Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4226 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4226 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PAOLA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/06/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG PIETRO COGNOME
Il Proc. Gen., riportandosi integralmente alle conclusioni in precedenza depositate, chiede che venga dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
uditi i difensori
L’AVV_NOTAIO COGNOME NOME si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO, al termine del proprio intervento, insiste nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza del 6 giugno 2023 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato la misura cautelare della custodia in carcere applicata a NOME COGNOME dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro con l’ordinanza del 6 aprile 2023 per i delitti ex art.73, 74 d.P.R. n. 309 del 1990 di cui ai capi 74, 75, 200, 201, 202 e da 204 a 225.
Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di NOME COGNOME.
2.1. Con il primo motivo si deducono, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli art. 292, comma 2, lett. c) e 309, comma 9, cod. proc. pen., e la manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato di cui al capo 200.
Nella prima parte del motivo si riassumono le questioni dedotte con la memoria difensive, relative in particolare alla contestazione per cui «l’ordinanza impugnata di cui al capo di imputazione n.200, riguardo la posizione di COGNOME NOME, non integrava i presupposti necessari dell’art. 292 c.p.p.» quanto, in particolare alla sussistenza del vincolo associativo e della contabilità comune; all’assenza di sequestri ed alla sussistenza di un caso di cd. droga parlata; ai reati di cui ai capi 74 e 75; alla necessità della valutazione degli indizi ai sensi dell’ar 192, comma 2, cod. proc. pen. ed al canone del ragionevole dubbio; alla giurisprudenza sulla prova del reato associativo in relazione alla commissione dei reati fine; alla sussistenza dell’associazione per delinquere di cui al capo 62; alla necessità della consapevolezza degli associati (pag. 2-4).
Le contestazioni dell’ordinanza genetica concernevano, altresì, la mancanza di motivazione sulla struttura organizzativa, anche se minimale; la valutazione del ruolo dei singoli e della gravità indiziaria esclusivamente sulle intercettazioni telefoniche; l’affermazione della esistenza della cassa comune.
Il Tribunale del riesame avrebbe erroneamente definito generici i motivi di riesame e non si sarebbe confrontato con i dedotti motivi specifici, in particolare sull’assenza della gravità indiziaria del reato associativo di cui al capo 200.
Dopo aver riportato una parte della motivazione dell’ordinanza impugnata, si sostiene che il Tribunale del riesame avrebbe effettuato una disamina parziale degli elementi a carico di NOME COGNOME e della sua, indicata, posizione egemone sugli equilibri criminali di NOME; si sarebbe limitato a ripercorrere il ragionamento logico operato dal Giudice per le indagini preliminari non valutando le diverse circostanze, fra cui l’esistenza della cd. «bacinella comune» anche per il
gruppo COGNOME, senza valutare le conversazioni in cui l’indagato riferirebbe di averci rimesso C 13.000.
Inoltre, diversamente da quanto ritenuto nell’ordinanza cautelare, i soggetti indagati del reato associativo si porrebbero tutti sullo stesso piano e svolgerebbero tutti la stessa funzione; la circostanza che ciascuno degli indagati fosse dedito alla cessione al minuto, che si ricaverebbe dalle imputazioni relative agli episodi di cessione, farebbe sì che non potrebbe essere configurata la ripartizione di ruoli e di funzioni, che è tratto tipico e necessario dell’associazione per delinquere, così come ricostruita dal Giudice per le indagini preliminari.
In assenza di riscontri esterni, le intercettazioni telefoniche non dimostrerebbero la suddivisione dei ruoli, come invece indicato dal Giudice per le indagini preliminari ma che il ricorrente fungerebbe solo da fornitore al quale gli acquirenti pagherebbero la sostanza stupefacente, poi rivenduta a terzi.
Si riportano le conversazioni n. 5945 del 2 aprile 2020 e quelle tra il COGNOME e la moglie che non sarebbero state evidenziate nella motivazione dell’ordinanza impugnata.
Il richiamo del Giudice per le indagini preliminari al contenuto della richiesta cautelare dimostrerebbe l’assenza di autonoma valutazione anche rispetto alla, contestata, gestione di una cassa comune nella quale sarebbero confluiti i proventi dell’attività illecita. La cassa comune rappresenterebbe uno degli indici sintomatici e più significativi dell’associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
In sintesi, dalle conversazioni telefoniche richiamate nell’ordinanza genetica non emergerebbe che i singoli spacciatori siano stipendiati attraverso la ripartizione dei proventi confluiti nella cassa comune ma al più che pagherebbero le sostanze stupefacenti ricevute.
La valutazione complessiva del quadro indiziario, trasfuso nella sua totalità dell’ordinanza genetica, dovrebbe comportare l’annullamento dell’ordinanza in quanto il Tribunale del riesame avrebbe omesso il doveroso apprezzamento di tali elementi; l’ordinanza genetica avrebbe dovuto avere una valutazione autonoma per ciascun imputato e ciascuna imputazione. Il difetto dell’autonoma valutazione esisterebbe anche nel caso di insufficienza della motivazione, anche in presenza dei poteri integrativi previsti dalla legge.
Il richiamo del Giudice per le indagini preliminari alle intercettazioni relativ alla posizione del ricorrente sulla tenuta della contabilità ed il riferimento meccanismi del recupero del credito costituirebbero, al più, indizi che gli indagati COGNOME, COGNOME e COGNOME dovevano restituire a NOME COGNOME il prezzo di acquisto della sostanza stupefacenti da questi ceduta e non già i proventi delle attività di gestione.
2.2. Con il secondo motivo si deducono, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli art. 292, comma 2, lett. c) e 309, comma 9, cod. proc. pen., e l’assenza di motivazione in relazione ai reati di cui ai capi 201, 202 e da 204 a 225, relativi alle singole cessioni, ritenute reati fine, ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, contestati a NOME COGNOME.
Dopo aver riassunto nelle pagine da 11 a 13 i motivi di riesame, si afferma che il Tribunale del riesame si sarebbe limitato a richiamare le argomentazioni dell’ordinanza genetica, capo per capo, senza entrare nel merito delle questioni dedotte con la memoria difensiva; a ripetere solo gli elementi di sintesi indicati dal Giudice per le indagini preliminari, affidandosi alla logica deduttiva, ritenuta capace di colmare l’assenza degli elementi di fatto su cui collocare la figura di NOME COGNOME.
Il Tribunale del riesame avrebbe ritenuto sussistente la gravità indiziaria in base al solo dato captivo; avrebbe dato atto dell’esistenza di parti dell’ordinanza genetica che si differenziano dalla richiesta del pubblico ministero in termini di valutazione della gravità indiziaria della sussistenza delle fattispecie di reato.
La gravità indiziaria, quale reggente del gruppo Serpa in NOME, sarebbe stata valutata in base alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME che svolse l’attività di reggente in NOME dal 2012 al Marzo del 2014, data dell’arresto e dell’inizio della collaborazione; tali dichiarazioni sarebbero state direttamente collegate ai reati fine commessi dal 2019 in avanti senza che il collaboratore di giustizia ne avesse conoscenza.
Come indicato nella memoria difensiva, gli indizi avrebbero dovuto essere valutati ai sensi dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. ed in base al principio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio.
2.3. Con il terzo motivo si deducono, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen. e l’assenza di motivazione sui reati di cui ai capi 74 e 75 contestati a NOME COGNOME. Dopo aver riportato, sinteticamente, la motivazione dell’ordinanza genetica, richiamato i principi della giurisprudenza (tra cui la sentenza delle Sezioni Unite Squicciarino) sulla valutazione della prova indiziaria, si rileva che il Giudice per le indagini preliminari si sarebbe limitato a condividere la lettura delle intercettazioni effettuata dalla Procura della Repubblica; riportata la motivazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame sui capi, si deduce il vizio della motivazione perché la gravità indiziaria sarebbe stata ritenuta in base a conversazioni avvenute tra terzi e non sarebbe stata data risposta alle specifiche deduzioni delle parti; non sarebbero state applicate le regole della logica.
2.4. Con il quarto motivo si deducono, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 273 cod. proc. pen., l’erronea applicazione
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della legge penale ed il vizio della motivazione sul pericolo di reiterazione dei reati della stessa specie ex art. 274, lett. c), e 275 cod. proc. pen.
La concretezza ed attualità delle esigenze cautelari dovrebbero essere ritenute esistenti anche nel caso dell’applicazione dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Il Giudice per le indagini preliminari non avrebbe fatto riferimento al dato temporale dai fatti né ad elementi di continuità del periculum libertatis. Dalla motivazione dell’ordinanza impugnata, riportata nel ricorso, sulla sussistenza delle esigenze cautelari emergerebbe che il pericolo di reiterazione sarebbe stato dedotto dalla continuità dell’attività associativa, cioè da elementi estranei alla condotta dell’indagato.
La questione posta è quella del rapporto con il tempo trascorso dalla commissione del fatto in relazione alla presunzione ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e si richiama un orientamento della giurisprudenza diverso da quello applicato dal Tribunale del riesame.
Il Tribunale del riesame, nonostante la questione dedotta, non avrebbe specificamente analizzato l’esistenza di elementi concreti per ritenere la continuità del periculum libertatis, ritenendo apoditticamente sub valente il tempo trascorso dai fatti; avrebbe fatto esclusivo riferimento alla gravità dei fatti ascri all’indagato e al suo stabile inserimento nell’organizzazione, senza verificare se tale giudizio, in ragione delle peculiari caratteristiche della struttura associativa del contributo del ricorrente, sia o meno persistente rispetto al momento di adozione della cautela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sono formulati, nel loro incipit, deducendo la «violazione dell’art. 606 c.p.p….»: va rilevato che tale norma descrive i casi in cui è possibile esperire il ricorso per cassazione, sicché i vizi sussistono non per la violazione dell’art. 606 cod. proc. pen. ma quando il provvedimento impugnato sia incorso in violazione di legge sostanziale o processuale o in uno dei vizi della motivazione.
1.1. Inoltre, il vizio ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., ch concerne la violazione di legge sostanziale, è stato dedotto nei motivi con riferimento alla violazione di norme processuali.
1.2. Il primo motivo è inammissibile laddove deduce la violazione degli artt. 292, comma 2, lett. c), e 309, comma 9, cod. proc. pen.
1.2.1. Nei motivi di riesame, a pag. 6, la questione relativa alla mancanza di motivazione autonoma era stata dedotta esclusivamente con riferimento a quella parte dell’ordinanza genetica sulla tenuta alla contabilità del gruppo ed all’esistenza di una cassa comune.
Dunque, la questione dedotta con i motivi di riesame non concerne la motivazione dell’ordinanza genetica nel suo complesso che, infatti, è stata contestata con i motivi di riesame quanto alla sussistenza del reato associativo, ma esclusivamente un aspetto «fenomenico» dell’associazione per delinquere l’esistenza di una cassa comune – che, per altro, non costituisce un elemento costitutivo del reato.
Il motivo è, pertanto, inammissibile perché la nullità per la mancanza di motivazione autonoma dell’ordinanza genetica, qualificata dalla giurisprudenza quale relativa o a regime intermedio, è stata di fatto eccepita per la prima volta nel giudizio di legittimità.
Per altro, deve rilevarsi che nel ricorso si confonde spesso la contestazione sulla sussistenza della gravità indiziaria con la mancanza della motivazione o della motivazione autonoma.
1.2.2. Il ricorrente invoca erroneamente (ad es. pag. 4 del ricorso) nel giudizio incidentale cautelare l’applicazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., norma che non si applica alla gravità indiziaria ex art. 273 cod. proc. pen.; cfr. in ta senso Sez. 2, n. 8948 del 10/11/2022, dep. 2023, Pino, Rv. 284262 – 01, secondo cui, in tema di applicazione di misure cautelari personali, gli indizi di colpevolezza non devono essere valutati secondo i medesimi criteri richiesti per il giudizio di merito, essendo sufficiente la sola gravità di essi, evidenziata da qualsiasi elemento idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità della responsabilità dell’indagato, e non anche la precisione e la concordanza. In motivazione, la Corte ha precisato che la previsione di cui all’art. 273, comma 1-bis, cod. proc. pen. richiama espressamente quelle di cui ai commi 3 e 4 dell’art.192 cod. proc. pen., ma non quella di cui al comma 2.
1.3. È manifestamente infondato il primo motivo laddove deduce il vizio della motivazione perché il Tribunale del riesame non avrebbe analizzato i motivi di riesame; ed invero, il ricorso si confronta solo con una minima parte dell’ordinanza impugnata, limitandosi ad indicazioni generiche sull’omessa analisi dei motivi e sostanzialmente ripetendo, anche in alcune parti graficamente, gli argomenti contenuti nella memoria depositata dinanzi al Tribunale del riesame.
Il ricorso, nel riproporre i motivi di riesame, deduce in sostanza questioni di merito relative alla lettura alternativa delle fonti di prova senza confrontarsi con la motivazione dell’ordinanza impugnata sull’esistenza dell’associazione per delinquere, sul perché deve ritenersi, allo stato degli atti, che le conversazioni abbiano ad oggetto sostanze stupefacenti, in cosa consista la ripartizione di ruoli.
1.4. Il ricorrente incentra, poi, la maggior parte delle argomentazioni sulla insussistenza del reato associativo sulla circostanza che non risulterebbe provata l’esistenza della cassa comune.
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1.4.1. Sul punto, il motivo è manifestamente infondato.
Va ricordato che l’elemento aggiuntivo e distintivo del delitto di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, rispetto alla fattispecie del concorso di persone nel reato continuato di detenzione e spaccio di stupefacenti, va individuato non solo nel carattere dell’accordo criminoso, avente ad oggetto la commissione di una serie non preventivamente determinata di delitti e nella permanenza del vincolo associativo, ma anche nell’esistenza di un’organizzazione che consenta la realizzazione concreta del programma criminoso (Sez. 6, n. 17467 del 21/11/2018, NOME, Rv. 275550; Sez. 6, n. 18055 del 10/01/2018, Canale, Rv. 273008).
Non occorre, però, che tale organizzazione sia complessa, articolata o dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi, per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli associati.
1.4.2. L’eventuale assenza di una cassa comune non impedisce la consumazione del reato associativo, ben potendo un’attività organizzata conciliarsi anche con una gestione degli utili non paritaria né condivisa tra gli associati.
È sufficiente, infatti, che tra questi ultimi esista un comune e durevole interesse ad immettere sostanza stupefacente sul mercato del consumo, nella consapevolezza della dimensione collettiva dell’attività e dell’esistenza di una pur minima organizzazione.
Dunque, dall’esistenza o meno di una cassa comune non dipende la concretizzazione del reato associativo, perché la presenza della cassa comune è solo una delle tante e varie forme di manifestazione del reato associativo; l’organizzazione può assumere gli aspetti più vari nelle realtà delinquenziali e prescindere da tale elemento di fatto.
Secondo Sez. 6, n. 2394 del 12/10/2021, dep. 2022, Napoli, Rv. 282677 01, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, l’assenza di una c.d. «cassa comune» non è ostativa al riconoscimento dell’associazione, essendo sufficiente, anche nell’ipotesi di una gestione degli utili non paritaria né condivisa con tra i vari sodali, che tra questi sussista un comune e durevole interesse ad immettere nel mercato sostanza stupefacente, nella consapevolezza della dimensione collettiva dell’attività e dell’esistenza di una sia pur minima organizzazione.
1.5. Il motivo è manifestamente infondato laddove contesta il valore probatorio delle intercettazioni in assenza di riscontri.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni, anche quando non vi abbia
partecipato l’imputato, costituiscono fonte di prova diretta, soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, senza necessità di riscontro ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Cigliola, Rv. 268414 – 01), fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica; nel processo di merito, qualora, tuttavia, tali elementi abbiano natura indiziaria, essi dovranno possedere i requisiti di gravità, precisione e concordanza in conformità del disposto dell’art. 192, comma secondo, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 42981 del 28/06/2016, Modica, Rv. 268042 – 01).
Il secondo motivo è manifestamente infondato perché solo nella parte iniziale dell’analisi dei reati fine il Tribunale del riesame ha fatto riferiment all’ordinanza genetica; successivamente, l’ordinanza ha analizzato, per ciascuna imputazione, gli elementi di prova a carico dell’indagato.
2.1. Il Tribunale del riesame ha rilevato che il motivo di riesame era generico, non operando delle contestazioni specifiche, capo per capo, rispetto alla ricostruzione fattuale. Tale valutazione è del tutto corretta perché con il motivo di riesame si è contestata la sussistenza della gravità indiziaria dei reati fine – ad esclusione dei capi 74 e 75 – per la sola presenza delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, richiedendo l’applicazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.,
Tale norma non è applicabile, come già indicato, in sede cautelare.
2.2. Ne consegue che le questioni, diverse da quella in diritto ora riportata, sono state prospettate per la prima volta con il ricorso per cassazione e concernono per altro esclusivamente la valutazione degli elementi di prova, senza che si dimostri in alcun modo l’esistenza del vizio della motivazione.
Anche il terzo motivo è manifestamente infondato.
3.1. Oltre all’erronea deduzione del vizio ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per le considerazioni già espresse, il motivo si fonda su affermazioni in diritto errate, con cui, ancora una volta, si invoca l’applicazione dei principi della valutazione della prova indiziaria ex art 192, comma 2, cod. proc. pen. con riferimento ai gravi indizi ex art. 273 cod. proc. pen.
3.2. Si deduce la mancanza di motivazione sulla gravità indiziaria dei reati sub capi 74 e 75 che, invece, si rinviene nella tredicesima e nella quattordicesima pagina dell’ordinanza impugnata (non numerata).
3.3. Del tutto generica è la deduzione sul contenuto della motivazione, posto che si sostiene che non sarebbe adeguata senza neanche indicare, specificamente, perché la motivazione dovrebbe essere affetta da contraddittorietà o da manifesta illogicità.
Il quarto motivo è infondato.
4.1. A prescindere dalla tesi giuridica sul valore del tempo dalla commissione del fatto in relazione all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., il Tribunale del riesame, pur partendo dal presupposto della sussistenza della presunzione relativa ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ha esplicitamente motivato sulla sussistenza, concreta ed attuale, delle esigenze cautelari poiché ha preso in esame le modalità delle condotte poste in essere dal ricorrente e ne ha individuato uno spessore criminale tale da essere concreto ed attuale il pericolo della ricostituzione del vincolo associativo.
4.2. Quanto al tempo trascorso dai fatti, il motivo è manifestamente infondato.
4.2.1. Va ricordato che la giurisprudenza (Sez. 1, n. 42714 del 19/07/2019, Terminio, Rv. 277231 – 01) ha affermato che, in tema di misure cautelari, quando si procede per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., pur operando una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove, però si tratti di un rilevante arco temporale non segnato da condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità (cd. tempo silente), che può rientrare tra gli «elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari», cui si riferisce lo stesso art. 275 comma 3 cod. proc. pen.
Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, COGNOME, Rv. 281273 – 02, ha dato rilevanza, nei casi di applicazione della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. al «considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all’indagato», prevedendo, in tal caso che il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui, trattandosi di reati associativi o di delitto aggravato dall’art. 7 della legge 203 del 1991 (ora art. 416-bis I cod. pen.), non risulti la dissociazione dell’indagato dal sodalizio criminale.
4.2.2. Orbene, deve rilevarsi che il tempo trascorso dai fatti, che nella prospettazione difensiva è di circa 3 anni, non può definirsi né rilevante né considerevole; in ogni caso, il Tribunale del riesame ha preso esplicitamente in esame il tempo decorso dalla commissione del reato ma lo ha ritenuto recessivo rispetto alla esistenza, concreta ed attuale e non presunta, delle esigenze cautelari.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 28/11/2023.