reati per il quali NOME era stato ritenuto colpevole, la pena di anni otto, mesi otto e gior’ni venti di reclusione. Aveva, ancora, ritenuto la continuazione fra il reato associativo e i reati scopo.
La prima sentenza di appello, per i soli reati satellite, ha inflitto a COGNOME la pena finale di anni 5, mesi 11 e giorni 10 di reclusione ed C 26.700,00 di multa.
Con la sentenza impugnata, che ha irrogato la pena di anni otto di reclusione in relazione al solo reato associativo, il cumulo materiale delle pene complessivamente inflitte a NOME risulta pari ad anni 13, mesi 11 e giorni 10 di reclusione ed C 26.700,00, in palese violazione del divieto di reformatio in peius, oltre che della sentenza di primo grado che aveva riconosciuto il vincolo della continuazione fra tutti i reati per cui NOME era stato condannato.
Va, quindi, disposto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in relazione a COGNOME NOME e COGNOME NOME in relazione alla mancata applicazione della continuazione fra il reato associativo e quelli giudicati con sentenza in data 17/10/2023.
Va, ancora, dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME che va condannato al pagamento delle spese processuali.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso di NOME COGNOME sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il predetto versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta NOME‘art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista NOME‘art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni delle inammissibilità stesse come sopra indicate.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME limitatamente alla omessa applicazione della continuazione con i reati oggetto della sentenza di condanna del 17 ottobre 2023 della Corte di appello di’ Milano, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Milano. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23/9/2025