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Reato art. 73 D.Lgs. 159/2011: appello inammissibile

Un individuo ha impugnato in Cassazione la propria condanna per il reato ex art. 73 D.Lgs. 159/2011, lamentando l’incostituzionalità della norma e la carenza di motivazione sulla pena. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi generici, aspecifici e manifestamente infondati. La decisione conferma la validità della norma, già avallata dalla Corte Costituzionale, e ribadisce che la valutazione sulla misura della pena non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato art. 73 D.Lgs. 159/2011: la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso generico

Con l’ordinanza n. 23324/2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso riguardante il reato ex art. 73 D.Lgs. 159/2011, noto anche come Codice Antimafia. La Suprema Corte ha ribadito importanti principi sulla formulazione dei ricorsi e sui limiti del proprio sindacato, dichiarando l’appello inammissibile per la sua genericità e manifesta infondatezza. Questa decisione offre spunti cruciali sulla necessità di specificità negli atti di impugnazione e sulla stabilità della giurisprudenza costituzionale in materia.

Il Contesto del Ricorso

Il caso nasce dalla condanna, confermata in appello, di un individuo per la violazione delle prescrizioni imposte da una misura di prevenzione personale. La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, affidandosi a due principali motivi di contestazione, entrambi volti a smontare l’impianto accusatorio e la pena inflitta.

I Motivi del Ricorso: una Duplice Argomentazione

Il ricorrente ha basato la sua difesa su due pilastri argomentativi: la presunta incostituzionalità della norma incriminatrice e un vizio di motivazione relativo alla pena comminata.

Contestazione sulla Legittimità Costituzionale della Norma

Il primo motivo sollevava una questione di legittimità costituzionale dell’art. 73 del D.Lgs. 159/2011. Secondo la difesa, tale norma punirebbe una “condotta d’autore”, ovvero sanzionerebbe un soggetto per la sua condizione personale piuttosto che per un fatto specifico offensivo di un bene giuridico. Ciò, a dire del ricorrente, violerebbe i principi di offensività, legalità e finalità rieducativa della pena, sanciti dagli articoli 3, 25 e 27 della Costituzione.

Carenza di Motivazione sul Trattamento Sanzionatorio

Con il secondo motivo, la difesa lamentava una carenza di motivazione da parte dei giudici di merito in merito alla quantificazione della pena. Si contestava, in sostanza, che la decisione sul trattamento sanzionatorio non fosse stata adeguatamente giustificata, con rilievi generici sulla dosimetria della pena applicata.

La Valutazione del Reato ex art. 73 D.Lgs. 159/2011 da parte della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambe le censure, dichiarando il ricorso integralmente inammissibile. L’analisi della Corte si è concentrata sulla metodologia con cui i motivi sono stati presentati, piuttosto che entrare nel merito delle questioni sollevate.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su argomentazioni nette e consolidate. Per quanto riguarda il primo motivo, i giudici lo hanno ritenuto inammissibile perché generico, aspecifico e manifestamente infondato. Il ricorrente si era limitato a enunciare i principi costituzionali che riteneva violati, senza fornire un approfondimento argomentativo a sostegno della sua tesi. La Corte ha inoltre sottolineato come la legittimità costituzionale dell’art. 73 del D.Lgs. 159/2011 sia stata recentemente e ripetutamente confermata dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 211/2022 e n. 214/2023), rendendo la doglianza palesemente priva di fondamento.

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha chiarito che le censure relative alla dosimetria della pena non possono essere esaminate in sede di legittimità quando si traducono in generici rilievi sul merito. Se i giudici dei gradi precedenti, come in questo caso, hanno fornito una motivazione specifica ed esaustiva in conformità con i criteri dell’art. 133 c.p., la Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Il ricorso, anche su questo punto, è stato ritenuto un tentativo inammissibile di ottenere una nuova valutazione dei fatti.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per la prassi legale. Essa sancisce che non è sufficiente evocare principi generali o presunte violazioni di legge per ottenere una revisione della sentenza in Cassazione. È indispensabile che i motivi di ricorso siano specifici, dettagliati e supportati da argomentazioni pertinenti, capaci di evidenziare un vizio logico o giuridico concreto nella decisione impugnata. La declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, sottolinea la serietà con cui la Corte valuta il rispetto di tali requisiti, a garanzia dell’efficienza del sistema giudiziario e della stabilità delle decisioni.

È possibile contestare la costituzionalità dell’art. 73 del D.Lgs. 159/2011 in Cassazione in modo generico?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che un motivo di ricorso che contesta la costituzionalità di una norma in modo generico, senza un’adeguata argomentazione a sostegno, è inammissibile. Peraltro, la Corte Costituzionale ha già confermato la legittimità di tale norma con sentenze recenti.

Il ricorso in Cassazione può riesaminare la decisione del giudice sulla quantità della pena inflitta (dosimetria della pena)?
No, la Cassazione non può riesaminare il merito della dosimetria della pena se il giudice dei gradi precedenti ha fornito una motivazione specifica ed esaustiva. Rilievi generici sul trattamento sanzionatorio vengono considerati inammissibili in sede di legittimità.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, come stabilito in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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