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Reati ostativi: Cassazione su permessi senza collaborazione

Un detenuto condannato per reati ostativi, tra cui associazione di tipo mafioso, si è visto negare la concessione di permessi premio dal Tribunale di Sorveglianza unicamente per la mancata collaborazione con la giustizia. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che, in seguito alla riforma del 2022 sull’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario, il giudice non può più fermarsi a questo singolo dato. È invece obbligato a svolgere un’istruttoria approfondita per valutare l’assenza di legami attuali con la criminalità e il percorso rieducativo del condannato. La presunzione di pericolosità del non collaborante è ora relativa e superabile, imponendo un esame completo di tutti gli elementi a disposizione.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reati Ostativi: La Cassazione Apre ai Permessi Anche Senza Collaborazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di esecuzione della pena per i reati ostativi. Con la pronuncia n. 38468 del 2024, la Suprema Corte ha chiarito che il diniego di un permesso premio non può basarsi esclusivamente sulla mancata collaborazione con la giustizia da parte del condannato. La decisione sottolinea l’obbligo per i giudici di sorveglianza di condurre un’analisi approfondita e individualizzata, in linea con le riforme legislative del 2022.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un uomo condannato a dieci anni di reclusione per reati di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) ed estorsione (art. 629 c.p.). Dopo aver scontato oltre metà della pena, parte della quale in regime di arresti domiciliari, l’uomo ha presentato un’istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere dei permessi premio. A sostegno della sua richiesta, ha evidenziato l’assenza di legami attuali con la criminalità organizzata, il suo positivo inserimento sociale e lavorativo e il fatto che i clan con cui aveva avuto rapporti in passato non fossero più operativi.

Il Tribunale di Sorveglianza, tuttavia, ha dichiarato l’istanza inammissibile. La sua decisione si è fondata quasi esclusivamente su un unico dato: la mancata collaborazione con la giustizia. Secondo il Tribunale, il condannato, avendo avuto un ruolo di collegamento tra criminalità, imprenditoria e politica, possedeva un patrimonio di conoscenze che non aveva mai rivelato, rendendo impossibile superare la presunzione di pericolosità.

La Valutazione sui Reati Ostativi e la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del detenuto, annullando l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza e rinviando il caso per un nuovo giudizio. La Suprema Corte ha censurato l’approccio del giudice di merito, ritenendolo in contrasto con la nuova normativa sui reati ostativi introdotta dal decreto-legge n. 162 del 2022.

La riforma ha trasformato la presunzione di pericolosità per i non collaboranti da ‘assoluta’ a ‘relativa’. Ciò significa che la mancata collaborazione non è più un ostacolo insormontabile all’accesso ai benefici penitenziari. Il condannato ha ora la possibilità di superare questa presunzione fornendo elementi specifici che dimostrino la rottura dei legami con il contesto criminale e l’assenza del pericolo di un loro ripristino.

Le Motivazioni

La Cassazione ha spiegato che il Tribunale di Sorveglianza ha commesso un errore fondamentale: ha ignorato i suoi ampliati poteri e doveri istruttori. Invece di limitarsi a prendere atto della mancata collaborazione, avrebbe dovuto:

1. Valutare tutti gli elementi forniti dal detenuto: La difesa aveva prodotto documentazione relativa al buon comportamento, all’inserimento sociale e al fatto che il condannato aveva già fruito di autorizzazioni che gli avevano concesso una sostanziale libertà senza mai dare segnali di riavvicinamento alla criminalità.
2. Attivare il circuito informativo previsto dalla legge: L’art. 4-bis, comma 2, dell’Ordinamento Penitenziario impone al giudice di acquisire informazioni dettagliate, ad esempio dal Procuratore nazionale antimafia e dalle forze di polizia, per verificare l’operatività del sodalizio criminale di appartenenza e il profilo attuale del detenuto.
3. Considerare il percorso rieducativo: Il giudice deve esaminare la partecipazione del detenuto al percorso trattamentale, la revisione critica del suo passato criminale e le eventuali iniziative a favore delle vittime.

In sostanza, il Tribunale ha adottato un provvedimento ‘distonico’ rispetto al nuovo quadro normativo, ‘annegando’ tutti gli elementi a favore del richiedente nella sola considerazione della carenza di collaborazione. Questo approccio, secondo la Corte, attribuisce alla non collaborazione un’efficacia preclusiva che la legge non le riconosce più.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante conferma dell’indirizzo inaugurato con la riforma del 2022. La concessione di benefici penitenziari per i reati ostativi a soggetti non collaboranti non è automatica, ma richiede un rigoroso e approfondito accertamento da parte della magistratura di sorveglianza. Il focus si sposta dalla mera scelta processuale del detenuto (collaborare o non collaborare) a una valutazione sostanziale e attuale della sua personalità e del suo percorso. Il giudice ha il dovere di utilizzare tutti gli strumenti istruttori a sua disposizione per fondare la propria decisione su un quadro informativo completo, garantendo un equilibrio tra le esigenze di sicurezza della collettività e il principio costituzionale della finalità rieducativa della pena.

Dopo la riforma del 2022, la collaborazione con la giustizia è ancora obbligatoria per ottenere benefici per reati ostativi?
No, non è più un requisito assoluto. La normativa ha trasformato la presunzione di pericolosità per chi non collabora in una presunzione ‘relativa’, che può essere superata fornendo elementi di prova specifici che dimostrino l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e del pericolo di un loro ripristino.

Cosa deve fare il Tribunale di Sorveglianza quando valuta l’istanza di un detenuto non collaborante?
Il Tribunale non può limitarsi a constatare la mancata collaborazione. Deve svolgere un’istruttoria completa, valutando tutti gli elementi forniti dal detenuto (es. percorso rieducativo, inserimento sociale), e acquisire d’ufficio informazioni dettagliate dalle autorità competenti per verificare il profilo criminale attuale del soggetto e l’operatività dei gruppi criminali di riferimento.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la decisione del Tribunale di Sorveglianza in questo caso?
La Cassazione ha annullato la decisione perché il Tribunale ha fondato il suo diniego quasi esclusivamente sulla mancata collaborazione, ignorando gli altri elementi presentati dalla difesa e omettendo di attivare i poteri istruttori previsti dalla nuova legge. In questo modo, ha erroneamente attribuito alla non collaborazione un’efficacia preclusiva che la normativa attuale non prevede più.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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