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Reati ostativi: no a benefici senza prove concrete

La Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato per reati ostativi legati al narcotraffico, a cui era stato negato l’affidamento in prova. La Corte ha chiarito che, anche con le nuove norme più favorevoli (D.L. 162/2022), per ottenere benefici penitenziari non basta la mera dissociazione o l’impossibilità di collaborare. È necessario dimostrare attivamente l’adempimento degli obblighi civili, la partecipazione a un percorso rieducativo e iniziative a favore delle vittime.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reati Ostativi: La Cassazione e i Nuovi Requisiti per i Benefici

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 9301 del 2024, offre un’importante chiave di lettura sulla concessione di misure alternative alla detenzione per i condannati per reati ostativi. Il caso analizzato riguarda un soggetto condannato per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, a cui è stato negato l’affidamento in prova al servizio sociale. La decisione sottolinea come, anche alla luce della nuova normativa, la mera assenza di collaborazione non sia sufficiente per ottenere benefici, ma sia necessario un percorso attivo e dimostrabile di risocializzazione e riparazione.

I Fatti del Caso: Il Diniego dell’Affidamento in Prova

Un uomo, condannato per violazione degli articoli 73 e 74 del d.p.r. 309/1990, presentava istanza di affidamento in prova al servizio sociale. Il Tribunale di Sorveglianza di Napoli respingeva la richiesta, evidenziando due motivi principali: la mancata collaborazione con la giustizia, ritenuta possibile dato il suo ruolo nell’organizzazione criminale, e l’assenza di indicazioni sugli obblighi patrimoniali e sulle condotte riparatorie. In particolare, il Tribunale sottolineava la discrepanza tra le proprietà immobiliari, anche intestate a familiari, e i redditi dichiarati, elementi che deponevano contro l’avvio di un percorso di rielaborazione critica.

I Motivi del Ricorso e la Riforma sui Reati Ostativi

Il condannato proponeva ricorso in Cassazione sostenendo un travisamento dei fatti. A suo dire, aveva reso alcune dichiarazioni eteroaccusatorie e il suo ruolo era stato marginale, limitandosi ad accompagnare uno dei capi, il che giustificava una conoscenza limitata della compagine associativa. Sotto il profilo patrimoniale, contestava l’applicabilità della nuova e più rigorosa disciplina dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, introdotta dal D.L. n. 162 del 2022. Sosteneva che l’unico obbligo a suo carico fosse il pagamento delle spese processuali, non ancora quantificate, e che i riferimenti alle proprietà immobiliari fossero generici.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, fornendo una chiara interpretazione del nuovo quadro normativo sui reati ostativi. In primo luogo, la Corte ha stabilito che la nuova legge (ius superveniens) è in realtà più favorevole al condannato. Essa, infatti, consente in astratto di ottenere benefici penitenziari anche in assenza di collaborazione con la giustizia, purché vengano soddisfatti precisi requisiti. Il Tribunale di Sorveglianza aveva correttamente applicato questa nuova disciplina.

Il punto cruciale della decisione risiede nel fatto che il ricorso del condannato si è limitato a contestare in negativo le valutazioni del Tribunale (ad esempio, l’impossibilità di fornire ulteriore collaborazione o l’indeterminatezza degli obblighi civili), senza però adempiere all’onere probatorio richiesto dalla nuova norma. La legge esige che il condannato dimostri positivamente:
1. L’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna, o l’assoluta impossibilità di adempiervi.
2. L’allegazione di elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, che attestino la partecipazione al percorso rieducativo.
3. L’esistenza di iniziative a favore delle vittime del reato, anche nella forma della giustizia riparativa.

Il ricorso non ha fornito alcuna prova su questi punti essenziali. Non sono stati allegati elementi specifici sulla partecipazione a un percorso rieducativo né tantomeno iniziative di riparazione verso le vittime. Pertanto, l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza è stata ritenuta logica e immune da censure.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per superare l’ostatività di un reato e accedere a misure alternative, non è sufficiente una condotta passiva o la semplice dissociazione. Il condannato deve intraprendere un percorso attivo e dimostrabile di cambiamento. Deve provare concretamente di aver fatto i conti con il proprio passato criminale, adempiendo agli obblighi di riparazione economica e partecipando a un programma rieducativo che vada oltre la mera buona condotta in carcere. La decisione consolida l’idea che la concessione dei benefici penitenziari per i reati ostativi è subordinata a una valutazione rigorosa che pone al centro la prova di una reale e tangibile revisione critica del proprio vissuto criminale.

Per i reati ostativi, è sufficiente non collaborare con la giustizia per ottenere benefici penitenziari dopo la riforma del 2022?
No. La sentenza chiarisce che l’assenza di collaborazione non è sufficiente. Il condannato deve fornire prove positive e specifiche di aver adempiuto agli obblighi civili e di riparazione, di partecipare a un percorso rieducativo e di essersi dissociato dall’organizzazione criminale.

La nuova legge sui reati ostativi (D.L. 162/2022) è più favorevole o sfavorevole per il condannato?
Secondo la Cassazione, la nuova legge è più favorevole. Pur introducendo nuovi parametri di valutazione, consente in astratto di ottenere benefici penitenziari anche senza collaborare con la giustizia, possibilità che prima era preclusa per i reati di “prima fascia”.

Cosa deve dimostrare un condannato per superare l’ostatività del reato senza collaborare?
Deve dimostrare l’adempimento delle obbligazioni civili e di riparazione pecuniaria (o l’impossibilità di farlo) e allegare elementi specifici, diversi dalla sola buona condotta carceraria, che provino la sua partecipazione a un percorso rieducativo e la dissociazione dall’ambiente criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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