Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 47618 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 47618 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Ravenna il 15 luglio 1959;
avverso la sentenza n. 7953/2023 della Corte di appello di Bologna del 3 novembre 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
. rrtrr6 -17 -1 5 GLYPH n persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bologna, con sentenza pronunziata in data 3 novembre 2023, ha integralmente confermato la decisione con la quale, il precedente 22 febbraio 2022, il Tribunale di Ravenna aveva dichiarato la penale responsabilità di COGNOME NOME in ordine ai reati a lui ascritti, aven ad oggetto, da una parte, la omessa presentazione da parte del medesimo, in concorso con altra persona, nella sua qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, delle dichiarazioni fiscali relative all’anno di imposta 2014, in tale modo realizzando un profitto superiore alle soglia di punibilità previste per legge, e, da altra parte, per avere, sempre in concorso con altri, e nell medesima qualità di cui sopra, occultato o distrutto le scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione riferite alla società di cui si tratta, in modo ta da rendere difficoltosa agli organi accertatori la ricostruzione del reddito prodotto e, comunque, del volume di affari; la avvenuta conferma ha avuto ad oggetto anche il trattamento sanzionatorio inflitto al COGNOME, il quale è stato pertanto, condannato, unificati i reati contestati sotto il vincolo del continuazione, alla pena, la cui esecuzione è stata, peraltro, soggetta a sospensione condizionale e della quale è stata altresì disposta la non menzione, di anni 1 e mesi 8 di reclusione, oltre accessori, ivi compresa la confisca della somma di euri 132.073,87.
Come detto la predetta sentenza è stata confermata in sede di gravame ed avverso siffatta conferma ha interposto ricorso per cassazione, tramite la GLYPH / 4 4 propria difesa fiduciaria, il COGNOME, affidando le proprie lagnanze a 5 motivi di impugnazione.
Con il primo di essi è contestata, sotto il profilo del vizio di motivazione 4.) e di violazione di legge la mancata effettuazione di una perizia contabile in grado di appello volta a verificare il reale ammontare degli elementi passivi di reddito.
Il secondo motivo attiene al vizio di motivazione in ordine alla affermazione della sussistenza in capo al prevenuto del dolo specifico, cioè la volontà di evadere le imposte.
Con riferimento alla imputazione di cui alla lettera b) della rubrica contestata al COGNOME, questi ha, altresì, lamentato che non vi fosse alcuna prova dell’avvenuta istituzione delle scritture contabili e, pertanto, dell condotta delittuosa a lui attribuita.
Anche il terzo motivo di impugnazione attiene al vizio di violazione di legge ed a quello di motivazione in ordine alla ritenuta non ricorrenza degli elementi per potere dichiarare la sussistenza della causa di non punibilità di cui all’artt. 131-bis cod. pen.
Il successivo quarto motivo di doglianza riguarda il trattamento sanzionatorio ed in particolare il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Infine, il quinto motivo attiene alla entità della disposta confisca, non essendo stato accertato l’effettivo ammontare del profitto conseguito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, essendo risultati inammissibili o, comunque, manifestamente infondati i motivi posti a suo fondamento.
Con riferimento al primo motivo di impugnazione è agevole rilevare anche a prescindere dalla circostanza che la indagine peritale di cui si parla non viene dichiarata dal ricorrente come già sollecitata di fronte al giudice di primo grado – che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, l’accertamento tributario sul quale si fonda la imputazione di cui al capo a) della rubrica contestata al COGNOME non è un accertamento di tipo induttivo, fondato cioè su elementi di tipo indiziario in funzione dei quale inferire un determinato reddito in forza anche di un giudizio avente un carattere almeno in parte presuntivo, ma è fondato su elementi documentali costituiti dalla contabilità tenuta dalle imprese che avevano avuto rapporti con quella gestita dal COGNOME; a fonte di tali fattori la difesa del ricorrente si è limitata a ded l’opportunità dello svolgimento di una perizia di carattere contabile, senza addure alcun elemento che avrebbe potuto evidenziare la inaffidabilità del dati, invece, diversamente acquisiti.
Nessun vizio è, pertanto, riscontrabile nella scelta della Corte di appello di non dare corso ad alcuna perizia in sede di gravame, anche in ragione della ritenuta natura meramente esplorativa della richiesta formulata dalla difesa dell’imputato.
Con riferimento al secondo motivo, avente ad oggetto, la sussistenza del dolo di evasione, va ricordato come lo stesso sia desumibile anche dal comportamento tenuto dall’imputato in un momento successivo alla omessa presentazione della dichiarazione fiscale, in particolare nel caso in cui questi perduri, come avvenuto nella fattispecie, nella omissione del pagamento delle
imposte (si veda, infatti, in tale senso: Corte di cassazione, Sezione III penale, 20 maggio 2020, n. 16460, rv 278066); in relazione alla sussistenza del dolo in ordine all’ammontare della evasione, in particolare con riferimento all’avvenuto superamento della soglia di punibilità, si osserva che quest’ultimo si può presentare anche sotto forma di dolo eventuale (Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 febbraio 2018, n. 7000, rv 272578), essendo questo ravvisabile nella occasione stante la non modesta rilevanza della imposta non pagata e, pertanto, nella concreta possibilità, accettata come rischio dall’imputato, che la stessa fosse superiore alla soglia di punibilità prevista da legislatore.
Con riferimento, infine sul punto, al reato di cui all’art. 10 del dlgs n. 7 del 2000, il ricorrente, nell’articolare le sue doglianze, non considera che detto reato si realizza anche in caso di mancanza di conservazione non solo delle scritture contabili, ma anche degli altri documenti che è obbligatorio conservare, quali le fatture emesse o quelle ricevute; la circostanza che nella contabilità dei clienti della RAGIONE_SOCIALE siano state trovate le fattu emesse da questa ovvero quelle spiccate verso di essa – facendo ciò ragionevolmente ritenere, come ineccepibilmente fatto dalla Corte territoriale, che, quanto meno in copia, i documenti in questione siano stati formati evidenzia la integrazione del reato contestato sub b) al COGNOME.
Quanto alla esclusione della ricorrenza della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., si osserva – considerata la ampia discrezionalit spettante ai giudici del merito nel ritenere rientrate il fatto nell’ambito del particolare tenuità, tale da rendere la relativa motivazione suscettibile di essere sindacata da questo giudice della legittimità solo in caso di sua manifesta illogicità o di arbitrarietà – che, nell’occasione, avendo la Corte d appello fatto riferimento sia ad un non trascurabile importo della evasione tributaria, sia al fatto che la stessa si era andata ad inquadrare in una serie condotte omissive relative anche ad un altro periodo di imposta, mentre per ciò che attiene al reato sub b) la Corte felsinea ne ha escluso la particolare tenuità in considerazione del fatto che l’arco di tempo coperto dall’occultamento o dalla distruzione dei documenti contabili ha riguardato un quadriennio, essa si è legittimamente riferita a fattori che evidenziano la non manifesta illogicità della scelta da essa operata in sede di merito e, pertanto, la insindacabilità della medesima di fronte al giudice della legittimità.
Le doglianze sul trattamento sanzionatorio sono evidentemente infondate, sol che si consideri che la pena base è stata indicata nel minimo
edittale ed in merito alla esclusione delle circostanze attenuanti generiche va segnalato che il ricorrente non ha evidenziato alcuna ragione, trascurata in sede di merito, che ne avrebbe potuto giustificare il riconoscimento; questo, poi, non può, in ogni caso, derivare dal fatto che la prova della responsabilità abbia, secondo il ricorrente, un carattere solo indiziario; deve, infatti, fermamente ribadirsi che o vi è la prova della responsabilità, nel qual caso si deve procedere nel senso della condanna dell’imputato alla pena di giustizia, ovvero tale prova non è tranquillante, ed allora si impone la assoluzione, senza che vi sia la possibilità di ricorrere a terze vie concernenti la mitigazione del trattamento sanzionatorio.
Con riferimento all’ultimo motivo di ricorso, afferente alla avvenuta confisca, è sufficiente osservare che, indiscussa essendo la responsabilità del COGNOME in ordine al fatto a lui addebitato sub a) del capo di imputazione, nella cui descrizione era ricompresa anche la entità della imposta evasa, la confisca del profitto conseguito attraverso la commissione del reato in questione e la commisurazione del profitto da confiscare all’ammontare della imposta evasa, sono conseguenze pienamente legittime cui ha dato sfogo la sentenza impugnata che, pertanto, neppure sul punto ora in esame merita censure.
In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presi énte