Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3331 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3331 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DEL GOLFO DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/03/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di sorveglianza di Palermo, con il provvedimento in epigrafe, reso in data 8 marzo 2023, ha dichiarato inammissibile l’istanza di ammissione alla detenzione domiciliare speciale, proposta da NOME COGNOME, condannato ultrasettantenne, in espiazione di pena detentiva la cui conclusione risulta attualmente fissata al 4 settembre 2027.
Il Tribunale – valutata la posizione del detenuto, la pena in esecuzione a carico del quale è stata generata da condanne per il reato di associazione di tipo mafioso (commesso fino al 2016), per due estorsioni tentate (commesse nel 2103 e nel 2014) contrassegnate dalla circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, e per la violazione del testo unico in materia edilizia (commessa nel 2008) – ha considerato determinante il rilievo che l’istante stava ancora espiando la parte di pena inerente ai reati rientranti nel novero dell’art. 4 -bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e succ. modd. (Ord. pen.), senza che egli avesse prestato collaborazione con la giustizia.
Né, secondo i giudici di sorveglianza, erano stati acquisiti elementi tali da escludere collegamenti all’attualità con la criminalità organizzata, in fattispecie nella quale non poteva affermarsi la limitata partecipazione del medesimo agli indicati fatti criminosi, oppure l’integrale accertamento dei fatti e dell responsabilità, ovvero l’impossibilità o l’inutilità della collaborazione.
Inoltre, avuto riferimento agli elementi necessari per l’accesso ai benefici penitenziari per coloro i quali avevano commesso i reati di cui all’art. 4 -bis cit., per il Tribunale nemmeno risultavano integrate le condizioni per l’ammissione di COGNOME alla chiesta misura alternativa alla detenzione inframuraria.
Avverso la suddetta ordinanza il difensore di COGNOME ha proposto ricorso chiedendone l’annullamento e affidando l’impugnazione a un unico motivo con cui lamenta la violazione degli artt. 125 cod. proc. pen. e 47 -ter Ord. pen., con mancanza di motivazione in ordine all’insussistenza degli elementi escludenti l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata.
In primo luogo, il Tribunale, secondo la difesa, non ha considerato che la nuova disciplina dell’art. 4 -bis Ord. pen. non contempla più il requisito dell’utile collaborazione da parte del condannato e invece valorizza la necessità dell’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità dei suoi collegamenti con la criminalità organizzata, con la conseguenza che l’accertamento compiuto in sede penale non avrebbe potuto assumere portata pregiudiziale rispetto alla verifica dell’attualità della pericolosità in precedenza accertata.
Poi, con riferimento alla verifica dell’attualità delle pericolosità sociale,
ricorrente denuncia l’apparenza della motivazione, giacché il Tribunale di sorveglianza, pur avendo preso atto della sentenza, ora irrevocabile, di assoluzione per insussistenza del fatto di tutti i coimputati come correi di COGNOME, con la conseguente esclusione della stessa esistenza dell’articolazione locale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non ne ha tratto le necessarie conseguenze: l’effetto dell’inscindibilità dei ruoli contestati con la corrispondente accusa, in relazione alla radicale sentenza assolutoria suindicata, avrebbe dovuto far concludere ai giudici di sorveglianza che si era determinata l’esclusione dello stesso fatto associativo anche per la posizione di COGNOME; invece, il Tribunale, pur avendo avuto contezza della domanda di revisione proposta dal medesimo in ordine alla sentenza relativa alla sua condanna, ha valorizzato illogicamente il provvedimento, antecedente, avente ad oggetto l’applicazione della misura di prevenzione, basato su una condizione ormai inesistente, e non ha considerato che il venir della fattispecie associativa escludeva la possibilità di un’util collaborazione, al di là del fatto che essa non era più contemplata dalla norma.
Il Procuratore generale si è espresso nel senso del rigetto del ricorso, dal momento che il ricorrente non ha validamente contrastato gli elementi, evidenziati nel provvedimento impugnato, da cui poteva trarsi l’utilità della sua collaborazione con la giustizia, qualora COGNOME avesse ritenuto di prestarla, nonché la sua alta pericolosità sociale, il fondato rischio di recidiva e la presenza di beni immobili a lui appartenenti che gli avrebbero consentito di adempiere le obbligazioni civili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte non ritiene che l’impugnazione sia dotata di giuridico fondamento.
È opportuno rilevare, innanzi tutto, che il Tribunale di sorveglianza ha, con motivazione articolata, osservato che COGNOME, pur essendo in espiazione di pena detentiva V ° reato compreso fra quelli censiti dall’art. 4-bis Ord. pen., non aveva prestato la collaborazione con la giustizia, né risultavano acquisiti elementi tali da escludere collegamenti all’attualità con la criminalità organizzata, così come non poteva ritenersi accertata l’entità limitata della partecipazione del medesimo ai fatti criminosi suindicati, né era avvenuto l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, sicché non era stata accertata l’impossibilità o l’inutilità della sua collaborazione.
I giudici di sorveglianza hanno osservato – con particolare riferimento al
tema dell’impossibilità o inutilità della collaborazione sviluppato dalla difesa con memoria susseguente all’istanza, sulla scorta della prospettazione secondo cui, nel separato processo per associazione RAGIONE_SOCIALE, i concorrenti di COGNOME erano stati assolti – che era contraria alla tesi sostenuta dal detenuto la valutazione del contenuto della sentenza che aveva invece condannato il medesimo COGNOME, con specifico riguardo all’accertamento relativo alle condotte di tentata estorsione aggravata, desumendo che nelle relative vicende la condotta del condannato non poteva ritenersi limitata e che, per le vicende estorsive, la sua collaborazione avrebbe potuto essere rilevante.
Il Tribunale, quanto alla prospettazione dell’avvenuta assoluzione di alcuni concorrenti in altro processo, ha osservato che essa non poteva automaticamente elidere le responsabilità di COGNOME, risultanti acclarate nel titolo in espiazione, salva la revisione della sentenza che lo riguardava, e ha aggiunto che, peraltro, l’assoluzione a cui l’istante si era riferito non offri elementi idonei a contrastare gli eventi delittuosi relativi alle tentate estorsioni.
Sono stati ulteriormente evidenziati, sulla scorta delle informazioni rese dagli organi investigativi (DDA e DNA), l’esito, sfavorevole a COGNOME, del procedimento di prevenzione, conclusosi con l’applicazione al medesimo della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, l’evenienza dell’ulteriore condanna in primo grado per un ulteriore episodio estorsivo, nonché la sottolineatura della sua elevata pericolosità sociale, con connesso rischio di recidiva.
Infine, il Tribunale, con generale riferimento agli elementi necessari per l’accesso ai benefici penitenziari per coloro i quali avevano commesso i reati di cui all’art. 4-bis cit., in assenza della collaborazione, ha rilevato che, in questo caso, non si erano registrate le corrispondenti allegazioni, neanche quanto all’adempimento delle obbligazioni civili, laddove, secondo gli accertamenti della Guardia di Finanza del 10.02.2023, COGNOME era titolare di proprietà immobiliari, osservando altresì che le informazioni provenienti dagli organi della struttura penitenziaria non erano tranquillizzanti, essendo le relazioni del 25.11.2020 e del 25.22.2022 volte a delineare il condannato come un soggetto poco incline a rivisitare in senso critico i gravi reati commessi.
La motivazione che sorregge l’ordinanza impugnata resiste alle censure articolate dal ricorrente nell’unico motivo già richiamato.
Sebbene la declaratoria di inammissibilità dell’istanza volta all’ottenimento della misura alternativa pronunciata dai giudici di sorveglianza si sia basata essenzialmente sul rilievo dell’assenza della collaborazione e della sua impossibilità o inesigibilità, nonché della mancata all azione e prova degli
elementi richiesti dall’attuale disciplina contenuta nell’art. 4-bis Ord. pen., deve in via pregiudiziale segnalarsi che, per quanto concerne specificamente la detenzione domiciliare speciale di cui all’art. 47 -ter, comma 01, Ord. pen., osta al suo riconoscimento la condizione detentiva di COGNOME, ancora in espiazione di pena detentiva irrogata per la commissione da parte sua di reato definito ostativo, in quanto ricompreso nel catalogo esposto dall’art. 4-bis cit.
È stato evidenziato che l’elencazione dei divieti applicativi enunciata nel comma 01 dell’art. 47 -ter cit., dispiega la sua efficacia mediante il rinvio alla tipologia di reati previsti dall’art. 4 -bis, non con il richiamo al complessivo contenuto precettivo della norma: quindi, il rinvio all’art. 4 -bis non è formale, ma ricettizio, per cui non investe anche le altre limitazioni di carattere generale previste nella norma richiamata, ivi inclusa la dialettica di allegazioni e prove necessaria per escludere la presenza di elementi da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata terroristica o eversiva.
Questa prospettiva, condivisa dal Collegio, comporta che, nelle condizioni date, si profila superfluo condurre, per quanto concerne la detenzione domiciliare speciale, qualsiasi ulteriore accertamento sulla concreta pericolosità del condannato, stante la testuale esclusione della applicabilità dell’istituto della detenzione domiciliare ex art. 47 -ter, comma 01, Ord. pen. a detenuto che si trova in espiazione di pena per il catalogo di reati di cui all’art. 4 -bis cit., individuati mediante il riferimento esplicito ai relativi titoli, in quanto consider dal legislatore di particolare allarme sociale, senza invece menzionare l’assenza di eventuali collegamenti del detenuto con la criminalità di ogni tipo, con la conseguente esclusione della possibilità di ritenere operanti le relativa deroghe (v., anche per ogni ulteriore specificazione, Sez. 1, n. 1541 del 28/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271986 – 01; Sez. 1, n. 13605 del 10/12/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249926 – 01; Sez. 1, n. 20278 del 06/05/2010, COGNOME, Rv. 247214 – 01).
Assodato quanto precede con specifico riferimento all’istituto della detenzione domiciliare di cui all’art. 47 -ter, comma 01, Ord. pen., va aggiunto in relazione alla più generale possibilità di accesso da parte del ricorrente alle misure alternative, argomento su cui pure si è sviluppata la dialettica fra le deduzioni dell’interessato e il provvedimento impugnato – che, in rapporto all’attuale quadro stabilito dall’art. 4 -bis Ord. pen., appaiono comunque incensurabili le argomentazioni esposte dai giudici di sorveglianza, approdate alla constatazione del mancato riscontro delle condizioni previste dall’indicata norma in capo a COGNOME.
4.1. Su questo piano, è anzitutto corretta (e non ininfluente, come invece
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ha, in qualche misura, sostenuto il ricorrente) la previa analisi svolta dal Tribunale per escludere che il detenuto – in espiazione di pena per reato ostativo all’incondizionata concessione dei benefici penitenziari enunciati nel comma 1 della citata disposizione – sia da annoverarsi fra coloro che abbiano reso la collaborazione con la giustizia o per i quali la collaborazione stessa possa considerarsi impossibile o irrilevante.
Si evidenzia che l’art. 3, comma 2, di. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, stabilisce che ai condannati e agli internati che, prima della data di entrata in vigore del suddetto decreto, abbiano commesso delitti previsti dal comma 1 dell’art. 4-bis cit., nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendano comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall’art. 62, n. 6, anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall’art. 114 ovvero dall’art. 116, secondo comma, cod. pen., i benefici di cui al comma 1 dell’art. 4-bis cit. e la liberazione condizionale possono essere concessi, secondo la procedura di cui al comma 2 dello stesso art. 4-bis, purché siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, con le ulteriori specificazioni fissate dalla norma.
Posto ciò, nel presente caso, relativo a reati commessi prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 162 del 2022, il Tribunale ha, con adeguata e non illogica motivazione, escluso l’evenienza delle condizioni legittimanti l’applicazione al condannato dell’indicata disciplina transitoria, stante la carenza di riscontro della sua collaborazione e delle altre situazioni surrichiamate, equiparate alla collaborazione stessa: ciò ha determinato l’effetto dell’impossibilità di applicare a COGNOME la disciplina transitoria, venendo quindi in rilievo il disposto dell’art. bis, comma 1-bis, Ord. pen., come sostituito dal d.l. n. 162 n. 2022, convertito con modificazioni dalla legge n. 199 del 2022.
4.2. In virtù di tale disciplina, se è vero che i benefici penitenziari per g autori di reati ostativi rientranti nella corrispondente prima fascia possono essere concessi “anche in assenza di collaborazione con la giustizia”, è del pari certo che per accedere a tali misure l’interessato deve soddisfare determinati oneri di specifica allegazione e, per alcuni aspetti, di prova, in modo da consentire la concreta possibilità dell’emersione della corrispondente dimostrazione dei necessari parametri valutativi, fissati dalla medesima disposizione.
Per i condannati che non abbiano acceduto alla collaborazione con la giustizia e non rientranti nelle categorie assimilate nei sensi suindicati, occorre, infatti, dimostrare l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna, salva assoluta impossibilità, che deve risultare idoneamente provata.
Occorre, poi, assolvere l’onere di specifica allegazione – non soddisfatto dall’indicazione, anche cumulativa, della regolare condotta e della partecipazione al percorso trattamentale inframurario, della dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione di appartenenza – di elementi, diversi e ulteriori, che siano idonei a escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi.
Nella corrispondente valutazione, il giudice deve tener conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile, nonché accertare la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nella forma risarcitoria che in quella della giustizia riparativa.
Il percorso procedimentale è quello segnato dal comma 2 della medesima norma, così da determinare un assetto in relazione al quale si ribadisce che, in tema di misure alternative alla detenzione in favore di soggetto condannato per reati ostativi definiti di prima fascia, per effetto delle modificazioni apportat all’art. 4 -bis Ord. pen. con il d.l. n. 162 del 2022 cit., non assume rilievo decisivo la collaborazione con l’autorità giudiziaria, ma è demandata al giudice, alla luce della mutata natura della presunzione – divenuta relativa – di mantenimento dei collegamenti con l’organizzazione criminale, la valutazione del percorso rieducativo del condannato e dell’assenza di collegamenti, attuali o potenziali, con la criminalità organizzata e con il contesto mafioso, mediante gli ampliati poteri istruttori di cui all’art. 4 -bis, comma 2, cit. (Sez. 1, n. 35682 del 23/05/2023, Catarisano, Rv. 284921 – 01).
4.3. Assodata questa cornice normativa, deve ritenersi congrua e non illogica la valutazione effettuata dal Tribunale di sorveglianza, volta a non annettere, allo stato degli atti, valore dirimente agli elementi prospettati come favorevoli dalla difesa, in particolare all’assoluzione conseguita da altri soggetti, dedotti come concorrenti necessari di COGNOME nel reato associativo; elemento sul quale ha fatto leva il ricorrente, deducendo di aver proposto – senza però dimostrare di aver conseguito – la revisione della sentenza di condanna per il reato associativo, la cui pena è in corso di esecuzione.
In sostanza, se non è concretamente contestata la natura ostativa, ai sensi
dell’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen., della condanna per il reato associativo e se non si è prospettato che la pena relativa a tale reato sia stata interamente espiata, appare infondata la critica mossa ai giudici di sorveglianza per non aver ritenuto la sopravvenuta irrilevanza del titolo in esecuzione per il solo fatto dell’assoluzione dallo stesso reato dei coimputati.
D’altro canto, il Tribunale non si è trovato di fronte, in forza di quanto lo stesso ricorrente appare avere dedotto e dimostrato, all’accertamento generalizzato dell’insussistenza dell’associazione RAGIONE_SOCIALE a cui il ricorrente è stato considerato aver partecipato, ossia RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE.
Pertanto, in rapporto al catalogo di elementi da acquisirsi in forza della disciplina suindicata, non può persuasivamente censurarsi l’accertamento compiuto dal Tribunale di sorveglianza adducendo una – indimostrata impossibilità di collegamenti del condannato con un’entità criminale in thesi inesistente: d’altronde, non si potrebbe reputare acclarata l’assoluta insussistenza della RAGIONE_SOCIALE sulla base delle deduzioni del ricorrente e mediante il mero riferimento a un singolo processo riguardante alcuni soggetti.
4.4. Per altro verso, la valutazione degli ulteriori elementi compiuta dai giudici di sorveglianza si profila adeguata e non illogica, sia con riferimento al mancato adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi riparatori, sia in merito alla ponderazione degli ulteriori reati per i quali COGNOME ha riportato condanna, anche in considerazione del contesto criminale in cui le ulteriori fattispecie antigiuridiche sono state perpetrate, sia con riguardo al procedimento di prevenzione definito a suo carico e del suo esito, sia infine in rapporto alle acquisizioni informative, di segno negativo.
Il Tribunale si è dato carico di individuare e valutare i suddetti elementi e, illustrando l’esito della corrispondente ponderazione con un argomentato discorso giustificativo esente da vizi logici, ha ritenuto tali elementi complessivamente non favorevoli al condannato – di spessore tale da non consentire di escludere in modo ragionevole l’attualità dei collegamenti di COGNOME con la criminalità organizzata.
4.5. Anche sotto il più generale profilo dalle parti dibattuto, quindi, l’impugnazione proposta non può ritenersi fondata.
Il ricorso, in definitiva, deve essere, nel suo complesso, rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 6 6 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali.
Così deciso il 9 novembre 2023
Il Consig ‘ere estensore
Il Presinte