Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20305 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20305 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato il 20/09/1975 COGNOME nato il 05/02/1976 COGNOME nato il 28/03/1963
avverso la sentenza del 11/12/2023 della CORTE RAGIONE_SOCIALE APPELLO di SASSARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
critto il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ASSUNTA COGNOME cl.re ha concluso chiedendo ’42/ 3 ‘ , GLYPH 11- GLYPH n GLYPH e n – , Qk ‘ 2, i GLYPH I eGLYPH .>2-” CID GLYPH I ‘,’?..1.. GLYPH kct, Je GLYPH ek-.. n e-Q(0 GLYPH Co n -n ~
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, ha confermato la sentenza emessa in data 13 aprile 2019 dalla Corte di assise di Sassari, per quanto di interesse in questa sede, in ordine alla dichiarazione di responsabilità di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME circa la partecipazione, con il ruolo di promotori, ad un’associazione (di cui al capo 4 di imputazione) operante in Olbia e finalizzata alla commissione di delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, esclusa l’aggravante della transnazionalità in origine contestata.
Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione, tramite i propri difensori di fiducia, NOME COGNOME e NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo, violazione dell’art. 157 cod. pen. e vizio di motivazione.
Rilevano i difensori che nel caso di utilizzo di formule per indicare la consumazione del reato associativo come avvenuta sino “a tutt’oggi” (come appunto nel caso in esame), la regola di natura processuale per la quale la permanenza si considera cessata con la data di esercizio dell’azione penale non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data; spettando all’accusa l’onere di dimostrare la perduranza del sodalizio fino all’indicato ultimo limite processuale, soprattutto nel caso in cui la contestazione, che deve considerarsi “chiusa”, abbracci, come nella specie, un lungo arco temporale.
Osservano che risulta certamente censurabile la motivazione della Corte territoriale laddove, a fronte dello specifico dato probatorio posto a fondamento dell’eccezione di prescrizione da parte della difesa, costituito dall’ultima intercettazione ricavabile dalle emergenze istruttorie quale ultimo atto dimostrativo dell’esistenza in vita dell’associazione o quantomeno dell’adesione degli odierni ricorrenti alla stessa, ha valorizzato non un dato obiettivo ma un’apodittica considerazione, secondo cui sarebbe inverosimile che l’imponente struttura oggetto di giudizio non abbia continuato ad operare fino alla data indicata in imputazione.
Rilevano di non avere addotto quale elemento sintomatico della cessazione della partecipazione l’esecuzione della misura custodiale a carico dei ricorrenti; e che il riferimento al difetto di indizio dell’avvenuto
recesso dal sodalizio, quale sintomatico della protrazione della partecipazione associativa, rende la motivazione apparente e del tutto avulsa dalle risultanze processuali.
Insistono, pertanto, per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Ricorre, altresì, per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, NOME COGNOME
3.1. Col primo motivo di impugnazione la difesa denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla permanenza del reato associativo di cui all’art. 416 cod. pen. rispetto alla decorrenza del termine di cui all’art. 157 cod. pen.
Lamenta che la Corte di assise di appello confonde la necessità di provare il recesso del singolo associato dal sodalizio criminoso ancora operante, che spetta alla difesa, con la necessità di provare la cessazione della condotta di partecipazione, in relazione alla conclusione dell’attività del sodalizio, che invece spetta all’accusa. Rileva che il Pubblico ministero non ha il diritto potestativo di decidere in ordine alla decorrenza del termine di prescrizione senza fornire alcuna prova e che è del tutto congetturale ritenere, come ha fatto la Corte territoriale, la prosecuzione del sodalizio sulla base della sola imponenza dello stesso.
3.2. Col secondo motivo di ricorso viene dedotto vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del reato associativo previsto dall’art. 416 cod. pen., anche come travisamento probatorio.
Si evidenzia che l’imputato operava in assoluta autonomia e in concorrenza col coimputato NOME COGNOME che svolgeva la medesima attività di procacciamento di contratti di lavoro; e che la prova di detta conflittualità è rinvenibile nella conversazione del 21 aprile 2010, nella quale il ricorrente insultava il suddetto ritenendolo meno capace di lui. Si osserva che tale conflittualità con COGNOME che nell’imputazione viene considerato promotore al pari di NOME, risulta incompatibile con la sussistenza di un pactum sceleris e dell’affectio societatis; e che proprio la possibilità di Sultan e Imitias di rivolgersi all’uno o all’altro per la suddetta attività di procacciamento dimostra l’assenza di rapporti continuativi con tali fornitori del servizio, peraltro in concorrenza tra loro.
La difesa lamenta che la Corte territoriale ha travisato il significato della captazione del 5 aprile 2010 tra Zaher e Sultan, che, lungi dal costituire prova di pactum sceleris, dimostra la coscienza e la volontà del primo di porre in essere col secondo una condotta concorsuale in
relazione al singolo reato di favoreggiamento e non esecutiva di un accordo associativo.
3.3. Col terzo motivo di impugnazione viene dedotta violazione di legge in ordine al ritenuto ruolo di promotore nell’ambito del reato associativo in capo al ricorrente.
Osserva la difesa che la condotta contestata all’imputato, che si sarebbe limitato a procacciare contratti di lavoro simulati, è più assimilabile al ruolo di partecipe che di promotore che, invece, assume l’iniziativa in ordine alla costituzione del sodalizio criminoso. Rileva che l’imputato non avrebbe potuto svolgere il ruolo di promotore dell’organizzazione, posto che la stessa sarebbe stata costituita nel 2005 e che la prima telefonata nella quale si parla di NOME (Zaher) risale al luglio 2009, mentre la prima intercettazione diretta risale addirittura al 2010. Osserva che lo stesso neppure avrebbe potuto svolgere il ruolo di organizzatore, che cura in autonomia il coordinamento e l’impiego delle strutture e delle risorse associative, nonché reperisce i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso e, pertanto, compie una condotta infungibile, quaie non si può definire quella dell’imputato, anche per l’interscambiabilità con COGNOME, potendo essere al più considerato un mero partecipe. Sottolinea il difensore che, a tale riguardo, la motivazione della sentenza impugnata è apparente.
Conclude, alla luce dei suddetti motivi, per l’annullamento della sentenza impugnata.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, dott. NOME COGNOME conclude per il rigetto dei ricorsi, mentre l’avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME e NOME COGNOME insistono per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati e vanno, pertanto, rigettati.
1.1. Infondato è l’unico motivo dell’impugnazione in favore di NOME COGNOME e di NOME COGNOME e il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, alla luce delle argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici della sentenza impugnata (p. 218 – 220), anzi conformi alla giurisprudenza costante di questa Corte.
Invero, GLYPH l’imputazione GLYPH per GLYPH un GLYPH reato GLYPH associativo, GLYPH limitata temporalmente con l’espressione “dal … ad oggi”, deve ritenersi estesa fino alla data del decreto che dispone il giudizio e, nel caso in cui questo manchi, trattandosi di rito abbreviato, fino alla data della richiesta di rinvio a giudizio, comportando l’obbligo per il pubblico ministero di provare la permanenza del reato fino alla data indicata nel capo di imputazione (Sez. 3, n. 2567 del 17/09/2018, dep. 2019, COGNOME Rv. 275829 – 01).
La Corte territoriale nel caso in esame, in cui l’imputazione della fattispecie associativa sub 4) individua la durata della stessa «dal 2005 a tutt’oggi», ritiene non condivisibili le argomentazioni svolte dagli appellanti, e riproposte in questa sede, secondo cui l’ultimo atto nel quale si è concretata l’attività dell’associazione sarebbe avvenuto il 27 febbraio 2012, data della conversazione n. 56964 intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME e da tale data dovrebbe farsi decorrere il termine di prescrizione. Osserva, a tale riguardo, che dalle intercettazioni è emersa la particolare imponenza della struttura associativa, dotata di una struttura operativa complessa che consentiva ai sodali di organizzare efficacemente l’ingresso in Italia di migliaia di clandestini, attraverso la collaborazione di numerosi soggetti, alcuni dei quali operanti in altre regioni di Italia ed anche all’estero, sicché deve ritenersi che il gruppo criminale abbia continuato ad operare anche dopo l’interruzione delle operazioni di intercettazione, fino quantomeno alla data indicata in imputazione. Aggiunge che: – quanto alla partecipazione degli imputati di cui si tratta, in difetto del benché minimo indizio di recesso, la permanenza del reato deve ritenersi protratta sino alla data indicata nel capo di imputazione; – né può essere valorizzata in senso contrario la circostanza che gli imputati siano stati sottoposti a misura cautelare detentiva a decorrere dal 24 aprile 2015, atteso che per costante giurisprudenza di legittimità, in tema di associazione per delinquere il sopravvenuto stato detentivo di un soggetto non determina la necessaria ed automatica cessazione della partecipazione al sodalizio, atteso che la perdurante appartenenza al gruppo di persona della quale sia provata l’affiliazione può essere correttamente ritenuta in qualunque momento ove manchi la notizia di una sua intervenuta dissociazione; – deve, quindi, escludersi l’acquisizione in atti di elementi idonei ad offrire una diversa ricostruzione del tempo di commissione del reato, ed in
particolare l’intervenuta cessazione ex ante della permanenza dell’enucleato reato associativo.
Rilevano, quindi, i Giudici di appello che, esclusa l’aggravante di cui al comma sesto dell’art. 416 cod. pen., il delitto, per le figure apicali, come quelle degli appellanti, è punito con pena edittale nel massimo non superiore a sette anni. Con la conseguenza che, essendo il termine di prescrizione ordinario di sette anni, lo stesso è venuto a scadere il 6 novembre 2022, e che ad esso deve aggiungersi il periodo di un anno e nove mesi per le interruzioni (pari ad 1 /4 del termine ordinario), nonché ulteriori 81 giorni di sospensione, con scadenza dunque del termine di prescrizione alla data del 26 ottobre 2024 (successiva a quella della sentenza di appello, pronunciata in data 11 dicembre 2023).
A fronte di tale iter argomentativo, la doglianza difensiva della confusione tra decorrenza del termine di prescrizione e la prova della partecipazione del singolo associato è generica e assertiva e non si confronta né con la natura permanente del reato, né con la giurisprudenza in tema di recesso dall’associazione, né con l’intera motivazione sopra riportata, che indica le ragioni per le quali valuta, anche solo indiziariamente, alla luce del complesso probatorio, che l’attività associativa non possa ritenersi interrotta, ex abrupto, alla data di un’ultima conversazione telefonica del 2012. La sentenza, per contro, offre, in conformità alla pronuncia di primo grado, una motivazione adeguata, logica e non contraddittoria nel merito.
1.2. Infondati sono anche il secondo e il terzo motivo di ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
La sentenza in esame (a p. 238), dopo avere analiticamente e logicamente spiegato le ragioni dell’identificazione di NOME nello “NOME” delle conversazioni intercettate, rileva che dalle stesse emerge un rapporto stabile, continuativo e assolutamente paritario dello Zaher con NOME COGNOME e NOME COGNOME e che le stesse sono dimostrative dello ‘ stabile inserimento dell’imputato nelle attività delittuose gestite dal contesto associativo nel quale si adoperava per procurare falsi contratti di lavoro, al fine di favorire ingresso e illecita permanenza in Italia, con assunzioni fittizie presso ditte ignare o compiacenti, di cittadini extracomunitari. Osserva che le molteplici telefonate intercettate con le persone al vertice del gruppo, in particolare con i suddetti coimputati, dimostrano un organico inserimento dell’imputato nell’associazione ed una ripetitività delle condotte incompatibile con un mero concorso
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favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Sottolinea che in tal senso sono significative: – la conversazione n. 17457 del 5 aprile 2010, in cui NOME, parlando con NOME, gli comunica che appena esce il decreto flussi, quello stagionale, potranno presentare “milioni di domande” e che l’anno precedente diverse persone non gli avevano dato i soldi e aveva perso 4-5 mila euro; – la conversazione n. 2863 del 21 aprile 2010 intercorsa con NOME nel corso della quale egli si propone come procacciatore di falsi contratti di lavoro, in concorrenza con NOME; la conversazione n. 3849 del 9 maggio 2010, in cui parlando con COGNOME, COGNOME afferma che l’anno prima sono state presentate trecento domande e che però non erano tutte domande sue, che poi le persone non erano andate a lavorare e che la polizia stava indagando; – la conversazione n. 41587 del 5 aprile 2011, intercorsa con NOME, al quale COGNOME comunica di avere pronte 60 pratiche; – la conversazione n. 37233 del 9 dicembre 2010 (vicenda Adnan) avvenuta tra NOME e NOMECOGNOME nel corso della quale quest’ultimo comunica al primo di avere i nulla osta già pronti, raccomandandosi affinché il nome riportato sul passaporto del migrante coincida con quello scritto sul nulla osta, in tal modo postulando l’impiego di un falso passaporto, poi i due interlocutori discutono del prezzo dell’operazione (5000 euro), dell’importo che il migrante è disposto a pagare a titolo di anticipo (500 o 1000 euro), dell’ammontare della provvigione richiesta da NOME (1000 o 600 euro) al netto della somma che avrebbe dovuto corrispondere all’agenzia per la pratica; – la telefonata n. 2916 del 22 aprile 2010 nel corso della quale NOME informa NOME della possibilità di aumentare i margini di guadagno rivolgendosi, anziché ai trafficanti, a soggetti privati indipendenti che erogano i medesimi servizi a un prezzo più basso, in modo da assicurare loro un profitto che giustifichi l’assunzione dei rischi connessi all’operazione (l’agenzia di Avezzano); – la telefonata n. 21549 del 26 maggio 2010 intercorsa tra NOME COGNOME e NOME, nel corso della quale i due interlocutori discutono del prezzo praticato da NOME COGNOME un procacciatore di falsi contratti e il primo, appreso che NOME avrebbe lavorato per “cinque e mezzo’; assicura che NOME avrebbe fatto lo stesso; – la conversazione n. 56964, intercorsa il 27 febbraio 2012, nel corso della quale NOME e NOME parlano delle domande per i nulla osta, dei costi sostenuti per ciascuna domanda e della necessità di restituire quanto pagato dal migrante che poi non sia arrivato in Italia; – la telefonata n. 18671 del 22 aprile 2010, nel corso della quale NOME
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comunica ad NOME di poter contare sulla compiacenza di molti datori di lavoro. Rileva che dette conversazioni dimostrano il pieno coinvolgimento di NOME nell’attività del gruppo, occupandosi del procacciamento di falsi contratti di lavoro anche attraverso altri intermediari, mostrando particolare disinvoltura ed esperienza nell’individuazione di strategie utili al raggiungimento del fine fraudolento del gruppo e nella massimizzazione dei profitti.
La Corte di assise di appello di Sassari evidenzia (a p. 228) anche come: – sia irrilevante la circostanza che alcuni degli imputati agissero in concorrenza tra loro, come NOME COGNOME e NOME COGNOME, o comunque avendo di mira il perseguimento di un proprio personale interesse economico; – non possa certamente mettersi in dubbio il fatto che tutti i sodali agissero per un proprio tornaconto personale; – non sia questa astratta conflittualità di interessi a escludere la sussistenza del reato associativo se per perseguire i contrapposti interessi viene deliberata la realizzazione di una serie indeterminata di delitti. Osserva che, nel caso di specie, in presenza di elementi di fatto, desumibili dal numero e dalla frequenza dei contatti di Sultan ed NOME con i procacciatori dei falsi contratti di lavoro, dal numero di pratiche gestite, indicativi della disponibilità dei procacciatori dei falsi contratti di lavoro, stabile e indefinita nel tempo, a fornire al sodalizio i servizi richiesti, gli eventuali traffici svolti dai procacciatori dei falsi contratti di lavoro per conto di terzi estranei all’associazione, ovvero in autonomia, così come il fatto che NOME ed NOME si rivolgano all’uno piuttosto che all’altro di volta in volta secondo il criterio della proposta più conveniente, non sono incompatibili con la loro partecipazione all’associazione.
Aggiunge che il ruolo di NOME non può essere ridotto a quello di mero partecipe, a dispetto di quanto sostenuto dalla difesa; e che ciò è dimostrato proprio dalla conversazione n. 2916, nel corso della quale lo stesso mostra piena capacità di azione e di iniziativa autonoma per perseguire profitti maggiori, nonché dalle ulteriori conversazioni, che documentano la stabilità dei contatti dell’imputato con l’agenzia di Avezzano della quale egli si serve abitualmente proprio per il procacciamento di falsi contratti di lavoro e, quindi, per il raggiungimento degli scopi del sodalizio, nonché dalla rilevante entità del numero di migranti di cui era stato procurato l’ingresso in Italia, incompatibile con un ruolo meramente marginale del suddetto nella struttura associativa. Rileva che appare assolutamente inequivoco, sulla base di detti elementi,
non solo il pieno coinvolgimento nel sodalizio di NOME, ma anche il ruolo al medesimo attribuito di promotore, perché attraverso il continuo,
ripetuto e collaudato modus operandi
adoperato, volto al reperimento di falsi contratti di lavoro necessari per consentire l’ingresso illegale dei
cittadini extracomunitari, egli ha certamente promosso il programma associativo.
Tali essendo le argomentazioni della sentenza impugnata in ordine sia alla partecipazione associativa di Zaher UI Haq che al suo ruolo di
promotore, è evidente l’infondatezza delle doglianze difensive, ai limiti dell’inammissibilità in quanto rivalutative oltre che reiterative di rilievi già
svolti in appello e, come si è esaminato, ampiamente e logicamente affrontati dalla sentenza in oggetto.
In particolare, la censura sul ruolo associativo dell’imputato non si confronta con il principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte
secondo cui, in tema di reato associativo, riveste il ruolo di promotore non solo chi sia stato l’iniziatore dell’associazione, coagulando attorno a sè le prime adesioni .e consensi partecipativi, ma anche colui che contribuisce alla potenzialità pericolosa del gruppo già costituito, provocando l’adesione di terzi all’associazione ed ai suoi scopi attraverso un’attività di diffusione del programma (Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Riva, Rv. 268962: in motivazione, la Corte ha precisato che il ruolo del promotore non richiede la partecipazione alla complessiva attività di gestione dell’associazione, nè l’assunzione di funzioni decisionali, trattandosi di condotte che connotano le diverse figure dell’organizzatore e del capo).
Al rigetto dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. 5 1 . (1; ·-r< C C 1 2 e r
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2025.