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Reato abituale: la legge applicabile se cambia

Un uomo, condannato per maltrattamenti familiari protrattisi per anni, ha fatto ricorso in Cassazione sostenendo che all’ultimo episodio, avvenuto dopo un inasprimento della pena, non dovesse applicarsi la nuova legge più severa. La Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che per il reato abituale vale la legge in vigore al momento della cessazione della condotta criminosa, poiché il reato si considera consumato in quel momento.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reato abituale: la Cassazione chiarisce la legge applicabile

Quando una condotta criminale si protrae nel tempo e, nel frattempo, la legge cambia diventando più severa, quale norma si applica? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 41444 del 2024, offre un chiarimento fondamentale sul tema del reato abituale, come i maltrattamenti in famiglia. Viene stabilito un principio chiaro: si applica la legge in vigore al momento dell’ultima condotta, anche se questa è più sfavorevole per l’imputato.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per il reato di maltrattamenti ai danni della moglie convivente, oltre che per lesioni e violenza privata. Le condotte illecite si erano protratte per un lungo periodo, dal 2002 fino al 27 settembre 2019, data dell’ultimo e grave episodio che ha spinto la vittima a denunciare. Proprio questo episodio è stato al centro del ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso: il reato abituale e la legge più favorevole

La difesa dell’imputato ha sostenuto che le condotte di maltrattamento si fossero in realtà interrotte nella primavera del 2018. L’episodio del settembre 2019, secondo la tesi difensiva, sarebbe stato un evento isolato e distante nel tempo, non collegato al precedente quadro di abusi.

Questa distinzione era cruciale. Nell’agosto 2019, infatti, è entrata in vigore una legge (la n. 69/2019, nota come ‘Codice Rosso’) che ha inasprito le pene per il delitto di maltrattamenti. Se l’ultimo episodio fosse stato considerato slegato, il reato abituale si sarebbe consumato prima dell’entrata in vigore della nuova legge, e l’imputato avrebbe beneficiato di un trattamento sanzionatorio più mite (il principio della lex mitior).

Inoltre, la difesa contestava la valutazione delle prove riguardo al delitto di lesioni e la mancata concessione delle attenuanti generiche, sottolineando l’età e l’incensuratezza dell’imputato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le argomentazioni della difesa. I giudici hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza: il reato abituale si consuma nel momento in cui cessa la condotta criminosa.

Di conseguenza, se la condotta si protrae anche dopo l’entrata in vigore di una nuova norma penale più severa, sarà quest’ultima a trovare applicazione per l’intera durata del reato, a prescindere da quanti episodi siano avvenuti sotto la sua vigenza. Non è necessario, come sostenuto dal ricorrente, che gli atti commessi dopo la modifica normativa siano di per sé sufficienti a integrare l’abitualità.

Nel caso specifico, i giudici di merito avevano accertato che le condotte di maltrattamento, inclusi insulti e mortificazioni, erano state costanti e ininterrotte fino all’episodio finale del 27 settembre 2019. Quest’ultimo non è stato ritenuto un evento isolato, ma il culmine di una serie continua di abusi. Pertanto, la condotta è cessata quando la legge più severa era già in vigore, rendendola pienamente applicabile.

La Corte ha anche respinto gli altri motivi, qualificandoli come tentativi di ottenere una nuova e non consentita valutazione dei fatti. Il diniego delle attenuanti generiche è stato ritenuto correttamente motivato dalla gravità del reato, dalla durata delle condotte e dalla condizione di debolezza e dipendenza della vittima.

Le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento fondamentale in materia di successione di leggi penali nel tempo per i reati a condotta protratta. Per il reato abituale, il momento che conta per individuare la legge applicabile non è l’inizio, ma la fine della condotta illecita. Questa interpretazione garantisce che l’intero disvalore di un comportamento criminoso continuativo venga giudicato alla luce della normativa vigente al momento della sua cessazione, anche se ciò comporta l’applicazione di una pena più aspra. La decisione sottolinea la natura unitaria del reato di maltrattamenti, in cui ogni singolo atto si salda con i precedenti a formare un’unica, prolungata offesa al bene giuridico tutelato.

Che cos’è un reato abituale e quando si considera commesso?
Un reato abituale è un illecito che si perfeziona con la ripetizione nel tempo di più condotte lesive (es. i maltrattamenti in famiglia). Secondo la sentenza, questo reato si considera commesso e si consuma nel momento in cui avviene l’ultima di queste condotte, e non quando è iniziata la serie di abusi.

Se la pena per un reato abituale aumenta mentre la condotta è ancora in corso, quale legge si applica?
Si applica la legge in vigore al momento della cessazione della condotta, anche se questa è più severa di quella esistente quando il comportamento è iniziato. Il principio della legge più favorevole (lex mitior) non trova applicazione in questo caso, poiché il reato non si è ancora concluso quando la nuova legge entra in vigore.

Perché l’ultimo episodio di violenza non è stato considerato isolato?
La Corte ha stabilito che, sulla base degli accertamenti dei giudici di merito, le condotte di maltrattamento erano state continue e ininterrotte, culminando nell’ultimo episodio. Questo non è stato visto come un evento a sé stante, ma come la parte finale e più grave di un’unica e prolungata condotta abituale, che si è conclusa proprio con quell’atto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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