Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 47673 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 47673 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Cinquefrondi il 27/12/2000 avverso l’ordinanza del 17/06/2024 del Tribunale di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; sentito l’Avv. NOME COGNOME in sostituzione ex art. 102 cod. proc. pen. dell’Avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha concluso chiedendo l’annullamento del provvedimento
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento indicato in epigrafe il Tribunale di Milano, adito in sede di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, nelle more sostituita con quella degli arresti domiciliari, emessa dal Giudice delle indagini preliminari presso il medesimo
Tribunale in data 21 maggio 2024 nei confronti di NOME COGNOME per i reati di associazione dedita all’attività di narcotraffico ex art. 74, comma 1, d.P.R. del 9 ottobre 1990 n. 309 , e di detenzione di sostanza stupefacente ai fini di cessione ex art. 73, comma 1, cit. d.P.R. , di cui alla contestazione provvisoria.
NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, ha proposto ricorso affidato a quattro motivi con cui ha dedotto:
violazione di legge, in relazione all’art.74 cit. d.P.R. n. 309, per avere il Tribunale del riesame ritenuto sussistente il reato associativo nonostante l’assenza di una struttura stabile ed organizzata volta alla realizzazione di un programma criminoso;
violazione di legge, in relazione all’art. 74, comnna 6, cit. d.P.R. n. 309, per la mancata sussunzione della fattispecie concreta nel paradigma normativo del fatto di lieve entità: i Giudici di merito non avevano adeguatamente considerato che le condotte di detenzione e cessione venivano desunte dall’attività captativa, di guisa che in assenza di recuperi della sostanza stupefacente, non era possibile individuare i quantitativi oggetto di detenzione;
vizio di motivazione, per omissione, essendo stata ritenuta la intraneità del Papasidero al presunto sodalizio assegnando allo stesso il ruolo di “corriere” e di “tuttofare”, valorizzando esclusivamente “due viaggi” (rectius trasferte in Calabria), di cui uno solo oggetto di specifica contestazione sub capo 21);
vizio di motivazione per travisamento della prova, i.e. delle intercettazioni, non emergendo dal tenore delle conversazioni monitorate il ruolo di corriere di droga ascritto al ricorrente e l’esistenza del reato associativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto generico e manifestamente infondato.
Il primo motivo – con cui è stato contestato l’an del fenomeno associativo-è manifestamente infondato.
2.1. La motivazione si presenta esaustiva, congrua, aderente al dato probatorio e conforme ai principi di diritto enunciati da questa Corte.
I Giudici del riesame- sulla scorta dell’attività intercettiva e di o.p.c. della Pg ritenevano sussistente la gravità indiziaria ex art. 273 cod. proc. pen. quanto alla esistenza e alla operatività sul territorio comasco, quantomeno a decorrere dal mese di giugno del 2020, di un gruppo stabilmente organizzato, facente capo a NOME COGNOME, che gestiva una fiorente piazza di spaccio smerciando al minuto e
all’ingrosso cospicui quantitativi di sostanza stupefacente, prevalentemente cocaina, ma anche hashish e marijuana.
Il gruppo – si legge nel gravato provvedimento- aveva come base logistica il distributore di carburanti con insegna “RAGIONE_SOCIALE” nel comune di Cislago: esso fungeva sia da “piazza di spaccio” sia da luogo di deposito dello stupefacente. Ed infatti, presso la sede del distributore il COGNOME provvedeva alla vendita al minuto della sostanza stupefacente avvalendosi dell’aiuto del cugino NOME COGNOME e sempre con l’aiuto di NOME COGNOME provvedeva al taglio della sostanza e alla preparazione delle dosi.
La sostanza stupefacente veniva periodicamente acquistata in Calabria, per il tramite del nipote NOME COGNOME e dell’attuale ricorrente, che effettuavano trasferte nel sud Italia traportando droga e danaro.
Inoltre, era il COGNOME che – oltre alla vendita al dettaglio – curava personalmente la consegna a domicilio, rifornendo clienti abituali (pag. 5 del provvedimento). L’attività era gestita – in modo organizzato- tanto che lo stesso COGNOME teneva una sorta di libro mastro in cui erano annotate le uscite e i debiti da recuperare.
2.2. Detti indici fattuali sono stati congruamente ed esaustivamente valorizzati dai Giudici di merito per ritenere esistente il sodalizio in contestazione: costante è, infatti, l’orientamento secondo cui – per la configurabilità dell’associazione dedita al narcotraffico – se non è sufficiente il semplice accordo di commettere in futuro una serie indeterminata di reati fine, in virtù del principio cogitationis poenam nemo patitur, è comunque sufficiente, perché rispettoso del principio di offensività, l’esistenza di struttura minima, non particolarmente articolata e complessa, anche di tipo rudimentale, non necessariamente dotata di notevoli disponibilità economiche, purché in grado di realizzare una serie indeterminata di episodi di spaccio (ex multis, Sez. 2 n 19146 del 20/02/2019, COGNOME, RV 275583; Sez. 6, n. 27433 del 10/01/2017 Rv. 270396)
E’, inoltre, affermazione costante quella secondo cui la stabilità del vincolo associativo e l’indeterminatezza del programma criminoso possono essere anche tratti dal susseguirsi ininterrotto delle condotte integranti i reati oggetto del programma ad opera di soggetti stabilmente collegati. Non occorre, invece, anche la dimostrazione del ruolo specifico svolto dal singolo soggetto nell’ambito dell’associazione, attesa la possibilità di realizzare nei modi più disparati la partecipazione al sodalizio criminoso, la cui specificazione non è necessariamente richiesta dalla norma incriminatrice (così ex multis Sez. 2, n. 43632 del 28/09/2016, COGNOME, Rv. 268317 – 01; Sez. 5, n. 35479 del 07/06/2010, P., Rv. 248171).
2.3. D’altronde al cospetto di un iter logico – argomentativo congruo ed immune da deficit logici – le doglianze difensive (i.e. mancanza di struttura, ruoli,
programma et similia ) sono inidonee ad indebolire la gravità del quadro indiziario ex art. 273 cod. proc. pen., basandosi ora su una lettura frammentaria degli elementi indiziari ora su affermazioni deficitarie di un reale “dialogo” con il decisum del Tribunale: alla Corte spetta il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (così ex multis, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460).
Il secondo motivo sconta il difetto di interesse ad impugnare dal momento che la diversa qualificazione giuridica – su cui in ogni caso i Giudici si sono diffusamente soffermati (pag. 14 dell’ordinanza) – non spiega alcuna incidenza sul quadro cautelare: la sanzione prevista per il reato associativo ex art. 74 cit. d.P.R. n. 309 , seppure di lieve entità, consente ex se ed eo ipso la misura custodiale; inoltre, il titolo di reato è parimenti assistito dalla doppia presunzione relativa di cui all’art. 275 cod. proc. pen.
Analogamente manifestamente infondata e generica è la ragione di doglianza con cui è stata contestata la partecipazione del Papasidero al sodalizio in contestazione.
4.1. Il Tribunale del riesame ha, in modo dettagliato, passato in rassegna la specifica posizione contestata al ricorrente (cfr pagg. 15 e ss – pagg. 7 e ss del provvedimento): il COGNOME era colui che provvedeva a rifornire periodicamente il sodalizio dello stupefacente (i.e. cocaina) acquistandolo da fornitori calabresi ad un prezzo “comodo” di 32/33 mila euro al chilogrammo, intessendo rapporti di affari anche con le -ndrine” locali e facendo da trat d’union tra queste e il Bono.
Tale ricostruzione fattuale era possibile sulla base degli esiti dell’attività di intercettazione che – anche grazie all’utilizzo di un linguaggio esplicito e per nulla allusivo- forniva gli indicatori di lettura del modus operandi del Papasidero nel senso di vera e propria messa a disposizione nonché di consapevole contributo causalmente collegato alla conservazione del sodalizio.
4.2. Al riguardo, le censure del difensore – quanto alla episodicità delle trasferte- – non destrutturano la motivazione che sorregge il provvedimento de libertate, dal momento che le conversazioni telefoniche, completamente bypassate dal difensore, restituivano un quadro “indiziario” oggettivamente grave, emergendo la stabile e consapevole messa a disposizione del Papasidero , il cui
compito principale era quello di effettuare trasferte in Calabria per rifornirsi di cocaina per conto del sodalizio (pagg. 7 e ss dell’ordinanza).
4.3. Corretto è, dunque, l’inquadramento nella figura del partecipe, così come ritagliata dalla giurisprudenza di questa Corte.
Ed invero, il periodico rifornimento di sostanza stupefacente e il continuo approvvigionamento per conto del gruppo – sì da consentire all’associazione di ampliare il mercato nonchè di perseguire il proprio fine di lucro – nonchè l’interagire direttamente con il capo del sodalizio ma anche con gli altri sodali sono indici fattuali – correttamente e congruamente evidenziati- che consentono di andare oltre la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale delle singole operazioni per trasformarsi nella consapevole e stabile adesione del Papasidero al programma criminoso: ai fini della partecipazione ciò che rileva è la consapevolezza e la volontà di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e finalizzata, secondo lo schema legale.
Inammissibili sono anche le deduzioni difensive sul travisamento della prova per erronea interpretazione del contenuto delle conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione.
5.1. Al riguardo va segnalato come sia costante l’affermazione secondo cui «il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato » ( così Sez. 6 n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085; Sez. 6 36512 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280117).
5.2. Orbene, nel caso in esame, tale decisività non è stata esaminata dal ricorrente che si è limitato a richiamare e ad allegare al ricorso la trascrizione parziale di alcune conversazioni telefoniche: conversazioni che da un lato non esauriscono il materiale “indiziario”, oggettivamente più consistente, e dall’altro
non si indentificano con quelle richiamate e poste a base del provvedimento (pagg. 7), che invero non risultano mai censurate, anzi ignorate.
Alla inammissibilità del ricorso segue – ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. – la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma a favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in tremila euro, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (vedi Corte Costit., sent. n 186 del 13 giugno 2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso proposto e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 03/12/2024.