Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 41444 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 41444 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
B.S. COGNOME nato al
GLYPH omissis
avverso la sentenza del 09/01/2024 emessa dalla Corte di appello di Brescia;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procur generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del difensore della parte civile, avvocato NOME che ha chiesto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusi spese processuali;
udite le conclusioni del difensore, avvocato NOME COGNOME che ha insist l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia, con decreto del 13 gennaio 2021, ha rinviato a giudizio RAGIONE_SOCIALE per rispondere del delitto di cui all’art. 572 cod. pen., commesso ai danni della moglie convivente in Nave e Brescia da data prossima al 2002 sino al 27 settembre 2019 (capo a), del delitto previsto dall’art. 610 cod. pen., commesso ai danni della moglie in Nave, in data anteriore e prossima al 23 dicembre 2023 (capo b) e del delitto di cui agli artt. 582, 585, 576 n. 5, 61 n. 2 e 11 quinquies cod. peri., commesso in Brescia il 27 settembre 2019 (capo c).
Il Tribunale di Brescia, all’esito del giudizio dibattimentale, con sentenza emessa in data 8 maggio 2023, ha dichiarato l’imputato colpevole dei reati ascrittigli ai capi a) e c) e, ritenuta la continuazione, lo ha condannato alla pena tre anni e tre mesi di reclusione, al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore della parte civile; il Tribunale ha, inoltre, dichiar di non doversi procedere nei confronti dell’imputato in relazione al reato di cui al capo b) perché estinto per intervenuta prescrizione.
La Corte di Appello di Brescia, con la pronuncia impugnata, ha conferma la sentenza di primo grado, condannando l’imputato appellante al pagamento delle spese del grado e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile.
L’avvocato NOME COGNOME difensore dell’imputato, ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento, deducendo quattro motivi.
4.1. Con i primi due motivi di ricorso, il difensore deduce congiuntamente l’erronea individuazione del tempus commissi delicti e l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla mancata applicazione della disciplina più favorevole, vigente sino al 9 agosto 2019.
Il difensore rileva che dalle stesse dichiarazioni della querelante emergerebbe che dalla primavera del 2018 al mese di settembre del 2019 non vi sono stati ulteriori episodi di maltrattamento.
L’ultimo episodio, quello del 27 settembre 2019, che ha indotto la persona offesa a denunciare l’imputato, sarebbe, dunque, distante dagli altri di circa un anno e mezzo dalle precedenti condotte; questo episodio, peraltro, sarebbe stato erroneamente qualificato dai giudici di merito come una condotta di maltrattamenti.
La persona offesa avrebbe riferito di un violento litigio con l’imputato, nel corso del quale sarebbe stata buttata a terra, percossa con calci e pugni da l B.S. che avrebbe cercato di soffocarla. Questa ricostruzione, tuttavia, non avrebbe trovato riscontro in quanto riferito dal testimone COGNOME> S.S. COGNOME> , che ha riferito solo di una zuffa.
Le lesioni refertate alla donna (un’infrazione alla mano) sarebbero, peraltro, compatibili con una mera colluttazione e non già con il pestaggio descritto dalla persona offesa; anche il figlio NOME peraltro, avrebbe smentito quanto dichiarato dalla madre.
Contrariamente a quanto indicato dalle sentenze di merito, dunque, le condotte maltrattanti non si sarebbero protratte oltre la primavera del 2018 e l’ultimo episodio, essendo isolato e non compatibile con un’aggressione del] BRAGIONE_SOCIALE sarebbe inidoneo a radicare il tempus commissi delicti del delitto di maltrattamenti in famiglia contestato.
Il difensore rileva che la Corte di cassazione, nella sentenza n. 28218 del 2023, ha statuito che, in tema di maltrattamenti contro familiari e conviventi, ove parte della condotta sia commessa sotto la vigenza della disposizione incriminatrice di cui all’art. 572 cod. pen., come modificata in senso peggiorativo dall’art. 4, comma 1, lett. d), legge 1 ottobre 2012, n. 172, trova applicazione la norma sopravvenuta sfavorevole al reo nel solo caso in cui si collochi dopo la sua entrata in vigore un segmento di condotta sufficiente, di per sé, a integrare l’abitualità del reato (Sez. 6, n. 28218 del 24/01/2023, S., Rv. 284788 – 01).
Posto, dunque, che, l’episodio del 27 settembre 2019 sarebbe inidoneo a integrare una condotta di per sé sufficiente a integrare l’abitualità del reato, pena avrebbe dovuto essere determinata con riferimento alla più favorevole disciplina previgente.
4.2. Con il terzo motivo il difensore censura l’errata motivazione sulla responsabilità dell’imputato per il delitto di lesioni aggravate, in quanto narrazione della persona offesa non sarebbe stata confermata dai testimoni fl u RAGIONE_SOCIALE Le dall’esame del referto agli atti.
4.3. Con il quarto motivo, il difensore censura l’insufficiente motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla determinazione della pena, in quanto la Corte di appello non avrebbe considerato che l’imputato era incensurato e ha sessantatré anni.
La Corte di appello, dunque, avrebbe potuto determinare la pena in misura compatibile con l’applicazione della sospensione condizionale.
In data 25 giugno 2024 l’avvocato NOME COGNOME ha depositato richiesta di trattazione orale del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, in quanto i motivi proposti sono manifestamente infondati e, comunque, diversi da quelli consentiti dalla legge.
Con i primi due motivi di ricorso, il difensore congiuntamente deduce l’erronea individuazione del tempus commissi delicti e l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla mancata applicazione della lex mitior.
Le condotte maltrattanti, infatti, non si sarebbero protratte oltre la primavera del 2018 e, posto che l’ultimo episodio, quello intervenuto in data 27 settembre 2019, sarebbe isolato e, comunque, inidoneo a «fondare segmento di condotta sufficiente, di per sé, a integrare l’abitualità del reato», secondo i principi afferm da Sez. 6, n. 28218 del 24/01/2023, S., Rv. 284788 – 01, si imporrebbe l’applicazione della disciplina sanzionatoria più favorevole, ovvero quella vigente sino al 9 agosto 2019,
3. Il motivo è inammissibile.
Secondo la pronuncia di questa Corte invocata dal ricorrente, al fine di evitare fenomeni di retroattività occulta della legge penale, la modifica in senso peggiorativo della disciplina sanzionatoria del reato di maltrattamenti in famiglia può essere applicata all’intera condotta abituale soltanto se «il soggetto compia segmenti di condotta abituale autosufficienti prima e dopo la norma modificativa sfavorevole sopravvenuta».
Questo principio è, invero, tutt’altro che incontrastato nella giurisprudenza di legittimità ed è anzi non condiviso dall’orientamento largamente prevalente, che ritiene che il reato di maltrattamenti, in quanto reato abituale, si consuma nel momento in cui ha luogo la cessazione della condotta, sicché eventuali modifiche del regime sanzionatorio trovano applicazione anche se intervenute dopo l’inizio della consumazione, ma prima della cessazione della abitualità (ex plurimis: Sez. 6, n. 19832 del 06/04/2022, S., Rv. 283162 – 01; Sez. 6, n. 2979 del 03/12/2020, dep. 2021, C., Rv. 280590 – 01, in tema di maltrattamenti in famiglia; Sez. 5, n. 3427 del 19/10/2023, dep. 2024, C., Rv. 285848 – 01, con riferimento all’analoga questione che si pone per il delitto di atti persecutori).
Pertanto, quando la condotta del delitto di maltrattamenti in famiglia si sia protratta successivamente all’entrata in vigore della legge 19 luglio 2019, n. 69, si applica il regime sanzionatorio più sfavorevole previsto da quest’ultima normativa, a prescindere dal numero di episodi commessi durante la sua vigenza
e senza la necessità che gli stessi integrino, di per sé soli, l’abitualità del re (Sez. 6, n. 23204 del 12/03/2024, P., Rv. 286616 – 01).
Il principio di diritto invocato dal ricorrente è, peraltro, inconferente nel ca di specie, in quanto, per quanto accertato dai giudici di merito, non si è verificat una crasi temporale tra una serie di condotte di maltrattamenti, anteriori all’entrata in vigore della legge 19 luglio 2019, n. 69, e una condotta isolata commessa successivamente all’entrata in vigore della cornice edittale aggravata, ma una serie continua e sostanzialmente ininterrotta di condotte di maltrattamenti culminate nell’episodio della denuncia.
Nella sentenza di primo grado, espressamente richiamata e confermata dalla Corte di appello, il Tribunale di Brescia ha congruamente rilevato che, nell’ultimo anno gli insulti e le mortificazioni patite dalla persona offesa sono stati costan sino all’episodio di maltrattamenti e di lesioni personali del 27 settembre 2019, che, per la sua entità (lesioni giudicate guaribili in venticinque giorni) e gravi ha determinato la persona offesa a sporgere querela.
Per quanto accertato concordemente dai giudici di merito, dunque, le condotte maltrattanti sono state prive di rilevanti soluzioni di continuità anch dopo il 9 agosto 2019, data di entrata in vigore della più elevata cornice edittale per il delitto di maltrattamenti in famiglia introdotta dall’art. 9, comma 2, l a), I. 19 luglio 2019, n. 69.
La censura relativa al carattere “isolato” dell’episodio del 27 settembre 2019, rispetto alle precedenti condotte maltrattanti, si radica, dunque, su una complessiva reinterpretazione delle risultanze fattuali dei giudizi di merito, non consentita in sede di legittimità.
4. Con il terzo motivo il difensore censura l’errata motivazione sulla responsabilità dell’imputato per il delitto di lesioni aggravate, in quanto narrazione della persona offesa non sarebbe stata confermata dai testimoni s s SRAGIONE_SOCIALE 12 e dall’esame del referto agli atti.
5. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente, infatti, non si confronta con il fatto come accertato da sentenza di primo grado e dalla sentenza impugnata, ma con le prove del giudizio e con la querela, proponendone una lettura diversa; le censure proposte sono, dunque, inammissibili, in quanto si risolvono in una sollecitazione ad una nuova valutazione delle risultanze probatorie nel giudizio di legittimità.
Sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorren
come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, COGNOME, Rv. 207944)
Con il quarto motivo, il difensore censura l’insufficiente motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla determinazione della pena, in quanto la Corte di appello non avrebbe considerato che l’imputato era incensurato e ha sessantatre anni.
Il motivo è inammissibile per aspecificità, in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, ed è, comunque, manifestamente infondato.
7.1. La decisione sulla concessione o sul diniego delle attenuanti generiche è, infatti, rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che nell’esercizio relativo potere agisce con insindacabile apprezzamento, sottratto al controllo di legittimità, a meno che non sia viziato da errori logico-giuridici.
Per principio di diritto assolutamente consolidato ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifich l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragion ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (ex plurimis: Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane ed altri, Rv. 248244).
Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può, dunque, limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 13 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (v., da ultimo, Sez. 2, n. 23903 de 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
La Corte di appello di Brescia ha, dunque, fatto buon governo di questi principi, in quanto, nel negare le attenuanti generiche, ha posto a fondamento del
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proprio apprezzamento il grave disvalore del reato, le condizioni di debolezza e di dipendenza, anche economica, della vittima dal ricorrente e l’ampia durata delle condotte di maltrattamenti.
7.2. La Corte di appello, in ordine alla determinazione della pena, ha, inoltre, legittimamente e congruamente richiamato le statuizioni del giudice di primo grado relative alla gravità oggettiva del fatto, rilevando che la pena per il delitt maltrattamenti in famiglia è stata determinata nel minimo edittale, con un aumento per la continuazione con il delitto di lesioni determinato in soli tre mesi di reclusione.
La graduazione della pena, del resto, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME Rv. 271243 – 01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 259142).
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
L’imputato deve, altresì, essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Brescia con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di
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appello di Brescia con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso il 10/09/202.