Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23808 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23808 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 03/06/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; letta la memoria del difensore del ricorrente, avvocata NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del proprio ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.11 Tribunale di Catanzaro, con l’ordinanza indicata in epigrafe, annullata l’ordinanza del 2 gennaio 2025 con la quale era stata applicata la misura degli
arresti domiciliari per il reato di corruzione (art. 319 cod. pen.) ascritto all’indagato al capo 38), aveva, invece, confermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati di associazione a delinquere (art. 416 cod. pen., commesso in Catanzaro dal 2015, con condotta perdurante), maltrattamento di animali (art. 544-ter cod. pen.), falso in atto pubblico (artt. 476 e 479 cod. pen.,) di cui ai capi 5), 39) e 40), reati commessi, rispettivamente, in epoca successiva al 26 aprile 2019, e il 17 e 19 maggio 2023.
Il Tribunale aveva sostituito la misura con quella della sospensione dall’esercizio dei pubblici uffici interdicendo esercizio delle attività inerenti al carica per la durata di mesi nove.
NOME COGNOME era, all’epoca dei fatti, professore ordinario prima e Magnifico Rettore poi, dell’Università Magna Grecia di Catanzaro ove erano in esercizio, presso le sedi di Roccelletta di Borgia e Germaneto, alcuni stabulari animali (topi e ratti) per lo svolgimento di attività di ricerca.
L’ordinanza impugnata riassume le risultanze delle operazioni di intercettazioni telefoniche e ambientali e le dichiarazioni rese da persone informate sui fatti e ricostruisce una situazione di grave degrado ambientale nella gestione degli stabulari universitari, gestione finalizzata al conseguimento di contributi ministeriali in materia scientifica.
Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro e NOME COGNOME.
2.1. Il Pubblico Ministero, con riferimento alla ritenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di cui corruzione di cui al capo 38) denuncia:
2.1.1. erronea applicazione della legge penale in cui sarebbe incorso il Tribunale nel ritenere insussistente il reato in conseguenza della erronea lettura del compendio probatorio: ai fini dell’utile inserimento della COGNOME nella graduatoria finale (ove si collocava terza su quattro posizioni) non era, infatti, sufficiente il mero punteggio ottenuto all’esame (67) poiché ben avrebbe potuto essere scavalcata da altri candidati che potevano contare anche sul possesso dei titoli: il pactum sceleris dell’indagato si è consumato giustappunto attribuendo a tali candidati punteggi minori. E’ in tale segmento che si colloca la condotta corruttiva;
2.1.2. violazione di legge (art. 192 cod. proc. pen.) nella lettura del compendio indiziario poiché il Tribunale opera una lettura “scollegata” tra le conversazioni NOME COGNOME e figlia (in cui il COGNOME la rassicurava sulle entrature di cui godeva per poterle garantire l’ingresso alla scuola di
specializzazione) e il contenuto delle conversazioni intercorse tra il COGNOME e la COGNOME in cui il COGNOME “ragguagliava” la collega su chi sia la COGNOME e sul ruolo del padre nell’A.S.P.;
2.1.3. cumulativi vizi di motivazione per la ritenuta insussistenza delle esigenze cautalari di cui all’art. 274, lett. a) cod. proc. pen. in relazione all insussistenza del pericolo di inquinamento probatorio. Non assume valenza decisiva che gli indagati fossero a conoscenza delle indagini e il clamore mediatico della vicenda per escludere il pericolo di reiterazione di condotte inquinanti che gli indagati hanno già posto in essere, avvicinando le persone informate sui fatti che dovevano essere escusse dal Pubblico Ministero. Alla luce delle condotte di inquinamento tenute da ben nove dei dodici indagati, il trascorrere del tempo e il diminuire del clamore mediatico ingenerano, al contrario, la maggior tranquillità degli indagati di essere sottoposti a investigazioni tale per cui i freni a delinquere sono ancora minori. Il Tribunale ha compiuto una lettura depotenziata degli elementi che emergevano dalle indagini circa la sottoposizione delle persone da escutere a pressioni, a cui aveva fatto Martina COGNOME. Contraddittoria e illogica la motivazione del Tribunale sull’adeguatezza della misura interdittiva applicata al COGNOME , misura che non può impedirgli di reiterare gli illeciti servendosi del suo entourage e della sua posizione di potere all’interno dell’Ateneo poiché tale misura non gli impedisce la ingerenza nelle attività universitarie e di ricerca. Concreto e attuale è, pertanto, il pericolo di reiterazione di manovre inquinanti e evidente l’inadeguatezza della misura interdittiva applicata all’indagato.
2.2. NOME COGNOME denuncia:
2.2.1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla individuazione del ruolo e del contributo del ricorrente nei fatti che gli vengono ascritti. Rileva che le dichiarazioni acquisite sono estremamente generiche nella ricostruzione di fatti che non sono stati precisamente collocati nel tempo, tenuto conto che il ricorrente solo dall’anno 2017 era diventato Magnifico Rettore mentre in precedenza era professore ordinario e, quindi, privo di poteri direttivi in materia organizzativa. Le dichiaranti (con particolare riferimento al reato di cui al capo 5), non facevano parte del progetto n. 447 del 2016 e non hanno riferito di alcuna attività svolta, alla loro presenza, dal ricorrente. Il Tribunale incorre in una descrizione confusa dei fatti e non ha esaminato le deduzioni difensive, svolte con i motivi del ricorso cautelare. Ulteriore contraddittorietà si rileva nella descrizione delle criticità delle due strutture (Germaneto e Roccelletta di Borgia) sovrapponendo a tale ultima struttura il ruolo del dottor COGNOME che, invece, era competente in quella di Germaneto: si confondono, dunque, gli stabulari e la
responsabilità del ricorrente, per quello di Roccelletta di Borgia, è fondata sulla erronea ricostruzione della situazione di fatto;
2.2.2. è insussistente il reato di falso di cui al capo 5), il cui contenuto va ricostruito sulla procedura di cui all’art. 32, comma 2, del d. Igs. n. 26 del 2014 poiché il l’indagato si era limitato a fornire una puntuale risposta al questionario ministeriale (sul numero di animali utilizzati; modalità di soppressione e anestetico utilizzato): la “gravità” della sofferenza per l’animale utilizzato per l sperimentazione era stata oggetto di differente e preliminare valutazione, di competenza del dottor COGNOME e giudicata minus valente rispetto alla utilità del progetto stesso, ma estranea alla valutazione cd. retrospettiva di competenza dell’indagato. Anche le modalità di soppressione dell’animale sono conseguenti alla tipologia di sperimentazione adottata e, in taluni casi, la soppressione va compiuta proprio tramite la decapitazione, potendo la somministrazione di anestetico essere incompatibile con il protocollo sperimentale;
2.2.3. la lettura delle conversazioni intercettate non consente di ritenere sussistenti i reati di falso di cui ai capi 39) e 40). Anche a tal riguardo il Tribunale omettendo di valutare le allegazioni difensive, è incorso nella erronea valutazione degli elementi risultanti dalle captazioni poiché, in linea con i poteri riconosciutigli dallo Statuto, si era limitato a “supervisionare” i risultati, a richiesta del dottoressa COGNOME;
2.2.4. sono contrassegnati da intrinseca genericità gli elementi posti a fondamento del reato di cui al capo 1) nella parte in cui il Tribunale valorizza, a carico del ricorrente, omissioni di competenza di altre figure professionali e, precisamente, del coindagato dottor COGNOME Né il Rettore poteva essere a conoscenza degli eventi (l’uccisione di nove roditori, in relazione al progetto 366 del 2020);
2.2.5. violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza di elementi concreti e attuali idonei a denotare il pericolo di reiterazione tenuto conto della intervenuta sospensione cautelare adottata in ambito universitario. La motivazione a carico del ricorrente è speculare a quella di altro coindagato, nonostante la diversità delle rispettive posizioni di responsabilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Sono fondati i motivi di ricorso del Pubblico Ministero (sintetizzati ai punti 2.1.1 e 2.1.2 del “Ritenuto in fatto”), sulla ritenuta insussistenza del reato di corruzione di cui al capo 38) e i motivi di ricorso (sintetizzati ai punti 2.2.1 e 2.2.4. del “Ritenuto in fatto”), sulla ritenuta configurabilità del reato associativo ascritt al De Sarro al capo 1) della rubrica, il che comporta l’assorbimento dei motivi
proposti, sia dal Pubblico Ministero (motivo n. 2.1.3) che dal difensore del ricorrente (motivo 2.2.5) sul punto della sussistenza delle esigenze cautelari e della misura interdittiva disposta. Sono, invece, generici e manifestamente infondati i motivi di ricorso di NOME COGNOME sulla sussistenza dei reati ascrittigli ai capi 5), 39) e 40).
2.Con riferimento al reato di corruzione (artt. 319-321 cod. pen., capo 38) costituisce “ius receptum” nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui il delitto di corruzione postula un patto nel quale siano dedotti l’atto dell’uffici e sinallagmaticamente la prestazione di un’utilità, nel senso che quest’ultima non può rilevare ex se al di fuori del suo specifico inserimento nell’illecita intesa (Sez. 6, n. 39008 del 6/5/2016, COGNOME, Rv. 268088; Sez. 6, n. 5017 del 7/11/2011, dep. 2012, Bisignani, Rv. 251867
Il Tribunale ha, invece, ritenuto insussistente il delitto di corruzione perché non risultava accertata la promessa di utilità preventivamente esternata a favore di NOME COGNOME, figlia del NOME COGNOME, Direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’A.S.P. Veterinaria di Catanzaro: a tal riguardo ha ritenuto irrilevanti le conversazioni intercorse tra il COGNOME e la figlia poiché le coeve conversazioni intercettate, tra il Rettore COGNOME e la professoressa COGNOME, presidente della commissione esaminatrice del concorso per l’ammissione alla Scuola di Specializzazione in “Farmacologia e Tossicologia Clinica per laureati non medici”, non rivelavano la esistenza di una indebita promessa del COGNOME al COGNOME, pur essendo a conoscenza che la candidata fosse figlia del COGNOME, al quale faceva riferimento alludendo anche all'”utilità” del ruolo di questi per la Facoltà. Il Tribunale ha ritenuto, inoltre, che non risulta che il ricorrente abbia specificamente avvantaggiato la COGNOME in guisa da adempiere al patto corruttivo, solo presunto, poiché il risultato delle prove scritte era sufficiente ad assicurarne l’utile inserimento nella graduatoria finale.
La valutazione del Tribunale, come correttamente rilevato dal Pubblico Ministero ricorrente, è manifestamente illogica e costituisce il risultato di un apprezzamento del giudizio di gravità indiziaria degli elementi raccolti sviluppato in violazione di legge (art. 192 cod. proc. pen.), perché frutto di una lettura frazionata e atomistica degli elementi di prova.
Il Tribunale, infatti, opera una lettura “scollegata” tra le conversazioni COGNOME padre e figlia (in cui il COGNOME rassicurava la figlia sulle entrature di cui godeva per poterle garantire l’ingresso alla Scuola insistendo affinché si iscrivesse alla specializzazione in Farmacologia e Tossicologia, piuttosto che a quella di Farmacologia Ospedaliera in cui la presidente della commissione di concorso “non guarda in faccia a nessuno” aggiungendo “…no loro mi hanno
rassicurato al 100%, mi hanno detto….”) e il contenuto delle conversazioni intercorse tra il COGNOME e la COGNOME, al momento della valutazione della prova sostenuta dalla COGNOME ai fini del suo utile inserimento nella graduatoria rilevante per l’assegnazione alla scuola di specializzazione, che prevedeva tre soli posti (poi aumentati a quattro).
Infatti il COGNOME rammentava reiteratamente alla collega “chi” fosse la COGNOME e il ruolo del padre, veterinario capo dell’A.S.P. e la sua importanza per le strutture universitarie (pag. 18 dell’ordinanza impugnata, “…ma Io sai chi è? Il veterinario capo! ” ” .eh ti serve il veterinario capo…forse non l’hai capito chi è 1 GLYPH è dell’A.S.P.) .
Risulta, inoltre, manifestamente illogica, anche alla luce delle ritenute condotte di falso di cui ai capi 39) e 40), la conclusione che l’utile inserimento della COGNOME nella graduatoria finale (ove si collocava terza su quattro posizioni) era conseguente alla mera valutazione che la candidata aveva conseguito in relazione alla prova scritta poiché non era, infatti, sufficiente il mero punteggio ottenuto all’esame (67) dal momento che la candidata ben avrebbe potuto essere scavalcata da altri candidati che potevano contare anche sul possesso dei titoli, dalla COGNOME non posseduti, quali NOME COGNOME e NOME COGNOME titoli (consistenti nel voto di laurea; nell’attinenza della tesi alle materie di studio della specializzazione e nel valore scientifico delle pubblicazioni) la cui attribuzione rientrava nelle valutazioni discrezionali della Commissione.
Come rilevato dal Pubblico Ministero l’indebito vantaggio assicurato alla COGNOME si sarebbe consumato, giustappunto, attribuendo a tali candidati punteggi minori.
Va, infine, rilevato che l’ordinanza impugnata, nella valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ha del tutto trascurato che, in relazione al reato associativo di cui al capo 1), era contestato al COGNOME, che questi aveva mantenuto uno stabile rapporto corruttivo con NOME COGNOME nella qualità, al fine di occultare le condotte delittuose svolte all’interno degli stabulari, attribuendogli le utilità prezzo della corruzione.
Nell’ordinanza impugnata, pur essendo richiamate le funzioni di copertura delle irregolarità riscontrate nella gestione degli stabulari da parte del servizio RAGIONE_SOCIALE competente, a cui era preposto NOME COGNOME non è meglio descritto “lo stabile rapporto corruttivo” che sarebbe intercorso con il COGNOME, aspetto che, se concretamente individuato, impone, comunque, di verificarne la rilevanza ai fini della ricostruzione del reato di cui al capo 38).
3.L’ordinanza impugnata deve essere annullata anche con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato associativo, di cui al capo 1).
L’ordinanza impugnata è inficiata dall’esposizione non analitica con riferimento all’esame dei gravi indizi di colpevolezza del reato associativo.
Il Tribunale procede nella ricostruzione per sintesi del quadro indiziario, omettendo il confronto critico con le deduzioni difensive svolte dal difensore del ricorrente, nel quale viene sovrapposta alla descrizione della situazione di irregolarità, caos, confusione che regnava nella gestione degli stabulari, la individuazione del programma criminoso del reato associativo.
La motivazione del reato associativo risulta, pertanto, priva di una effettiva struttura motivazionale, anche tenuto conto della concreta articolazione della condotta, come contestata e del riferimento (a pag. 6), al programma criminoso finalizzato ad ottenere il finanziamento dei progetti scientifici dal Ministero della Salute, sovrapposto alla confusione, al caos e alle irregolarità che contrassegnavano la gestione degli stabulari, aspetto, questo, che non viene approfondito se non con riferimento al progetto n. 407 (quello del falso di cui al capo 5).
Elemento essenziale, ai fini della configurabilità del reato associativo di cui all’art. 416 cod. peri., è, come noto, la esistenza di una struttura organizzata sovraordinata rispetto ai singoli reati e volta alla commissione di una serie indeterminata di reati: è proprio la presenza di una struttura sovraordinata rispetto ai singoli componenti a rappresentare un pericolo per la sicurezza pubblica e a giustificare, rispetto al mero accordo volto alla commissione di reati, la punibilità del reato associativo.
Indispensabile, dunque, ai fini della configurabilità del reato associativo di cui all’art. 416 cod. pen. – rispetto al concorso di persone nel reato, anche continuatoè l’accertamento, fondato su gravi indizi, della esistenza del programma criminoso, volto alla commissione di un numero indeterminato di delitti e la inferenza della prova, anche sulla base dei reati eventualmente commessi, della esistenza di una struttura associativa in casi nei quali tale struttura sia individuabile in un uffici pubblico, preesistente e funzionale alla realizzazione di finalità lecite, del perseguimento, attraverso specifiche condotte, di obiettivi illeciti.
La differenza fra il reato associativo e il concorso di persone nel reato continuato si individua, pertanto, nel diverso atteggiarsi dell’accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati – anche nell’ambito di un medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti (ex plurimis Sez. 5, n. 1964 del 07/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 27444201).
Rilevante, inoltre, ai fini della configurabilità del reato associativo, la stabilit del vincolo e la indeterminatezza del programma che si manifesta nella capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre alla consumazione dei reati fine.
Il Tribunale (pag. 20 e ss. dell’ordinanza impugnata) ha ritenuto sussistente il reato associativo valorizzando, le condotte tenute dal ricorrente che, temendo di essere scoperto, ha compiuto, tra gli altri, ulteriori delitti quali quelli in materia falso, per tentare di ammantare di liceità le operazioni poste in essere negli anni precedenti e le condotte (quali avere utilizzato, per conversazioni con i sodali) il balcone esterno all’Ufficio del Rettore.
Si tratta, tuttavia, alla stregua di quanto indicato in premessa, di elementi non univocamente conducenti ai fini della sussistenza del reato associativo, al quale rinvia il solo episodio del falso descritto al capo 5), e la cui rilevanza, anche tenuto conto della ritenuta insussistenza del reato di corruzione di cui al capo 38) al quale erano funzionali i reati ascritti ai capi 39) e 40), non è chiarita nelle pagine successive dell’ordinanza in cui vengono riportate, a comprova della esistenza di una struttura organizzata e del programma criminoso che aveva caratterizzato la gestione degli stabulari, le conversazioni nel corso delle quali uno dei correi (il dottor NOME COGNOME, sfogandosi con i colleghi, faceva riferimento alla esistenza di “un sistema”, affermazioni, poi, ridimensionate nel corso dell’interrogatorio.
Aspetti men che mai, approfonditi nelle pagine precedenti dell’ordinanza in cui venivano richiamate le dichiarazioni dei coindagati e dei terzi, per lo più tirocinanti che descrivevano la gestione degli stabulari: come anticipato, tali illeciti e irregolarità, sono esaminati in carenza di una correlazione con la realizzazione del programma associativo e con la individuazione, a carico del ricorrente e dei correi, della specifica individuazione delle responsabilità correlate ai ruoli dei singoli indagati, sovrapponendo, così, una manifesta situazione di irregolarità della gestione della struttura, al programma associativo.
4.Ai fini della descrizione delle irregolarità della gestione degli stabulari sono riportate le dichiarazioni rese dalle dottoresse NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, secondo le quali le condizioni generali dello stabulario di Roccelletta di Borgia erano pessime (il condizionatore spesso si guastava, così come il timer giorno e notte, alterando così il ciclo sonno/veglia degli animali; le gabbie erano sempre sporche), pessimo stato generale di cui si erano personalmente rese conto le dichiaranti.
E’, altresì, accertato che presso lo stabulario di Roccelleta di Borgia, era stato allestito, almeno fino all’anno 2022, un allevamento di ratti; parimenti è accertata la mancanza, in entrambe le strutture, di sorveglianza sanitaria che aveva comportato l’utilizzo di animali non tracciati e le violazioni in materia di tenuta dei
registri dei farmaci, istituiti rispettivamente, nell’anno 2021 e 2017 presso gli stabulari di Roccelletta di Borgia e Gemaneto.
Sono, infine, oggetto di ricostruzione e analisi attraverso le predette dichiarazioni le modalità cruente di soppressione degli animali, sottoposti a decapitazione, senza alcun somministrazione di anestetico.
Nel descrivere il dato documentale, che riscontra tali dichiarazioni, l’ordinanza impugnata riporta numerose conversazioni intercettate dalle quali emergono i tentativi del dottor NOME COGNOME – Responsabile del benessere animale presso lo stabulario ubicato in Germaneto e presidente dell’O.P.B.T. di entrambi gli stabulari – e di NOME COGNOME (direttore generale dell’U.M.G.) in cui, a seguito del contenzioso avviato dal veterinario NOME COGNOME che aveva denunciato le irregolarità nella gestione degli stabulari, veniva evidenziato la risalente e perdurante situazione di carenza di sorveglianza epidemiologica che caratterizzava la gestione delle strutture e il tentativo del dottor COGNOME di procurar documentazione idonea a dimostrare la effettuazione di indagini che, in realtà, non erano mai state effettuate.
Si tratta di una situazione di generalizzata irregolarità che l’ordinanza impugnata, tuttavia, non collega alle “finalità illecite” perseguite dalla Facoltà attraverso la predisposizione dei progetti presentati al Ministero della Salute per il conseguimento di finanziamenti pubblici.
5.Come anticipato, l’unico reato, ricostruito con specifica correlazione al programma dell’associazione, indicato nel conseguimento di contributi pubblici ai fini di ricerca, è costituito dal reato di falso di cui al capo 5), relativo a dichiarazione, sottoscritta dal Rettore COGNOME secondo cui “la gravità delle procedure era stata al di sotto delle aspettative, di un punto”, tanto nell’ambito dell’autorizzazione n. 447 /2016 autorizzato dal Ministero della salute.
Le censure difensive svolte con riferimento alla sussistenza di tale reato sono generiche perché volte alla rivalutazione degli elementi di fatto – in particolare quelle relative alle modalità di soppressione degli animali utilizzati – ovvero alla pertinenza, rispetto a tale procedura, delle dichiarazioni rese dalle testi innanzi indicate, trascurando che, invece, il Tribunale ha precisamente ricostruito le modalità di esecuzione del progetto, svoltesi nel descritto contesto, richiamando altresì, ai fini della configurabilità del falso, la rilevanza, nell’ambito approvazione dei risultati del progetto, della relazione redatta dall’indagato.
6.Generiche e manifestamente infondate sono anche le argomentazioni difensive sulla sussistenza dei reati di cui ai capi 39) e 40): anche a tal riguardo, le deduzioni difensive si risolvono in censure di merito poiché propongono,
riconducendoli ai poteri di “supervisione” del COGNOME, indimostrate in relazione alle procedure di selezione, ma in contrasto con le concrete modalità di attribuzione dei punteggi desumibili dalle conversazioni intercettate.
Infatti, risulta dal contenuto delle conversazioni intercettate che il ricorrente, esaminando i risultati delle attività concorsuali svolte per il concorso di ammissione alla “Scuola di specializzazione in Farmacologia e Tossicologia clinica per laureati non medici”, procedeva direttamente, con la professoressa NOME COGNOME alla “revisione” della graduatoria formata, con attribuzione di punteggi del tutto diversi da quelli che erano stati riconosciuti dalla competente commissione alle candidate NOME COGNOME e NOME COGNOME.
L’ordinanza impugnata evidenzia, correttamente, la natura mendace del verbale numero 4 (con cui venne approdata la approvata la graduatoria di merito allegata al verbale) in quanto emerge una duplice falsità ideologica: la prima relativa all’attribuzione dei punteggi finali complessivi per ogni candidato, che non avviene da parte della Commissione e nell’orario registrato, ma nell’Ufficio del Rettore da parte di quest’ultimo e della professoressa COGNOME a seguire delle operazioni svolte dalla competente Commissione.
In secondo luogo vi è una falsità in relazione ai punteggi indicati nella graduatoria finale di merito: infatti, nonostante risultassero dal verbale n. 2 assegnati 0,75 punti per gli esami e 6 punti per la tesi a NOME COGNOME e 0.5 punti per gli esami e 5 punti per la tesi a NOME COGNOME nella graduatoria finale di merito, i punti assegnati per la tesi a NOME COGNOME diventano 8 mentre quelli della dottoressa COGNOME diventano quattro venendo, così, sostanzialmente ridotti.
Vero è che, secondo la giurisprudenza, non è configurabile il reato di falso ideologico in atto pubblico nel caso in cui il pubblico ufficiale è chiamato ad esprimere un giudizio svincolato da criteri di valutazione predeterminati, trattandosi di attività assolutamente discrezionale, sicché il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto (Sez. 5, n. 38774 del 12/05/2017, P.c. in proc. traetta, Rv. 271203), ma, nel caso in esame, si verte in una fattispecie concreta del tutto diversa poiché l’attribuzione del punteggio, in relazione ai titoli, era stata già effettuata dalla competente commissione e il ricorrente non aveva il potere di modifica delle valutazioni già compiute dalla Commissione.
Consegue alle argomentazioni fin qui svolte, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con riferimento ai reati di cui ai capi 1), su ricorso dell’indagato, e 38), su ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro.
Il Tribunale, in sede di rinvio, facendo uso dei suoi poteri al riguardo, dovrà, pertanto, riesaminare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza con riferimento
)-)
a tali reati e rivalutare, alla luce dei risultati conseguiti, la sussistenza dlel esigenze cautelari e quelle sull’adeguatezza della misura applicata.
Sono, invece, inammissibili i motivi di ricorso dell’indagato con riferimento ai reati di cui ai capi 5), 39) e 40).
P.Q.M.
in accoglimento dei ricorsi, annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, C.P.P.
Così deciso il 3 giugno 2025
La Consigliera relatrice