Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9301 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9301 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Pomigliano d’Arco il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 12/07/2023 del TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 12 luglio 2023 il Tribunale di sorveglianza di Napoli ha respinto l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale presentata dal condannato NOME COGNOME.
Il Tribunale di sorveglianza ha respinto l’istanza, in quanto COGNOME è in espiazione pena per reati ostativi e non ha collaborato con la giustizia in una situazione in cui sarebbe stata possibile la collaborazione. Infatti, COGNOME è stato condannato per il reato degli artt. 74 e 73 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, e dalla sentenza di condanna emerge che egli era uno dei diretti esecutori delle direttive dei capi dell’organizzazione, egli avrebbe perciò potuto rendere dichiarazioni sulla compagine associativa; egli, invece, si è astenuto dal chiarire il ruolo del coimputato NOME COGNOME, che è stato assolto dalla contestazione associativa. Inoltre, il condannato non dà alcuna indicazione sugli obblighi patrimoniali e sulle condotte riparatorie che servono a superare l’ostatività del reato, atteso che gli accertamenti reddituali dimostrano come egli direttamente, o attraverso i familiari, si era reso acquirente anche di proprietà immobiliare incompatibili con i redditi dichiarati; in definitiva, l’affidamento in prova postula una mancanza di
pericolosità e l’avvio di un processo di rielaborazione critica che allo stato non si può ritenere avviato.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, che, con unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., deduce che l’ordinanza impugnata incorre in un travisamento del fatto atteso che, contrariamente a quanto in esso sostenuto nel corso del processo, COGNOME aveva reso dichiarazioni eteroaccusatorie su alcuni degli imputati; inoltre, non è corretta l’affermazione che egli sia stato il diretto esecutore degli ordini del capo dell’organizzazione, perché è vero che aveva rapporti con lui ma, in realtà, si limitava soltanto ad accompagnarlo, per cui egli aveva, in realtà, una conoscenza contenuta dei soggetti coinvolti, nulla avrebbe potuto dire, ad esempio, sul coimputato NOME COGNOME perché non l’ha mai conosciuto; nella sentenza passata in giudicato, infatti, emerge che l’imputato COGNOME è stato assolto perché comparso nelle vicende accertate solo in due occasioni in nessuna delle quali risulta aver conosciuto COGNOME.
Quanto poi alle indicazioni sugli obblighi patrimoniali e sulle condotte di risarcimento, deduce innanzitutto che al caso in esame non sl applica la il nuovo testo dell’art. 4-bis, comma 1-bis, ord. pen., in quanto la normativa transitoria prevista dall’art. 3 d.I. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito cori modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199 esclude l’applicabilità della nuova norma ai casi quale il delitto in esame; inoltre, l’unica obbligazione civilistica cui il ricorrente dovrebb adempiere è quella al pagamento delle spese processuali, ad oggi non ancora quantificate, ed il riferimento contenuto nella ordinanza impugnata alle proprietà immobiliari incompatibili con i redditi dichiarati è troppo generico e non consente di comprendere a cosa si riferisca il Tribunale, atteso che l’unico bene immobile di cui sono proprietari il ricorrente e la moglie è quello dell’abitazione in cui vive la famiglia ed il ricorrente non è oggetto di proposte di misure di prevenzione patrimoniali.
Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale, AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Il Tribunale di sorveglianza ha deciso l’istanza del condannato in applicazione dello ius superveniens del d. I. n. 162 del 2022 citato, conformemente all’indirizzo
assunto sul punto dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 29871 del 24/03/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 32878 del 20/04/2023, COGNOME, n.m.).
Il ricorso sostiene che all’istanza fosse applicabile il vecchio testo dell’art. 4bis, in quanto la norma transitoria dell’art. 3 d.l. n. 1632 del 2022 esclude l’applicabilità “della nuova e più rigorosa procedura ai casi nei quali la condanna oggetto di espiazione è connessa a delitti commessi prima dell’entrata in vigore del decreto legge”.
L’argomento è sviluppato in modo non del tutto comprensibile, non si riesce a comprendere, in particolare, se esso faccia riferimento alla norma del comma 1 dell’art. 3 o a quella del comma 2. Anche l’espressione condanna “connessa a delitti”, essendo atecnica, non consente del tutto di capire a cosa si riferisca il ricorrente. Peraltro, qualora il riferimento fosse alla previsione del comma 1 dell’art. 3, tale norma è del tutto inconferente con il giudizio in esame, atteso che essa riguarda l’allargamento della sfera di operatività delle pre.clusioni dell’art. 4bis ord. pen. anche alla “esecuzione di pene inflitte anche per delitti diversi da quelli ivi indicati, in relazione ai quali il giudice della cognizione o dell’esecuzion ha accertato che sono stati commessi per eseguire od occultare uno dei reati di cui al medesimo primo periodo ovvero per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di detti reati”, non è il caso oggetto del presente giudizio in cui il condannato è in espiazione per il reato dell’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990, che rientrava nel catalogo dei reati ostativi anche prima della novella del d.l. n. 162 del 2022.
Lo ius superveniens del d. I. n. 162 del 2022, peraltro, è favorevole al condannato, perchè gli avrebbe consentito in astratto di poter ottenere la misura alternativa, pur in assenza di collaborazione con la giustizia.
Ed, infatti, il Tribunale di sorveglianza, pur avendo giudicato non prestata ma “possibile” la collaborazione del condannato all’autorità giudiziaria, non ha ritenuto l’istanza di misura alternativa inammissibile, ma l’ha valutata nel merito alla luce dei parametri previsti dal nuovo testo dell’art. 4-bis ord. pen., che consente che i benefici penitenziari per reati ostativi di prima fascia possano essere concessi “anche in assenza di collaborazione con la giustizia”, purché l’istante dimostri l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento ed alleghi elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza (Sez. 1, Sentenza n. 35682 del 23/05/2023, COGNOME, rv. 284921: In tema di misure alternative alla detenzione in favore di soggetto condannato per reati ostativi cd. “di prima fascia”, per effetto delle modifiche apportate all’art.4-bis ord. pen. con
d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, non assume rilievo decisivo la collaborazione con l’autorità giudiziaria, essendo demandato al giudice, alla luce della mutata natura della presunzione – divenuta relativa – di mantenimento dei collegamenti con l’organizzazione criminale, la valutazione del percorso rieducativo del condannato e dell’assenza di collegamenti, attuali o potenziali, con la criminalità organizzata e con il contesto mafioso, mediante gli ampliati poteri istruttori di cui all’art. 4-bi comma 2, ord. pen.).
Pertanto, la prima parte del ricorso che attacca l’ordinanza impugnata sotto il profilo della impossibilità di una collaborazione ulteriore rispetto a quella che il condannato ritiene di aver già fornito all’autorità giudiziaria non è idonea a disarticolare il percorso logico dell’ordinanza impugnata, dovendo il condannato dimostrare anche l’adempimento delle obbligazioni civili conseguenti alla condanna ed allegare elementi specifici da cui evincere la partecipazione del detenuto al percorso rieducativo.
Su tale punto il ricorso si limita a contrastare l’ordinanza impugnata in negativo (sostenendo che l’adempimento delle obbligazioni civili non è ancora possibile in quanto allo stato non quantificate, e contrastando il riferimento contenuto nella ordinanza impugnata alle proprietà immobiliari del condannato asseritamente incompatibili con i redditi dichiarati), ma non allega elementi specifici da cui si dovrebbe desumere la partecipazione del detenuto al percorso rieducativo.
Non è, peraltro, stata allegata dal ricorrente neanche la esistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime del reato, non solo nelle forme risarcitorie ma anche eventualmente in quelle della giustizia riparativa, che pure è un ulteriore co-elemento normativo di valutazione della concessione del beneficio (cfr. sempre, Sez. 1, n. 32878 del 20/04/2023, COGNOME, n.m., citata).
Ne consegue che l’ordinanza impugnata resiste alle censure chele sono state rivolte, e che il ricorso deve essere giudicato infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 31 gennaio 2024 Il consigliere estensore
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CORTE SUPREMA M CASSAZIONF.