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Reati ostativi: il 4-bis vale anche per il tentativo?

La Corte di Cassazione ha stabilito che le restrizioni per l’accesso a misure alternative alla detenzione, previste per i cosiddetti reati ostativi dall’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, si applicano anche ai delitti commessi in forma tentata. La sentenza chiarisce che quando la legge si riferisce a una categoria di reati, come quelli aggravati dal metodo mafioso, include sia la forma consumata sia quella tentata, respingendo così il ricorso di un detenuto per tentata estorsione aggravata.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reati Ostativi: Anche il Tentativo Blocca i Benefici Penitenziari

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale nell’ambito dell’esecuzione penale: l’applicabilità delle restrizioni sui reati ostativi anche ai delitti non consumati, ma solo tentati. Con la pronuncia n. 38217/2024, i giudici supremi hanno confermato un orientamento rigoroso, stabilendo che le preclusioni all’accesso alle misure alternative previste dall’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario valgono anche per chi è stato condannato per un reato tentato aggravato dal metodo mafioso.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Misure Alternative

Il caso trae origine dal ricorso di un detenuto, condannato a due anni e quattro mesi per tentata estorsione aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 del codice penale (il cosiddetto ‘metodo mafioso’). L’uomo aveva presentato istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere una misura alternativa alla detenzione, come l’affidamento in prova al servizio sociale o la detenzione domiciliare.

Il Tribunale di Sorveglianza aveva dichiarato la richiesta inammissibile per due motivi principali:
1. Il reato rientrava nel novero dei reati ostativi, anche se solo tentato.
2. Il richiedente non aveva soddisfatto le stringenti condizioni previste dalla legge per superare la presunzione di pericolosità, come documentare l’offerta di risarcimento alla vittima e dimostrare un reale e definitivo distacco dall’ambiente criminale.

La difesa del detenuto ha impugnato questa decisione, sostenendo che le norme sui reati ostativi dovessero applicarsi esclusivamente ai delitti consumati, citando a supporto una giurisprudenza meno recente.

L’Applicazione dei Reati Ostativi e il Principio delle Sezioni Unite

Il cuore della questione giuridica risiede nell’interpretazione dell’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario. Questa norma elenca una serie di reati per i quali l’accesso ai benefici penitenziari è subordinato a condizioni molto più severe rispetto ai reati comuni. La difesa sosteneva che un’interpretazione letterale dovesse escludere il tentativo.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto questa tesi, aderendo a un principio di diritto ormai consolidato e autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza ‘Di Maro’ del 2018. Questo principio, pur nato in un contesto diverso (quello della confisca allargata), ha una portata generale e stabilisce una regola chiara per l’interprete.

Le Motivazioni della Suprema Corte

I giudici hanno chiarito la distinzione fondamentale: quando una norma penale fa riferimento a uno specifico e nominato delitto (es. ‘il delitto di cui all’art. 629 c.p.’), si intende solo la sua forma consumata. Al contrario, quando la legge richiama un’intera categoria di delitti, caratterizzati da un elemento comune (come l’essersi avvalsi delle condizioni mafiose), allora la norma si applica sia ai reati consumati che a quelli tentati.

L’art. 4-bis ord. pen., nel punto rilevante per il caso di specie, non elenca un singolo reato, ma si riferisce ai ‘delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste’. Si tratta, quindi, di una categoria di reati definita da una specifica modalità di esecuzione. Di conseguenza, la Corte ha concluso che anche la tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso rientra a pieno titolo in questa categoria, rendendo applicabili le relative restrizioni.

Conclusioni

La sentenza ribadisce con forza un’interpretazione estensiva e rigorosa della disciplina sui reati ostativi. La pericolosità sociale che la legge intende contrastare non dipende dalla consumazione o meno del reato, ma dalle modalità con cui è stato commesso, in particolare quando emerge un legame con la criminalità organizzata. Questa decisione conferma che, per i delitti aggravati dal metodo mafioso, il percorso per accedere a misure alternative al carcere rimane estremamente arduo, richiedendo prove concrete e inequivocabili di un cambiamento di vita e di un risarcimento del danno, a prescindere dal fatto che il disegno criminoso sia giunto o meno a compimento.

Le restrizioni sui reati ostativi si applicano anche a un reato solo tentato?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che quando la legge, come l’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, si riferisce a una categoria di delitti (ad esempio, quelli commessi con metodo mafioso), le restrizioni si applicano sia alla forma consumata sia a quella tentata del reato.

Qual è il criterio per distinguere quando una norma si applica solo al reato consumato o anche a quello tentato?
Il criterio, stabilito dalle Sezioni Unite, è il seguente: se la norma indica nominativamente un singolo delitto, si riferisce solo alla sua forma consumata. Se, invece, richiama una categoria di reati non specificati individualmente, la norma si applica sia ai delitti consumati che a quelli tentati rientranti in quella categoria.

Cosa deve dimostrare un condannato per un reato ostativo per poter accedere a misure alternative?
Dalla decisione emerge che, per superare la presunzione di pericolosità, il condannato deve soddisfare condizioni rigorose, tra cui l’aver adempiuto all’obbligo risarcitorio verso la vittima (documentando l’offerta reale) e fornire prove concrete dell’avvenuto distacco dalle logiche criminali del passato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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