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Reato associativo: inammissibile il ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato per reato associativo finalizzato allo spaccio. La Corte ha stabilito che non è possibile, in sede di legittimità, una nuova valutazione delle prove, come le dichiarazioni dei collaboratori o le intercettazioni, se la motivazione del giudice di merito è logica e completa.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato Associativo: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 9441 del 2024, offre un’importante lezione sui limiti del giudizio di legittimità in materia di reato associativo e misure cautelari. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. Esaminiamo nel dettaglio la decisione.

Il Contesto del Caso: Partecipazione a un’Associazione per lo Spaccio

Il caso riguarda un individuo sottoposto a misura custodiale per la presunta partecipazione a un’associazione criminale finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, aggravata dal fine di agevolare un potente sodalizio mafioso locale. L’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari, era stata confermata dal Tribunale del riesame.

L’indagato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la decisione su quattro punti principali, che spaziavano dalla mancanza dell’elemento soggettivo del reato alla valutazione delle prove e delle esigenze cautelari.

I Motivi del Ricorso: tra Costrizione e Vizi di Motivazione

La difesa ha articolato il ricorso sostenendo che:

1. Mancanza di adesione volontaria: L’indagato non avrebbe scelto liberamente di aderire all’associazione, ma sarebbe stato costretto ad agire in un contesto di asservimento e imposizione, per timore di ritorsioni. La sua partecipazione non poteva essere desunta dalla semplice reiterazione delle forniture di droga.
2. Inattendibilità delle prove: Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia erano state ritenute inaffidabili, contraddittorie o relative a periodi temporali non pertinenti all’accusa.
3. Omessa motivazione sull’aggravante mafiosa: Il Tribunale non avrebbe adeguatamente motivato la sussistenza della finalità di agevolazione mafiosa.
4. Errata valutazione delle esigenze cautelari: Non era stata considerata la possibilità di una misura meno afflittiva, né il tempo trascorso dai fatti e il percorso di risocializzazione intrapreso dall’indagato.

La Valutazione sul Reato Associativo in Sede di Legittimità

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo un tentativo di sollecitare una rilettura del materiale probatorio, attività preclusa in sede di legittimità. La motivazione del Tribunale del riesame è stata giudicata esaustiva, logica e lineare, e quindi non censurabile.

Il controllo della Cassazione, infatti, si limita alla violazione di specifiche norme di legge o alla manifesta illogicità della motivazione, senza poter entrare nel merito della ricostruzione dei fatti o dell’attendibilità delle fonti di prova.

Le Prove e la Partecipazione Volontaria nel Reato Associativo

Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la Corte ha evidenziato come le prove raccolte (intercettazioni tra i vertici, liste di spacciatori sequestrate) dimostrassero un inserimento strutturato e consapevole dell’indagato nell’organizzazione. Egli non era una mera vittima del “sistema”, ma un componente attivo, a conoscenza delle regole e capace persino di cercare margini di autonomia, come l’approvvigionamento da fonti esterne. Tale comportamento, secondo i giudici, smentiva la tesi della costrizione e confermava la sua volontaria partecipazione al reato associativo.

Le Motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le censure difensive. Sul primo motivo, ha spiegato che la tesi della costrizione era smentita dal comportamento tenuto dall’indagato, il quale era pienamente inserito nell’organigramma, rispettava le regole di ingaggio, ma al contempo tentava di ritagliarsi spazi di autonomia. Questo quadro non è compatibile con quello di una vittima, ma con quello di un partecipe consapevole.

Per quanto riguarda la valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori, la Suprema Corte ha sottolineato come il Tribunale del riesame avesse correttamente ritenuto tali dichiarazioni riscontrate da altri elementi oggettivi, come le conversazioni intercettate e il sequestro di documentazione. La loro coerenza complessiva documentava la stabilità e la continuità del ruolo dell’indagato nell’associazione, anche se alcune dichiarazioni si riferivano a periodi precedenti.

In merito all’aggravante mafiosa, la motivazione è stata considerata ricavabile dal contesto generale, ovvero dal risalente e consapevole inserimento dell’indagato in un sodalizio strettamente connesso alla più potente organizzazione mafiosa del territorio.

Infine, sulle esigenze cautelari, la Corte ha stabilito che il Tribunale non si era limitato alla presunzione di legge, ma aveva fondato la sua prognosi di pericolosità su elementi concreti: la gravità dei fatti, la professionalità criminale, la personalità dell’indagato e il suo profondo legame con il sodalizio. Il tempo trascorso e la recente attività lavorativa sono stati giudicati elementi non sufficienti a superare il persistente pericolo di recidiva.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cardine del nostro sistema processuale: il ricorso per cassazione non è una terza istanza di giudizio sui fatti. Se la motivazione del giudice di merito è logica, coerente e completa, non può essere messa in discussione davanti alla Suprema Corte semplicemente proponendo una diversa lettura delle prove. Per il reato associativo, la prova della partecipazione volontaria può essere desunta da una pluralità di elementi concordanti che dimostrano l’inserimento stabile e consapevole del soggetto nella struttura criminale, anche quando la difesa prospetta uno scenario di presunta costrizione.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove (es. dichiarazioni di pentiti) che hanno portato a una misura cautelare per reato associativo?
No, non è possibile se la censura mira a ottenere una nuova e diversa valutazione del merito delle prove. Il ricorso per cassazione è ammissibile solo se si denuncia una violazione di legge o una manifesta illogicità della motivazione del giudice precedente, non per riesaminare i fatti.

Agire sotto la pressione di un’organizzazione criminale esclude automaticamente la partecipazione volontaria a un reato associativo?
No. Secondo la sentenza, la tesi della costrizione e della mancanza di volontarietà è smentita quando il comportamento dell’indagato dimostra un inserimento consapevole nell’organizzazione, la conoscenza delle sue regole e persino tentativi di ritagliarsi spazi di autonomia. Tali elementi sono indicativi di una partecipazione volontaria e non di un mero asservimento.

Il tempo trascorso dai fatti e un nuovo lavoro sono sufficienti a escludere le esigenze cautelari per un reato associativo?
Non necessariamente. La Corte ha ritenuto che, in un quadro di grave pericolosità desunto dalla stabilità del vincolo associativo e dal ruolo svolto, il tempo trascorso è solo uno degli elementi da valutare. Se la prognosi di recidiva è fondata su elementi oggettivi e sulla personalità dell’indagato, questi fattori possono essere considerati insufficienti a superare la presunzione di pericolosità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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