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Reati ostativi e benefici: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso di un detenuto condannato per reati ostativi legati al narcotraffico associativo. La richiesta di misure alternative alla detenzione era stata respinta dal Tribunale di Sorveglianza. La Corte ha confermato la decisione, chiarendo che, nonostante la riforma del 2022 abbia reso superabile la presunzione di pericolosità, spetta al giudice di merito valutare in concreto la rottura dei legami con la criminalità. Una collaborazione parziale o reticente è stata ritenuta un indice negativo, giustificando il diniego dei benefici.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reati Ostativi e Benefici Penitenziari: La Prova della Rottura con il Passato

La concessione di benefici penitenziari per chi è stato condannato per reati ostativi rappresenta uno dei temi più dibattuti del diritto dell’esecuzione penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce sui criteri di valutazione dopo la riforma del 2022, sottolineando come la prova di una reale e completa rescissione dei legami con il mondo criminale sia un requisito imprescindibile. Il caso analizzato riguarda un detenuto condannato per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, a cui sono state negate le misure alternative.

Il Caso in Esame: Diniego di Misure Alternative

Un uomo, detenuto per scontare una pena di sei anni e dieci mesi per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90, aveva presentato istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, la semilibertà. La sua pena sarebbe terminata nel gennaio 2028.

Il Tribunale di Sorveglianza aveva respinto la richiesta. La decisione si basava su una valutazione di fatto, in particolare su una nota della Direzione Distrettuale Antimafia che suggeriva come l’interessato non avesse rivelato tutto ciò che era a sua conoscenza sui fatti per cui era stato condannato. Questo elemento è stato interpretato come un segnale di una mancata rottura con il contesto delinquenziale di appartenenza.

La Nuova Disciplina sui Reati Ostativi

Il ricorrente ha impugnato la decisione sostenendo un’errata applicazione della legge, in particolare dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, come modificato dal cosiddetto ‘decreto anti-rave’ (d.l. 162/2022, convertito in legge 199/2022). Secondo la sua difesa, essendo il reato stato commesso prima della riforma, si sarebbe dovuta applicare una disciplina transitoria più favorevole, che richiedeva solo di verificare l’assenza di contatti attuali con la criminalità, senza indagare sul pericolo di un loro ripristino.

La Presunzione non più Assoluta

La Corte di Cassazione ha colto l’occasione per chiarire la portata della novella legislativa. La riforma del 2022 ha modificato la natura della presunzione di mantenimento dei collegamenti con l’organizzazione criminale per i condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia. Prima della riforma, questa presunzione era ‘assoluta’, ovvero non ammetteva prova contraria, bloccando di fatto l’accesso ai benefici.

Oggi, la presunzione è diventata ‘relativa’, cioè superabile. Ciò significa che il detenuto può dimostrare, attraverso elementi specifici, di aver reciso i legami con il passato criminale, anche senza una formale collaborazione processuale.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha stabilito che la riforma non ha reso automatico l’accesso ai benefici, ma ha attribuito al Tribunale di Sorveglianza un potere valutativo più ampio e complesso. Il giudice deve ora verificare, sulla base di ‘indici stringenti e cumulativi’, se la presunzione di pericolosità possa essere superata. Questa valutazione deve basarsi sull’analisi concreta del percorso rieducativo del condannato e sull’effettiva assenza di collegamenti, attuali o potenziali, con la criminalità organizzata.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto corretto l’operato del Tribunale di Sorveglianza. La reticenza o la parzialità delle dichiarazioni rese dal condannato è stata considerata un elemento fattuale oggettivo e fortemente indicativo di una non ancora avvenuta rescissione del ‘radicato collegamento’ con l’ambiente criminale. Il diniego, quindi, non deriva da un’applicazione automatica della legge, ma da una valutazione di merito approfondita che ha concluso per la persistenza di un legame pericoloso.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: anche dopo la riforma del 2022, per i condannati per reati ostativi l’onere di dimostrare il cambiamento è molto elevato. Non è sufficiente un percorso carcerario formalmente corretto, ma è necessaria una prova tangibile e convincente della rottura con il passato. La valutazione del giudice rimane sovrana e si fonda su tutti gli elementi disponibili, comprese le informative degli organi inquirenti. Una collaborazione incompleta o percepita come non genuina può essere interpretata come un segnale che il legame con la criminalità non è stato ancora definitivamente spezzato, precludendo così la via verso le misure alternative.

Dopo la riforma del 2022, come si valuta l’accesso ai benefici per chi ha commesso reati ostativi senza collaborare con la giustizia?
L’accesso ai benefici non è più precluso in modo assoluto. Il giudice deve esercitare un potere valutativo di merito per verificare, sulla base di indici stringenti e cumulativi, se il detenuto ha effettivamente e completamente reciso i collegamenti, attuali e potenziali, con la criminalità organizzata.

Cosa significa che la presunzione di mantenimento dei legami con la criminalità organizzata è diventata ‘relativa’?
Significa che non è più un ostacolo insormontabile. La presunzione legale che il condannato per reati gravi mantenga legami con il suo ambiente criminale può essere superata fornendo al giudice prove concrete e specifiche che dimostrino il contrario, come un percorso rieducativo eccezionale e l’assenza totale di contatti.

In questo caso, perché la richiesta di misure alternative è stata respinta nonostante la nuova legge?
La richiesta è stata respinta perché il Tribunale di Sorveglianza, con una valutazione di fatto ritenuta corretta dalla Cassazione, ha interpretato le dichiarazioni parziali e incomplete del condannato come un forte indizio della mancata rescissione dei suoi legami con l’associazione criminale di appartenenza, non superando così la presunzione di pericolosità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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