Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2225 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2225 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/09/2024
SENTENZA
sui ricorsi di COGNOME NOME NOMECOGNOME nato a Catania il 13/02/1976; COGNOME NOMECOGNOME nato a Bra il 17/08/1969; COGNOME NOMECOGNOME nato in Albania il 27/09/1996, COGNOME nato in Albania il 18/04/1999, avverso la sentenza in data 23/06/2023 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi; udita per l’imputato COGNOME l’avv. NOME COGNOME sostituto processuale dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 23 giugno 2023 la Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza in data 27 luglio 2022 del G.u.p. del Tribunale di Torino, ha ridotto la pena irrogata a NOME COGNOME in accoglimento del concordato in appello, ha ridotto la pena irrogata a NOME COGNOME per il rito, ha confermato
la condanna per NOME COGNOME e NOME COGNOME tutti imputati per violazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e per varie violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
2. NOME COGNOME che ha fatto il concordato in appello, svolge un’unica censura sul vizio di motivazione in ordine alla pena; NOME COGNOME lamenta il vizio di motivazione in merito alla partecipazione al reato associativo perché aveva svolto compiti esecutivi non significativi; del pari NOME COGNOME contesta la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla partecipazione al reato associativo, mentre NOME COGNOME deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in merito alla partecipazione al reato associativo con il primo motivo e in merito al diniego del quinto comma dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 con il secondo motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. I ricorsi sono manifestamente infondati.
Il motivo proposto da COGNOME NOME è inconsistente perché l’accoglimento della richiesta, in punto di determinazione della pena, negli stessi termini oggetto del concordato, determina una definitiva preclusione processuale all’esperibilità di successive impugnative sul punto, all’infuori dell’ipotesi in cui il trattamento sanzionatorio sia illegale, circostanza non dedotta nel caso in esame (tra le più recenti, Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170 – 01), circostanza non verificata nel caso in esame.
Generici e rivalutativi sono i motivi proposti dagli altri imputati.
Va ribadito che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (da ultimo, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601 – 01). La Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. La manifesta illogicità della motivazione, prevista dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., presuppone che la ricostruzione proposta dal ricorrente e contrastante con il procedimento argomentativo recepito nella sentenza impugnata sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, G., Rv. 280589). In altri termini, il controllo sulla motivazione è circoscritto alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno
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determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame (si veda tra le più recenti, Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, R v. 284556-01).
COGNOME sostiene di lavorare regolarmente sul territorio italiano e di essersi prestato a locare gli alloggi da destinare all’attività di cessione di stupefacente, essendo a sua volta consumatore di cannabinoidi e di cocaina. Di qui la prospettazione dell’assenza dell’elemento psicologico del reato associativo, come da intercettazione ambientale del colloquio con altro sodale a cui rimproverava di essere rimasto sommerso dai debiti per la gestione degli alloggi. Non si confronta il ricorrente con la solida motivazione della sentenza impugnata che ha valorizzato, invece, a partire dalle intercettazioni non specificamente contestate, ben altri fattori, e in particolare la disponibilità continuativa delle proprie risorse e attiv in favore dell’associazione, consistente nella trasmissione del denaro in Albania tramite il servizio Western Union, secondo le indicazioni degli associati, il coordinamento e la vigilanza degli “operai” per conto di uno dei capi, Bushati, la riscossione dei proventi dello spaccio, la condivisione di ulteriori canali di approvvigionamento dello stupefacente, la messa a disposizione di auto e alloggi.
COGNOME enumera una serie di elementi sintomatici dell’inesistenza dell’associazione e/o della sua partecipazione: il presunto capo promotore COGNOME era assente dall’Italia dal 2017, era detenuto in Albania e aveva limitati contatti con COGNOME; vi era un rapporto di amicizia pregressa tra COGNOME, COGNOME e COGNOME; mancava la prova del possesso e/o dell’utilizzo di mezzi di trasporto deputati all’importazione o al trasporto di sostanze stupefacenti, di telefoni criptati, di basi logistiche ulteriori rispetto all’abitazione in Bra, alla INDIRIZZO, di luo di spaccio diversi da INDIRIZZO, di esistenza di una cassa comune, di assenza di uno scopo comune; la presunta associazione aveva iniziato a operare nel maggio 2019 ma a novembre era stato arrestato; l’assistenza legale era stata organizzata dalla madre che si era rivolta a un suo amico nell’ambito di un rapporto di vicinanza e solidarietà. La selezione dei suddetti fatti giunge a proporre una lettura assolutamente parziale del compendio probatorio, disancorata dalle emergenze processuali, alternativa e quindi, come sopra detto, inammissibile. La Corte territoriale ha evidenziato a carico dell’imputato altre circostanze ben più pregnanti: dalle intercettazioni, l’interpretazione del cui contenuto non è stata contestata, è stato possibile ricostruire un suo ruolo preminente nel controllo e nel coordinamento dell’attività di spaccio degli “operai” oltre che apprezzare l’ampiezza dell’intervento di Bushati sia per il sostegno economico alla madre sia per il reperimento del difensore sia per l’analisi degli eventi e la riorganizzazione
dell’associazione sia ancora per la comunicazione di informazioni rilevanti sull’arresto di altri sodali veicolate attraverso la madre.
COGNOME che non contesta il ruolo di partecipe, sostiene che non si possa parlare di associazione ma al limite di concorso di persone nel reato e che il reato del capo F) deve essere qualificato ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. La prospettazione del primo motivo è assolutamente carente perché non confuta il ragionamento svolto nelle pagine da 15 a 18 della sentenza impugnata in merito al reato associativo ove vi è la valutazione critica del compendio probatorio con ampi riferimenti alla motivazione di primo grado nelle pagine da 14 a 36. Del tutto disancorato dalle emergenze processuali è anche il secondo motivo, dal momento che i Giudici di merito hanno accertato plurime cessioni di cocaina a decine di acquirenti, dal settembre 2019 al settembre 2021, condotte di spaccio inserite a pieno titolo in una prolungata e stabile attività organizzata, caratterizzata da smercio di significativi quantitativi di stupefacente a un numero indeterminato di soggetti con guadagni incompatibili con la fattispecie di lieve entità.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità dei ricorsi, in via equitativa, di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende Così deciso, il 24 settembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente