Reati Ostativi e Misure Alternative: Perché la Sola Buona Condotta Non Basta
La concessione di misure alternative alla detenzione per i condannati per reati ostativi rappresenta uno dei temi più delicati e complessi del nostro ordinamento penitenziario. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito la necessità di un approccio rigoroso, sottolineando come la buona condotta carceraria e la partecipazione a un percorso rieducativo, pur essendo elementi importanti, non siano da soli sufficienti a superare la presunzione di pericolosità sociale. Analizziamo nel dettaglio la decisione e i principi di diritto affermati.
Il Caso: Una Decisione Superficiale del Tribunale di Sorveglianza
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda la decisione di un Tribunale di Sorveglianza di concedere un beneficio penitenziario a un detenuto condannato per reati di criminalità organizzata. Il Tribunale aveva basato la sua valutazione positiva principalmente sulla condotta regolare tenuta dal detenuto in carcere, sulla sua partecipazione al trattamento rieducativo e su alcune sue dichiarazioni di dissociazione.
Inoltre, il Tribunale aveva superato i pareri negativi espressi sia dalla Direzione Nazionale Antimafia sia dalla Direzione Distrettuale Antimafia, ritenendo in modo assertivo che le informazioni su cui si fondavano non fossero più attuali. Tale approccio, tuttavia, è stato giudicato dalla Cassazione illogico, incompleto e non conforme alla legge.
La Normativa sui Reati Ostativi: un Quadro Rigoroso
L’articolo 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario, soprattutto dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 199 del 2022, stabilisce condizioni molto severe per l’accesso ai benefici penitenziari da parte di chi è condannato per i cosiddetti reati ostativi di “prima fascia” e non ha collaborato con la giustizia. La legge ha introdotto una regola iuris rigida: per superare la presunzione di pericolosità, non bastano la “regolare condotta carceraria”, la “partecipazione al percorso rieducativo” e la “mera dichiarazione di dissociazione”.
Il legislatore richiede la prova di ulteriori presupposti, tra cui l’adempimento delle obbligazioni civili e, soprattutto, l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e il concreto pericolo che possano essere ripristinati. Il giudice deve quindi svolgere un’analisi approfondita e basata su elementi “diversi e ulteriori”.
L’Analisi della Cassazione sui Reati Ostativi
La Corte di Cassazione ha censurato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza proprio per non aver rispettato questi criteri. I giudici di legittimità hanno evidenziato come il Tribunale abbia attribuito un’importanza decisiva a elementi che la legge considera non sufficienti, omettendo di indagare e dare conto degli elementi “diversi e ulteriori” richiesti dalla normativa.
Le motivazioni
La motivazione della sentenza impugnata è stata definita illogica e incompleta. Il Tribunale, nel valutare il presupposto negativo fondamentale – ovvero l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità e del pericolo di un loro ripristino – ha ignorato i pareri motivati delle procure antimafia senza fornire una spiegazione adeguata. Non ha approfondito le ragioni per cui tali pareri dovessero considerarsi superati, limitandosi a una generica affermazione di non attualità. In sostanza, ha omesso quel giudizio prognostico approfondito e dettagliato che la legge impone, basandosi su una valutazione parziale e insufficiente del percorso del detenuto.
Le conclusioni
La Corte di Cassazione, con questa pronuncia, rafforza un principio cardine nella gestione dei reati ostativi: la valutazione per la concessione di misure alternative deve essere completa, rigorosa e multifattoriale. Non è ammissibile fondare una decisione così delicata solo sul comportamento intramurario del condannato. È indispensabile che il giudice di sorveglianza svolga un’istruttoria approfondita, spiegando in modo puntuale e convincente perché il pericolo di contatti con l’organizzazione criminale di provenienza possa ritenersi concretamente superato, andando oltre le semplici dichiarazioni di intenti del detenuto.
Per i condannati per reati ostativi, la buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere misure alternative alla detenzione?
No. Secondo la Corte, la regolare condotta carceraria e la partecipazione al percorso rieducativo, così come la mera dichiarazione di dissociazione, non sono, da sole, sufficienti a superare la presunzione di pericolosità legata a questi crimini.
Quali elementi deve valutare il Tribunale di Sorveglianza prima di concedere un beneficio a un detenuto per reati di ‘prima fascia’?
Il Tribunale deve obbligatoriamente valutare l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e il pericolo di un loro ripristino. Deve inoltre considerare elementi ‘diversi e ulteriori’, come l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato o l’assoluta impossibilità di farlo, e allegare prove specifiche che dimostrino un reale distacco dal contesto criminale.
È possibile ignorare i pareri negativi delle procure antimafia?
No, non è possibile ignorarli senza una motivazione approfondita. Il Tribunale può superarli, ma deve spiegare dettagliatamente le ragioni per cui ritiene che le informazioni su cui si basano non siano più attuali e perché, nonostante tali pareri, il pericolo di ripristino dei collegamenti con la criminalità sia da escludere.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 45979 Anno 2024
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