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Reati stessa indole: Cassazione annulla sentenza

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza per la seconda volta, poiché il giudice di merito non ha analizzato in modo concreto se i precedenti penali dell’imputato fossero della “stessa indole” rispetto al reato attuale. Questa valutazione è fondamentale per stabilire l’abitualità del comportamento, che impedisce l’applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). Il caso è stato rinviato per un nuovo e più approfondito esame.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reati stessa indole: la Cassazione richiede un’analisi concreta

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 29411/2025 ribadisce un principio fondamentale per l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto: la valutazione sui reati della stessa indole non può essere generica, ma deve basarsi su un’analisi concreta e comparativa. Con questa decisione, la Suprema Corte annulla per la seconda volta una sentenza di merito, colpevole di non aver seguito le indicazioni fornite in un precedente giudizio di rinvio.

I Fatti del Caso: Un Rinvio Ignorato

Il caso riguarda un imputato condannato per un reato contravvenzionale previsto dalla legge sulle armi (L. 110/1975). La difesa aveva richiesto l’applicazione dell’art. 131-bis del codice penale, che esclude la punibilità per fatti di particolare tenuità. Il giudice di merito aveva negato tale beneficio, sostenendo che l’imputato fosse un delinquente abituale a causa di precedenti condanne per reati come maltrattamenti, lesioni e violenza sessuale.

La questione era già stata portata all’attenzione della Cassazione, che aveva annullato la prima decisione con rinvio, ordinando al giudice di specificare concretamente perché i precedenti reati fossero da considerare della ‘stessa indole’ rispetto a quello in esame. Tuttavia, anche nella nuova sentenza, il giudice si era limitato ad affermare genericamente che i precedenti erano “caratterizzati da violenza morale e materiale contro la persona”, omettendo di effettuare l’analisi comparativa richiesta.

L’Abitualità del Comportamento e i reati della stessa indole

Uno dei presupposti per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. è che il comportamento dell’autore non sia abituale. La legge considera abituale il comportamento di chi ha commesso più reati della stessa indole. La Corte di Cassazione chiarisce che la nozione di reati della stessa indole non si limita a reati che violano la stessa norma di legge.

Il concetto è più ampio e comprende anche illeciti previsti da norme diverse che presentano, in concreto, “caratteri fondamentali comuni”, sia per la natura dei fatti che li costituiscono, sia per i motivi che li hanno determinati. Di conseguenza, il giudice non può limitarsi a un’etichetta generica (es. “reati contro la persona”), ma deve scendere nel dettaglio e verificare se, nel caso specifico, esista una reale omogeneità tra i comportamenti passati e quello attuale.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’imputato, annullando nuovamente la sentenza. La motivazione principale risiede nella violazione dell’art. 627 del codice di procedura penale, che vincola il giudice del rinvio al principio di diritto stabilito dalla Cassazione.

Il giudice di merito ha disatteso l’indicazione di “argomentare concretamente sulla medesima indole dei reati”. La sua motivazione è stata ritenuta carente perché non ha messo in correlazione la natura dei precedenti delitti (maltrattamenti, lesioni) con il reato contravvenzionale oggetto del giudizio. Mancava un accertamento specifico sulla reale omogeneità dei comportamenti, un passaggio logico indispensabile per poter affermare l’abitualità e, di conseguenza, negare la non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un importante monito per i giudici di merito. Per escludere l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. sulla base dell’abitualità, non è sufficiente elencare i precedenti penali dell’imputato. È necessario un rigoroso accertamento caso per caso, che dimostri, con una motivazione puntuale e concreta, l’esistenza di una reale omogeneità tra le condotte passate e quella attuale. In assenza di tale analisi, la decisione è viziata e suscettibile di annullamento. La Corte, inoltre, ha colto l’occasione per ribadire che, in caso di condanna per un reato contravvenzionale in un giudizio celebrato con rito abbreviato, la riduzione della pena deve essere della metà e non di un terzo.

Cosa si intende per “reati della stessa indole” ai fini dell’esclusione dell’art. 131-bis c.p.?
Per “reati della stessa indole” si intendono non solo quelli che violano la stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo previsti da norme diverse, presentano in concreto caratteristiche fondamentali comuni, in base alla natura dei fatti o ai motivi che li hanno determinati. La valutazione deve essere specifica per ogni singolo caso.

Un giudice può negare la non punibilità per tenuità del fatto basandosi genericamente sui precedenti penali?
No. Secondo questa sentenza, il giudice non può escludere l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. limitandosi a classificare genericamente i precedenti penali (es. “reati caratterizzati da violenza”). È obbligato a svolgere un’analisi concreta e comparativa tra la natura dei reati passati e quella del reato attuale per dimostrare l’abitualità del comportamento.

Qual è la corretta riduzione di pena per il rito abbreviato in caso di reato contravvenzionale?
La sentenza chiarisce che, quando un imputato sceglie il rito abbreviato per un reato contravvenzionale, la pena deve essere ridotta nella misura della metà, come previsto dall’art. 442, comma 2, del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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