Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28614 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28614 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BIANCAVILLA il 05/01/1977
avverso la sentenza del 22/01/2025 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
E’ impugnata la sentenza della Corte di appello di Palermo, che ha confermato la decisione del G.U.P. del Tribunale di Catania che, nel giudizio abbreviato, ha dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di cui all’art. 416bis commi 1,2,3,4,6 cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 71 del D.L.vo n. 159/2011, per avere fatto parte – unitamente ad altri associati per cui si è proceduto separatamente – della famiglia mafiosa COGNOME di Catania, operante
ad Adrano e l’ha condannato, in continuazione con la sentenza del 22 maggio 2013 della medesima Corte di appello (irrevocabile il 12/11/2013), alla pena di anni due di reclusione, operata la riduzione per il rito.
Ricorre per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME affidandosi a un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti richiesti per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
Deduce vizi della motivazione della sentenza impugnata, contraddittoria, carente e illogica, sostenendo che non sarebbe dimostrato il concorso di almeno tre persone, numero minimo di concorrenti necessario per integrare il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen..
Al riguardo, ha richiamato una ordinanza del G.u.p. che aveva trasmesso gli atti al Pubblico ministero per un nuovo esercizio dell’azione penale, previo svolgimento di nuove indagini, che avrebbero dovuto riguardare l’effettiva esistenza di una cellula del clan COGNOME, attiva nel territorio di Adrano – diversa dalla compagine storica facente capo alla famiglia COGNOME – nella quale sarebbe stato inserito il COGNOME. Sul presupposto che il COGNOME si fosse dissociato dalla famiglia COGNOME, dando luogo a un nuovo gruppo, di cui, però, non sono stati indicati gli altri partecipi, il ricorrente denuncia che il delitto associativo sare stato contestato ad una sola persona, nonché la sommarietà dell’aspetto temporale del capo di imputazione per cui il fatto risulta commesso dal mese di maggio 2011 fino al 2014, ed ha criticato la portata probatoria di una conversazione intercettata nel carcere di Sulmona (in merito alla circostanza che i COGNOME volevano che il COGNOME affiancasse il reggente NOME COGNOME), sostenendo che il soprannome con cui gli interlocutori si sarebbero riferiti al COGNOME – ‘COGNOME‘ – non gli sarebbe mai appartenuto. L’imputato, in realtà, non avrebbe mai affiancato il capo del clan di Adrano, e lo stesso COGNOME – divenuto collaboratore di giustizia – avrebbe riferito di non essere mai stato affiancato dal COGNOME, bensì da tale NOME non meglio identificato. In sintesi, si sostiene che non sarebbe stata dimostrata l’esistenza di una nuova cellula dei Laudani operante in Adrano, alternativa e parallela alla consorteria storica facente capo agli COGNOME, diretta da NOME COGNOME con cui il Coco era entrato in conflitto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
1.Come premesso, nella prospettiva del ricorrente, i giudici di merito non avrebbero dimostrato che il Coco aveva fatto parte di una cellula dei COGNOME operante in Adrano, alternativa e parallela alla consorteria storica attiva in quél territorio, facente capo agli COGNOME e diretta da NOME COGNOME, con il quale il Coco era entrato in conflitto.
1.1. In realtà, le cose non stanno proprio così e tanto trova riscontro chiaro nel percorso argomentativo su cui si fonda la sentenza di primo grado, la quale, ricorrendo una situazione di c.d. doppia conforme, si integra con quella impugnata (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 – dep. 05/12/1997, COGNOME, Rv. 209145), cosicchè la motivazione delle due decisioni deve essere apprezzata congiuntamente ( Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218) –
1.2. Ebbene, la sentenza impugnata, ripercorrendo le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, ha dato atto di come il COGNOME sia stato indicato quale emergente del clan, che cercava di conquistarsi margini di autonomia e di comando, ragione per cui suscitava contrasti all’interno del sodalizio; ha, inoltre, dato atto di come gli esiti delle intercettazioni abbiano pienamente confermato le affermazioni dei collaboratori.
In effetti, la sentenza di primo grado ha spiegato molto bene come il Coco che effettivamente era entrato in conflitto con il capoclan di Adrano, NOME COGNOME, esponente della famiglia COGNOME – cercasse una propria autonomia, in tal senso riportando le convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno indicato il Coco come un soggetto che cercava di conquistarsi margini di comando all’interno del gruppo; autonomia che, in effetti, si era conquistata, agendo con un gruppetto di sodali attivo nel ramo delle estorsioni sul territorio di Adrano, operativo nel periodo compreso tra il maggio 2011 e il novembre 2014, dunque, in un arco temporale ben determinato.
Nondimeno, il Tribunale ha considerato che detta attività egli mai avrebbe potuto portare avanti liberamente senza l’appoggio della famiglia catanese dei COGNOME, che continuava ad assicurare al COGNOME, nonostante il contrasto che si era creato con la famiglia egemone su Adrano, quella, appunto, degli COGNOME (i quali pure facevano riferimento ai COGNOME), il cui esponente di vertice, NOME COGNOME, giunse a progettarne l’assassinio, che fu più volte tentato, senza riuscirvi.
1.3. In merito – oltre ai collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno indicato il COGNOME come soggetto emergente del clan, che con la sua condotta aveva creato dissidi interni, e a NOME COGNOME che ha riferito, avendovi preso parte personalmente, dei plurimi tentativi di uccidere COGNOME tra l’ottobre 2013 e l’ agosto 2014, – sono state ricordate le propalazioni del collaboratore NOME COGNOME affiliato al gruppo COGNOME dal 2010, il quale, a più riprese, ha confermato che RAGIONE_SOCIALE operava autonomamente, e che “si formò un suo gruppo in contrapposizione con i membri della famiglia COGNOME …faceva estorsioni prelevando il pizzo anche delle attività commerciali sottoposte a estorsione da parte della famiglia COGNOME dele quali si appropriava.. .si occupava di furti e faceva estorsioni autonomamente”, condotte che avevano contrariato lo
Scravaglieri che, infatti, ne aveva ordinato l’omicidio, anche se il COGNOME non si era fatto spaventare tanto che ” continuava a operare con il suo gruppo ad Adrano appoggiandosi al clan COGNOME di Catania ed a quello di Paternò”( pg. 8 sentenza di primo grado), e ha precisato che “il nome sotto il quale il COGNOME si muoveva era sempre quello della famiglia COGNOME collegata al gruppo mafiosi dei COGNOME“( pg. 9).
Ancora, NOME COGNOME, nel suo percorso collaborativo ha riferito che COGNOME, interno al gruppo degli COGNOME, “nel periodo 2011-2012 si era staccato dal gruppo adranita perché voleva create un gruppo autonomo e “camminare” con il proprio nome rimanendo comunque all’interno del clan COGNOME” ( pg. 11).
1.4. D’altro canto, dalle propalazioni valorizzate dai giudici di merito è emerso che la formazione di sottogruppi causati da dissidi non era una novità nell’ambito della famiglia COGNOME, nella quale “non c’è mai stata unità”, anche se rimanevano pur sempre collegati agli COGNOME senza il cui placet non avrebbero potuto agire indisturbati. Nondimeno, poiché il COGNOME, pensando di sfruttare il momento di forte confusione attraversato dalla famiglia, “agiva senza rendere conto alla famiglia”, egli era inviso allo COGNOME che, come si è già detto, arrivò a progettarne l’omicidio (in tal senso il collaboratore NOME COGNOME)
1.5. Sulla base di tali contenuti dichiarativi la sentenza di primo grado considera che “COGNOME, anche se si dovesse ritenere non più del clan COGNOME, comunque operava nell’alveo più generale del clan COGNOME “, beneficiando, quindi, sul territorio di Adrano, dell’appoggio dei COGNOME(pg.13). In sintesi, si affermato che, pur agendo con un proprio gruppo (del quale facevano parte NOME COGNOME e il cugino NOME COGNOME, come riferito da NOME COGNOME e . da NOME COGNOME) in autonomia rispetto agli COGNOME, e muovendosi sulla medesima zona di Adrano, nondimeno, la azione mafiosa del COGNOME era riconducibile alla più ampia famiglia catanese dei COGNOME, di cui riceveva l’appoggio, tant’è, come si legge nella sentenza di primo grado, che “COGNOME, dalla fine del 2011 aveva insomma iniziato a operare in concorrenza con il suo precedente clan, ma non da cane sciolto in assoluto, ma pur sempre con le spalle coperte dal clan COGNOME“. (pg.13).
1.6. In tale ottica, è stata fornita anche una congruente interpretazione della conversazione avvenuta all’interno del carcere di Sulmona il 22/12/2011 tra COGNOME e i suoi congiunti, in relazione alla quale si è conclusivamente considerato che non vi fu una reggenza congiunta di COGNOME e COGNOME, ma, piuttosto, i due “erano mandati da due fonti diverse: il COGNOME dal clan COGNOME e il COGNOME dal clan COGNOME“.
1.7. La sentenza impugnata – nel confermare quella di primo grado – ha premesso che il COGNOME ha fatto parte della famiglia dei COGNOME di Catania per
circa un ventennio, secondo l’accertamento proveniente da due sentenze definitive del 2003 e del 2013, nell’ultima delle quali si segnalava già la sua dissociazione rispetto al clan di Adrano, egli mirando ad acquisire maggiore autonomia, e ha ricordato come, anche dalla frase pronunciata dallo COGNOME durante la intercettazione ambientale in carcere – in cui egli, pur confermando i contrasti con il COGNOME, allo stesso tempo, riconosceva che ” noi siamo tutti sotto una famiglia” si tragga conferma della riconducibilità del Coco alla medesima associazione mafiosa.
1.8. La valutazione della Corte di appello – che ha, in sintesi, ritenuto infondati i motivi del gravame avverso la decisione del GUP perché “frutto di una lettura svalutativa del gravissimo quadro accusatorio cristallizzato dalle chiare, univoche e concordanti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, riscontrate altresì anche da attività di captazione ambientale”- è coerente con il principio di diritto secondo cui, in caso di più chiamate convergenti, i riscontri possono anche consistere nella circostanza che le dichiarazioni riconducano, anche se in modo non sovrapponibile, il fatto all’imputato, essendo sufficiente la confluenza su comportamenti riferiti alla sua persona e alle imputazioni a lui attribuite, cioè l’idoneità delle dichiarazioni a riscontrarsi reciprocamente nell’ambito della cosiddetta ” convergenza del molteplice”. (Sez. 1, n. 31695 del 23/06/2010 Rv. 248013).
I giudici di merito hanno, dunque, rilevato che COGNOME faceva parte di un’articolazione della famiglia mafiosa dei COGNOME di Catania, nel cui contesto il suo operato si è, pertanto, inserito.
Rispetto a tale ricostruzione conforme proveniente dalle due sentenze di merito, e al cospetto di un congruo corredo argomentativo, che non denuncia evidenti illogicità, per avere il giudice del merito operato rispettando i parametri della razionalità e completezza, le critiche del ricorrente all’uso del materiale probatorio si risolvono nell’insistere nel tentativo di spostare l’attenzione sull contestazione formulata dal Pubblico Ministero nella fase delle indagini, senza confrontarsi con quanto osservato già nella sentenza di primo grado, in cui il Tribunale ha considerato che, rispetto alla iniziale contestazione di attività mafiosa del COGNOME nell’ambito del clan COGNOME, quella compendiata nell’accusa veicolata a giudizio attiene a “una azione mafiosa nel più ampio ambito del clan COGNOME.” ( pg. 13).
In tal modo, il ricorso risulta decentrato rispetto alla contestazione formulata dall’Accusa e alla ratio decidendi, ciò che ne fa emergere una sostanziale genericità, per omesso confronto con la motivazione con la quale il COGNOME, conformemente all’imputazione, è stato ritenuto appartenente alla famiglia mafiosa dei Laudani, per conto dei quali agiva ad Adrano, parallelamente al clan
degli COGNOME, parimente facente capo ai COGNOME, i quali gli fornivano l’appoggio necessario per potere operare in un contesto territoriale comunque riconducibile
alla famiglia catanese.
2. Al rigetto del ricorso segue, ex lege,
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 13 giugno 2025
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