Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5693 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5693 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi di COGNOME NOMECOGNOME nata a Chiari il 15/04/1972 NOME COGNOME nato a Rotondella il 27/11/1974 COGNOME NOME, nato a Paratico il 31/07/1957 COGNOME NOME, nato a Brescia il 13/11/1967 COGNOME NOME, nato a Lumezzane il 01/09/1970 NOME COGNOME nato in Cina il 17/06/1967, avverso la sentenza in data 21/06/2023 della Corte di appello di Brescia, visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 21 giugno 2023 la Corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza in data 27 giugno 2022 del G.u.p. del Tribunale di Brescia, per quanto qui di interesse, ha applicato a NOME COGNOME la pena accessoria
dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e ha dichiarato lo stesso in stato di interdizione legale; ha applicato a NOME COGNOME la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque; ha confermato nel resto la sentenza impugnata che aveva condannato gli imputati alle pene di legge per associazione a delinquere finalizzata al compimento di reati tributari (ascritta a tutti tranne che a NOME COGNOME) e per plurime violazioni del d.lgs. n. 74 del 2000.
NOME COGNOME ricorre per cassazione sulla base di un solo motivo per violazione di legge e vizio di motivazione in merito all’accertamento del ruolo di amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE negli anni 2018 e 2019 che aveva portato alla condanna per il reato dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000. Contesta la funzione di cartiera della RAGIONE_SOCIALE e sostiene che il ruolo di amministratrice di diritto fino al 2016, le conversazioni intercettate e le dichiarazioni di NOME COGNOME (dipendente), NOME COGNOME (coimputato) e NOME COGNOME (coimputato per il quale si è proceduto separatamente) non erano elementi sufficienti a provare il ruolo di amministratore di fatto. Dichiara di essere estranea ai fatti perché aveva accettato la carica di legale rappresentante prima e di dipendente poi a causa di gravi problemi certificati e delle pressioni esercitate da NOME COGNOME, ex compagno e padre di suo figlio.
2.1. NOME COGNOME eccepisce con il primo motivo di ricorso per cassazione la violazione di legge e il vizio di motivazione in merito all’utilizzabilità del intercettazioni perché effettuate in un procedimento distinto relativo al traffico di stupefacenti, in assenza dei requisiti dell’art. 270 cod. proc. pen., o perché non correlate ai provvedimenti autorizzativi dell’art. 267 cod. proc. pen.; lamenta con il secondo motivo la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla mancata prova della condotta contestata: premesso che non erano emersi rapporti con i coimputati, la circostanza di essere stato osservato in sole due occasioni con COGNOME e la circostanza che Familiari aveva dichiarato che era andato nel suo studio con COGNOME non erano rilevanti; contesta con il terzo motivo la violazione di legge e il vizio di motivazione non sussistendo i presupposti dell’associazione a delinquere e prospetta con il quarto motivo la possibilità di riqualificare il fatto come favoreggiamento.
2.2. NOME NOME COGNOME formula un primo motivo di ricorso per cassazione per violazione di norme processuali e violazione di legge in merito all’inutilizzabilità delle intercettazioni in assenza di adeguati decreti autorizzativi e un secondo motivo per vizio di motivazione in merito al diniego delle generiche, nonostante avesse chiesto scusa.
2.3. NOME COGNOME presenta due ricorsi, uno a firma dell’avv. NOME COGNOME articolato su due motivi, per violazione di legge stante il mancato rispetto degli art. 267 e 270 cod. proc. pen. e per violazione di legge e vizio di motivazione
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in merito all’accertamento di responsabilità, l’altro a firma dell’avv. NOME COGNOME affidato a otto motivi per violazione di legge e vizio di motivazione: il primo relativo all’utilizzabilità delle intercettazioni, il secondo al riget dell’acquisizione dei documenti, il terzo all’esistenza dell’associazione e alla partecipazione, il quarto al ruolo di capo-promotore, il quinto al ruolo di amministratore di fatto e alla responsabilità dei reati degli art. 5 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, delle società a responsabilità limitata semplificate, Gigal RAGIONE_SOCIALE, Feb, Lumus, 2 Emme, il sesto all’applicazione della recidiva, il settimo al diniego delle generiche e all’entità della pena, l’ottavo alla mancata riduzione delle pene accessorie.
Presenta una memoria di replica alla requisitoria del Procuratore generale a firma dell’avv. COGNOME in cui ribadisce le sue ragioni.
2.4. NOME COGNOME eccepisce con il primo motivo di ricorso per cassazione la violazione di norme processuali e il vizio di motivazione in relazione all’utilizzabilità delle intercettazioni; contesta con il secondo il vizio di motivazione in merito all’accertamento di responsabilità del reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari; deduce con il terzo il vizio di motivazione e la violazione di legge per il diniego della continuazione esterna con i fatti già giudicati con sentenza in data 18 dicembre 2019 del G.u.p. del Tribunale di Verona, irrevocabile il 25 gennaio 2020; lamenta con il quarto il vizio di motivazione per l’omessa riduzione della pena base.
2.5. Congwei COGNOME deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine all’accertamento di responsabilità (primo motivo) e al diniego delle generiche (secondo motivo).
CONSIDERATO IN DIRITTI)
3. I ricorsi sono manifestamente infondati.
Il presente procedimento ha tratto origine da un’indagine per traffico di stupefacenti dopo l’arresto di tre soggetti per detenzione di 31 chili di hashish. In seguito alle indagini era emerso il coinvolgimento di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali non esercitavano attività lavorativa lecita pur avendo un tenore di vita elevatissimo. In particolare, COGNOME, scarcerato per tentato omicidio e utilizzo di armi da fuoco, aveva ripreso la commissione di attività criminose, violando quotidianamente gli obblighi del Tribunale di Sorveglianza, che gli aveva concesso la misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali, con l’obbligo di prestare attività lavorativa presso lo studio di commercialisti Tre G di Iseo ove lavorava NOME COGNOME per il quale si è proceduto separatamente, perché continuava a frequentare i pregiudicati NOME COGNOME per organizzare i traffici di stupefacenti e per commettere reati in materia economico-finanziaria. Le
ulteriori indagini avevano consentito di ricostruire l’esistenza di un’associazione a delinquere per la commissione di reati tributari in collaborazione con il commercialista COGNOME, il quale era il contabile che seguiva l’attività di emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte delle cartiere. Il denaro utilizzato per il pagamento delle fatture era indirizzato, con l’ausilio tra gli altri di NOME COGNOME, sui conti correnti esteri intestati a società di comodo così da ostacolare il tracciamento e poi rientrava in Italia e veniva rimesso nella disponibilità delle imprese che avevano commissionato e annotato le fatture fittizie. La monetizzazione dei capitali trasferiti all’estero dalle cartiere e il loro rientro in Itali avveniva attraverso l’attività di RAGIONE_SOCIALE Le società che avevano commissionato e annotato le fatture relative a operazioni inesistenti potevano ottenere l’abbattimento del reddito imponibile ai fini delle imposte, attraverso l’esposizione di costi d’impresa mai sostenuti, percependo conseguentemente indebiti vantaggi economici attraverso la successiva presentazione di dichiarazioni fraudolente mediante uso di fatture per operazioni inesistenti.
Il G.u.p. ha fondato il convincimento della penale responsabilità dei ricorrenti sulla base delle conversazioni telefoniche e ambientali da cui era emersa la costituzione di società apposite da parte di soggetti compiacenti retribuiti proprio per emettere le fatture per operazioni inesistenti; del ruolo di cartiere di queste società sprovviste di strutture aziendali, beni funzionali all’esercizio dell’attività d’impresa, con sedi legali e unità locali inadeguate al perseguimento dell’oggetto sociale dichiarato; degli accertamenti bancari svolti a carico delle società che consentivano di accertare il sistematico e pressoché immediato trasferimento degli importi di volta in volta incassati a fronte del pagamento delle false fatture verso i conti correnti esteri, allo scopo di simulare l’effettività dell propria operatività e di rendere difficoltosa la tracciabilità del denaro; del sequestro della somma di euro 101.000 in contanti a carico di due coimputati che avevano ritirato la somma dal Cai; delle dichiarazioni confessorie rese da COGNOME nell’interrogatorio di garanzia.
COGNOME, COGNOME COGNOME e COGNOME hanno eccepito l’inutilizzabilità di tutte le intercettazioni a loro carico perché disposte in altro procedimento per altri reati e in assenza di decreti autorizzativi.
Il G.u.p. del Tribunale di Brescia ha respinto tale eccezione osservando che i decreti di proroga delle autorizzazioni alle intercettazioni dal maggio 2019 in poi erano dotati di autonomo apparato giustificativo attestante la sussistenza delle condizioni legittimanti le captazioni con rinvio specifico alle pagine di annotazione della polizia giudiziaria poste a fondamento delle richieste. Nei decreti vi era il riferimento all’art. 416 cod. pen. senza l’indicazione dei ruoli dei singoli che ancora
non era stato accertato. Dal 18 giugno 2019 le intercettazioni erano state espressamente disposte per il reato dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000.
La Corte territoriale è ritornata sulla questione con motivazione particolarmente diffusa (par. 1, pag. 149-156). Ha precisato, innanzi tutto, che erano utilizzabili, perché non soggetti ai limiti dell’art. 270 cod. proc. pen., i dati provenienti dalla rilevazione automatica delle chiamate in partenza e in uscita e la localizzazione delle utenze ovvero il gps collegato alle vetture. Ha poi evidenziato che le captazioni del RIT 317/18 a partire dal 10 maggio 2019 erano coperte dallo specifico decreto autorizzativo che menzionava le ulteriori ipotesi di reato (rispetto alla originaria contestazione per violazioni del d.P.R. n. 309 del 1990). Il decreto conteneva infatti il riferimento all’annotazione di polizia giudiziaria dell’8 maggio 2019 nel quale erano prospettati il reato associativo e i reati fine tributari commessi con l’uso delle cartiere.
Tale decisione è stata contestata con i medesimi argomenti già vagliati e disattesi con corretta motivazione giuridica dalla sentenza impugnata.
Con riferimento al primo profilo, la giurisprudenza di legittimità ha in plurime occasioni affermato che i tabulati delle conversazioni in entrata e in uscita e i dati relativi alla localizzazione degli spostamenti tramite il sistema di rilevamento satellitare GPS (cosiddetto pedinamento elettronico) sono utilizzabili senza necessità di autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria, non trovando applicazione per analogia né la disciplina di cui all’art. 132, comma 3, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e successive modifiche, in tema di tabulati, né i principi affermati dalla sentenza della CGUE del 05/04/2022, C. 140/2020, relativa alla compatibilità di “data retention” con le Direttive 2002/58/CE e 2009/136/CE, sul trattamento dei dati personali e la tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni (tra le più recenti, Sez. 2, n. 37395 del 18/09/2024, COGNOME, Rv. 286949 – 01).
Con riferimento al secondo profilo, già il decreto autorizzativo del RIT 317/18 recava l’indicazione dei reati secondo la prospettazione accusatoria e la relatio all’informativa del R.O.N.I. del Comando Provinciale dei Carabinieri di Brescia in data 8 maggio 2019 dove era delineata con nettezza l’associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei reati tributari, dati questi considerati sufficienti dalla giurisprudenza a giustificare l’autorizzazione alle intercettazioni (tra le più recenti, Sez. 5, n. 36913 del 05/06/2017, Tipa, Rv. 270758 – 01).
L’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni è inoltre aspecifica perché contesta l’acquisizione di un elemento probatorio senza dedurne la decisività in virtù della cosiddetta prova di resistenza, cioè non spiega se la decisione sarebbe variata, espunte le prove inutilizzabili (tra le più recenti Sez. 4, n. 50817 del 14/12/2023, COGNOME, Rv. 285533 – 01).
Solo COGNOME ha lamentato che la sua condanna era stata basata sulle captazioni inutilizzabili perché la dichiarazione confessoria aveva avuto a oggetto il rapporto con COGNOME ma non la partecipazione all’associazione a delinquere di cui non aveva consapevolezza. Tale censura però non si confronta con la sentenza impugnata, e quindi è aspecifica sotto diverso profilo, che ha ritenuto ben più significative le dichiarazioni confessorie rispetto a quanto sostenuto nel ricorso: COGNOME ha infatti ammesso che COGNOME gli aveva promesso un compenso se avesse trovato qualcuno interessato ad abbassare le tasse con le fatture (ed egli aveva individuato tale COGNOME) e che era perfettamente consapevole del meccanismo fraudolento e del contesto organizzato in cui si inseriva. A corroborare siffatta conclusione la Corte territoriale, prima di richiamare le poche conversazioni utilizzabili, ha citato le dichiarazioni del commercialista COGNOME che aveva conosciuto COGNOME da COGNOME e l’aveva sempre visto con questi al suo studio. Inoltre, COGNOME era stato messo al corrente delle difficoltà conseguenti al sequestro, circostanza sintomatica della fiducia nei suoi confronti, e si era adoperato per svolgere un ruolo di intermediazione con Cai per ripristinare il meccanismo criminoso inceppatosi.
5.Bruno con il secondo, il terzo e il quarto motivo, COGNOME con il secondo motivo del ricorso a firma dell’avv. COGNOME e con il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso a firma dell’avv. COGNOME con il secondo motivo, COGNOME con il primo motivo hanno contestato il reato di associazione a delinquere, la partecipazione, il ruolo assunto.
Si tratta di eccezioni, più o meno ampie, ma tutte rivalutative del fatto e quindi estranee alla cognizione del giudice di legittimità cui è preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601 – 01). La Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. La manifesta illogicità della motivazione, prevista dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., presuppone che la ricostruzione proposta dal ricorrente e contrastante con il procedimento argomentativo recepito nella sentenza impugnata sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, G., Rv. 280589). In altri termini, il controllo sulla motivazione è circoscritto alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno
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determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame (Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, R v. 284556-01).
Nel caso in esame, le indagini hanno permesso di accertare la costituzione di due cartiere, società di capitali a responsabilità limitata semplificata, RAGIONE_SOCIALE e Lumus, e l’utilizzazione di analoghe società sempre a responsabilità limitata semplificata, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Massimo, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che avevano la funzione di emettere fatture per operazioni inesistenti. Le società non avevano beni strumentali all’esercizio dell’attività d’impresa presso le sedi aziendali, non avevano personale dipendente, erano puntualmente liquidate dopo pochi mesi dalla loro attivazione, senza che i rispettivi amministratori provvedessero agli adempimenti fiscali, avevano conti presso le Poste Italiane. COGNOME è risultato essere il promotore e organizzatore dell’associazione perché si relazionava direttamente con i clienti, sovrintendendo alle operazioni di emissione delle fatture per cui forniva supporto tecnico il consulente fiscale Familiari, e di raccolta del denaro contante monetizzato, in misura superiore a trenta milioni di euro, pianificando e curando direttamente la restituzione, al netto delle commissioni pattuite, ai rappresentanti delle società coinvolte nell’attività delittuosa, con un guadagno personale di circa il 2°/o per ogni transazione economica realizzata. Nella sua attività poteva contare, oltre che su Familiari, su NOME, braccio destro e “scorta” o “staffetta di sicurezza” con gli appartenenti al cosiddetto gruppo COGNOME, ossia la filiera associativa deputata al trasferimento e alla monetizzazione del denaro, su COGNOME procacciatore di nuovi clienti, su COGNOME, quale organizzatore e supervisore delle operazioni di trasferimento e monetizzazione del denaro bonificato dalle società clienti sui conti correnti delle cartiere, su COGNOME che del pari si occupava della monetizzazione del denaro trasferito sui conti correnti esteri del gruppo COGNOME nonché della distribuzioni di denaro contante non tracciabile. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5.1. NOME ha osservato che i contatti con COGNOME erano stati sporadici e quindi non significanti e ha insistito sul fatto che non aveva avuto alcun rapporto con gli altri coimputati. I due motivi di ricorso non si confrontano con la sentenza impugnata ove si dà atto, sulla base dei tabulati e dei servizi di osservazione, controllo e pedinamento, di rapporti intensi, continui e di affidamento di COGNOME con NOME, il quale faceva da “scorta” al primo, precedendolo nel percorso e sostando nei luoghi di incontro in posizione strategica al fine di monitorare l’ingresso e il passaggio lungo le vie limitrofe, favorendo così le operazioni di recupero e redistribuzione del denaro. Gli operanti hanno assistito ai passaggi di borse con i contanti alla presenza di NOME. Era uso che NOME accompagnasse
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COGNOME nello studio professionale di RAGIONE_SOCIALE, circostanza confermata dalle dichiarazioni di questi e dai servizi di osservazione, e in almeno un’occasione si era incontrato con i clienti storici delle false fatture. La tesi difensiva del consolidato rapporto amicale non è stata ritenuta una spiegazione plausibile della tipologia di contatti, perché è risultato che vi era una precisa comunanza di interessi affaristici. Pertanto, a prescindere dalla frequentazione o meno di altri imputati, la Corte territoriale ha concluso, rendendo una motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria sul punto, che NOME aveva piena consapevolezza di tutti i meccanismi della frode illecita e della sua partecipazione all’associazione a delinquere. Conclusione questa ulteriormente confortata dal compendio captativo, di cui vi è ampia evidenza in sentenza. Ineccepibile la motivazione anche con riferimento all’impossibilità di qualificare il fatto come favoreggiamento, tema oggetto del quarto motivo di ricorso. La Corte di appello ha infatti valorizzato, ai fini della conferma della condanna per il reato di associazione a delinquere, la perduranza nel tempo dell’apporto prestato che si era rivelato assiduo e particolarmente efficace. COGNOME poteva fare pieno affidamento su NOME. Il delitto di favoreggiamento reale è compatibile con l’associazione a delinquere sempre che l’agente non partecipi all’associazione o concorra esternamente con essa (Sez. 2, n. 19146 del 20/02/2019, COGNOME, Rv. 275583 – 03) o sempre che l’ausilio non possa in alcun modo tradursi in un sostegno o in un incoraggiamento alla prosecuzione dell’attività delittuosa da parte del beneficiario, che darebbero luogo invece a responsabilità per il reato associativo (Sez. 6, n. 27720 del 05/03/2013, COGNOME, Rv. 255622 – 01, in tema di favoreggiamento personale).
5.2. COGNOME, che come detto è il capo-promotore dell’associazione, ha svolto censure di merito con il secondo motivo del ricorso a firma dell’avv. COGNOME e con il secondo, il terzo e il quarto del ricorso a firma dell’avv. COGNOME Pur avendo puntato sull’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni, non ha mancato di evidenziare che la sua presenza nello studio RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE era giustificata dal rapporto di dipendenza, perché si occupava di “pratiche esterne”, che la conoscenza con i COGNOME risaliva al 2015 e si sostanziava in rapporti di cortesia finalizzati a una proposta di lavoro, che dai tabulati e dalle celle era emerso che non si era trovato nei luoghi ove era avvenuto lo scambio di denaro, che non aveva avuto contatti con Gigal RAGIONE_SOCIALE e il legale rappresentante, NOME COGNOME nonché sua madre, avevano affermato che amministratori di fatto erano i COGNOME. Di qui la sua estraneità ai reati fine. Inoltre, ha contestato di essere proprietario di automobili di grossa cilindrata come da certificazioni del PRA di cui era stata illegittimamente rifiutata l’acquisizione. Si tratta, all’evidenza, di una circostanza irrilevante, il cui accertamento è stato implicitamente ritenuto non necessario né decisivo. Del resto, la parte più consistente della sentenza
impugnata, da pag. 156 a pag. 177, è stata dedicata proprio a COGNOME con ricchi riferimenti alle prove a carico che, in estrema sintesi, sono costituite dalle dichiarazioni accusatorie di Familiari e altri, tra cui i legali rappresentanti delle società cartiere, dalle indagini sulla contabilità e bancarie, dai servizi di appostamento. Era emerso, per giunta, che nei mesi della detenzione di COGNOME, tra aprile e ottobre 2018, dei partecipi dell’associazione avevano mantenuto stretti legami con la compagna di questi e avevano fatto in modo di riallacciare i rapporti non appena uscito dal carcere. I ricorsi, quindi, hanno a oggetto solo una frazione insignificante del cospicuo compendio probatorio a suo carico con l’obiettivo di proporre un’inammissibile lettura atomistica e alternativa dei fatti. Anche la replica alla requisitoria del Procuratore generale è affetta dal medesimo vizio e non supera il vaglio di legittimità.
5.3. COGNOME ha tentato di offrire un’interpretazione riduttiva delle piene dichiarazioni confessorie rese e di cui vi è ampia evidenza nelle pag. 181-188 della sentenza impugnata. Il ricorrente ha ammesso di aver coordinato e sovrinteso alle operazioni di trasferimento del denaro contante, avvalendosi dell’home banking e utilizzando vari collaboratori, tra cui COGNOME. I fatti oggetto di confessione sono stati verificati documentalmente e riscontrati dalle dichiarazioni di Familiari e di NOME COGNOME uno dei collaboratori. La circostanza che COGNOME perseguisse un proprio interesse personale non incide sulla partecipazione all’associazione come diffusamente spiegato in sentenza. Pertanto, la motivazione resiste alle censure sollevate anche sotto questo profilo.
5.4. COGNOME non ha contestato l’esistenza dell’associazione ma la sua partecipazione, che tuttavia è stata provata in particolare sulla base delle dichiarazioni di Familiari, di COGNOME e della documentazione acquisita. Sta di fatto che dopo il sequestro della somma in contanti di 101.000 euro, nell’intento di scongiurare altri sequestri, aveva iniziato a relazionarsi direttamente con COGNOME e COGNOME che agivano in esecuzione delle direttive di COGNOME. Anche il suo ricorso è generico e non si confronta con la solida valutazione delle prove a suo carico di cui alle pag. 199-203 della sentenza impugnata.
COGNOME ha contestato con il secondo motivo del ricorso a firma dell’avv. COGNOME e con il quinto del ricorso a firma dell’avv. COGNOME la commissione dei reati fine (eccezione in parte connessa a quella relativa al reato associativo) e specificamente il ruolo di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE per cui non aveva giustificazione la responsabilità per i reati degli art. 5 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000. La risposta a tali censure risiede nelle pag. 167-175 della sentenza impugnata ove sono riportate anche le dichiarazioni degli amministratori di diritto che hanno ricostruito la storia delle rispettive società, i motivi delle relative costituzion
l’interessenza come amministratore di fatto di COGNOME anche dopo la detenzione, con conseguente responsabilità per i reati fine.
COGNOME ha del pari contestato la sua qualità di amministratore di fatto deducendo in suo favore circostanze inconsistenti perché relative al suo foro interno e alla gestione della relazione con COGNOME, suo ex compagno. E’ certo che che è stata amministratrice di diritto della Forbel fino al 23 settembre 2016, poi è rimasta socia di maggioranza e infine solo dipendente, ma ha continuato a gestire la società ancora nel 2018 e nel 2019, come testimoniato dalla segretaria dello studio di RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, e dallo stesso Familiari. Quindi, è stata correttamente ritenuta responsabile del reato dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 per aver indicato nelle dichiarazioni dei redditi gli elementi passivi fittizi provenienti dalle fatture per operazioni inesistenti. Peraltro, non ha contestato il ruolo di cartiere delle società emittenti né ha contestato le intercettazioni. Si è limitata ad affermare che gli elementi evidenziati a carico non erano sufficienti, ma non si è confrontata con la puntuale motivazione della sentenza impugnata da pag. 203 a pag. 207.
7. COGNOME ha lamentato con il suo secondo motivo il diniego delle generiche, nonostante il corretto atteggiamento processuale, le dichiarazioni rese e le scuse, essendo dispiaciuto per l’accaduto. In particolare, ha lamentato che la Corte territoriale aveva ritenuto immotivata la richiesta di generiche. La richiesta è invece circostanziata stando al riassunto dei motivi di appello. Ciò nonostante, si desume dalla motivazione nel suo complesso il rigetto implicito perché la Corte territoriale ha valorizzato la gravità dei fatti e la personalità antisociale, avendo dimostrato una preoccupante propensione alla commissione di illeciti pur di ottenere un personale guadagno. Tale parte della motivazione non è stata confutata, con il che il motivo non è specifico.
COGNOME ha censurato il trattamento sanzionatorio con i motivi dal sesto all’ottavo del ricorso a firma dell’avv. COGNOME Si tratta di doglianze inconsistenti: le generiche sono state negate sulla base della gravità dei fatti e della personalità antisociale (motivazione a pag. 176); è stata applicata la recidiva per i precedenti dei reati anche specifici, in materia tributaria e societaria (motivazione a pag. 175-176); la pena principale e le pene accessorie sono state ampiamente giustificate con riferimento ai criteri dell’art. 133 cod. pen. (motivazione a pag. 176 e 177).
COGNOME ha contestato con il terzo motivo il diniego della continuazione esterna con altro giudicato e con il quarto motivo l’omessa riduzione della pena base. Il primo profilo è stato affrontato a pag. 186-187 e la Corte territoriale, dopo approfondita disamina del giudicato esterno, ha escluso il medesimo disegno criminoso perché non vi erano elementi di contatto soggettivi (essendo diverse le
persone fisiche e giuridiche coinvolte) e oggettivi (essendo diverso il meccanismo fraudolento adoperato) con i reati già giudicati con la sentenza irrevocabile. Il secondo profilo è stato sviscerato a pag. 187 della sentenza.
Infine, COGNOME con il secondo motivo ha eccepito il diniego delle generiche, ma anch’egli si è limitato a considerazioni di mero stile senza confrontarsi con la sentenza impugnata che aveva sottolineato che le dichiarazioni rese in sede di udienza preliminare erano state solo difensive e con passaggi poco verosimili.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma determinata, in ragione della consistenza della causa di inammissibilità dei ricorsi, in via equitativa, di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende Così deciso, il 17 ottobre 2024
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