Reati Ostativi e Misure Alternative: L’Indispensabile Prova dell’Attività Riparatoria
L’accesso alle misure alternative alla detenzione per i condannati per reati ostativi rappresenta un tema di grande complessità nel nostro ordinamento. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: in assenza di una piena collaborazione con la giustizia, la possibilità di ottenere un beneficio come l’affidamento in prova è strettamente subordinata alla dimostrazione di un concreto percorso riparatorio. Analizziamo insieme questa importante decisione.
Il Caso: Richiesta di Affidamento in Prova per Reati Ostativi
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato per aver favorito il trasferimento illegale di un considerevole numero di persone nel territorio nazionale, un delitto inquadrato tra i cosiddetti reati ostativi di ‘prima fascia’. Dopo la condanna, l’interessato ha presentato istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale, una misura che gli avrebbe consentito di scontare la pena al di fuori del carcere.
Il Tribunale di Sorveglianza, in prima istanza, ha dichiarato la richiesta inammissibile. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno ritenuto che il ricorrente non avesse affrontato le ragioni di diritto alla base del provvedimento impugnato, ma si fosse limitato a proporre argomentazioni alternative senza scalfire la coerenza logica della decisione.
La Corte ha stabilito che, in mancanza degli elementi essenziali richiesti dalla legge, ovvero la prova del venir meno di ogni legame con la criminalità organizzata e l’avvio di attività riparatorie, ogni altra valutazione sul comportamento del detenuto è preclusa. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Il Ruolo Cruciale delle Attività Riparatorie nei Reati Ostativi
Il cuore della motivazione risiede nella corretta applicazione dell’articolo 4-bis, comma 1-bis, della legge sull’ordinamento penitenziario. Questa norma stabilisce che, per i condannati per reati ostativi che non hanno collaborato con la giustizia, la valutazione per l’accesso a misure alternative è possibile solo a due condizioni:
1. L’accertamento del venir meno di ogni legame con la criminalità organizzata.
2. L’avvio di concrete attività riparatorie.
La Corte ha specificato che una generica collaborazione, come quella che può aver portato alla concessione di attenuanti generiche nel processo di merito, non è sufficiente. Nel caso specifico, infatti, era stato accertato che il condannato non aveva fornito alcun contributo utile all’individuazione dei suoi complici.
Richiamando un precedente specifico (Cass. Pen., Sez. 1, n. 16321/2024), la Corte ha sottolineato che il condannato deve ‘dimostrare l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna, o l’assoluta impossibilità dello stesso’. Il ricorrente non ha fornito alcun elemento per dimostrare nemmeno l’avvio di un’iniziativa riparativa, pur nelle sue limitate possibilità. Questa mancanza è stata ritenuta decisiva e ostativa a qualsiasi ulteriore valutazione.
Le Conclusioni: Implicazioni per l’Accesso alle Misure Alternative
La pronuncia consolida un orientamento rigoroso e chiaro: per i reati ostativi, il percorso verso le misure alternative per i non collaboranti passa obbligatoriamente attraverso la riparazione del danno. Non basta un buon comportamento in carcere o una generica dissociazione; è necessario un impegno concreto e dimostrabile nel risarcire, per quanto possibile, le conseguenze del reato. Questa decisione funge da monito, sottolineando che l’accesso ai benefici penitenziari non è un automatismo, ma il risultato di un percorso di revisione critica che deve manifestarsi anche attraverso atti concreti di riparazione verso la società e le vittime.
Per quale tipo di reato il ricorrente chiedeva la misura alternativa?
Il ricorso è stato proposto da un soggetto condannato per un reato previsto dall’art. 12, commi 1, 3 e 3bis dell’ordinamento penitenziario, relativo al trasferimento illegale di 142 persone in Italia, qualificato come reato ostativo.
Perché un comportamento genericamente collaborativo non è stato ritenuto sufficiente?
Perché, nonostante il comportamento fosse stato valutato per la concessione di attenuanti generiche, non si è tradotto in una collaborazione utile a individuare i correi. Per la legge, in caso di reati ostativi, la collaborazione deve essere effettiva o, in sua assenza, devono essere soddisfatti altri requisiti stringenti.
Qual è il requisito fondamentale che il condannato per reati ostativi non collaborante deve dimostrare per accedere a una misura alternativa?
Deve dimostrare di aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria derivanti dalla condanna, o l’assoluta impossibilità di farlo. In sostanza, deve provare di aver intrapreso un concreto percorso riparatorio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32002 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32002 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 18/08/1993
avverso l’ordinanza del 16/04/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;/-
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso l’ordinanza in data 16/04/2025, con la quale il Tribunale di sorveglianza di Catania ha dichiarato inammissibile l’istanza avanzata da NOME COGNOME volta ad ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale;
Ritenuto che, con tre motivi di censura tra loro strettamente connessi, si lamenta violazione di legge e vizio della motivazione, ma, in realtà, senza confrontarsi con le ragioni di diritto e gli elementi di fatto decisivi che sorreggono la decisione impugnata, si esprimono mere argomentazioni alternative e di dissenso riguardo alle questioni compiutamente esaminate dal giudice di merito con un percorso logico immune da fratture;
che, alla luce del titolo di reato per il quale il ricorrente è stato condannato (art. 12, comma 1, 3 e 3bis ord. pen.), il Tribunale di sorveglianza ha dato corretta applicazione dell’art. 4bis, comma lbis, ord. pen., il cui dettato comporta che la richiesta di misura alternativa possa essere valutata, in favore di chi non ha prestato collaborazione con la giustizia, laddove si accerti il venir meno di ogni legame con la criminalità organizzata e l’avvio di attività riparatorie;
che nessun rilievo ha il comportamento genericamente collaborativo, valutato dal giudice della cognizione per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, visto che è stata accertata una condotta prestata in favore di una struttura criminale con ruoli organizzativi rispetto ad un trasferimento illegale di 142 persone dalle coste libiche al territorio italiano e che il condannato non ha fornito alcun contributo all’individuazione dei correi;
che «il condannato per reati ostativi cd. “di prima fascia” che, non avendo collaborato con la giustizia, voglia accedere alle misure alternative alla detenzione ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354, deve dimostrare l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna, o l’assoluta impossibilità dello stesso, anche nel caso in cui la persona offesa non si sia attivata per ottenere il risarcimento del danno» (Sez. 1, n. 16321 del 10/01/2024, COGNOME, Rv. 286347 – 01); e il ricorrente non ha fornito alcun elemento per dimostrare anche solo l’avvio di un’iniziativa riparativa nelle sue pur limitate possibilità;
che, in mancanza di tali essenziali elementi, resta preclusa la valutazione di tutti gli altri profili relativi all’osservazione dell’imputato e alla sua condo intramuraria;
Per queste ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese proc suali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così decisolll settembre 2025 Il Corígigliere estensore GLYPH
Il Presidente