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Reati ostativi: anche il tentativo preclude i benefici?

La Corte di Cassazione ha stabilito che i reati ostativi alla concessione di benefici penitenziari includono anche la forma tentata, qualora il delitto sia aggravato dal metodo mafioso. La sentenza chiarisce che, a differenza dei reati specificamente elencati dalla norma, quelli descritti come categoria generale (ad esempio, commessi per agevolare associazioni mafiose) precludono i benefici anche se non portati a compimento. La Corte ha rigettato il ricorso di un condannato, confermando che tale interpretazione non è incostituzionale, in quanto la pericolosità del metodo mafioso sussiste anche nel solo tentativo.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reati Ostativi e Tentativo: La Cassazione sul Metodo Mafioso

La disciplina dei reati ostativi rappresenta uno dei pilastri del nostro ordinamento penitenziario, delineando un regime più severo per chi si macchia di crimini di particolare allarme sociale. Ma cosa accade se uno di questi reati non viene portato a compimento? La forma tentata di un delitto aggravato dal metodo mafioso è sufficiente a precludere l’accesso ai benefici penitenziari? Con la sentenza n. 14332 del 2024, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta netta, consolidando un importante principio interpretativo.

I Fatti del Caso

Un condannato si è visto respingere la richiesta di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena. Il motivo del diniego risiedeva nel fatto che, tra i reati per cui era stato condannato, figurava un delitto tentato ma aggravato ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991 (oggi art. 416-bis.1 c.p.), ovvero commesso con metodo mafioso. Secondo la Procura, tale reato rientrava nel catalogo dei cosiddetti reati ostativi previsti dall’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario, che impediscono la sospensione dell’esecuzione.
Il condannato ha proposto ricorso, sostenendo una tesi precisa: la norma sui reati ostativi, essendo una disposizione eccezionale e restrittiva, dovrebbe applicarsi solo ai delitti consumati e non a quelli tentati. Estenderne l’applicazione al tentativo, secondo la difesa, costituirebbe una violazione del divieto di interpretazione in malam partem e solleverebbe dubbi di legittimità costituzionale.

La Decisione della Cassazione e la Logica dei Reati Ostativi

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo le censure infondate e confermando la decisione del giudice dell’esecuzione. Il cuore del ragionamento della Suprema Corte si basa su una distinzione fondamentale nel modo in cui l’art. 4-bis elenca i reati ostativi.

Elenco Tassativo vs. Categoria di Reato

La Corte ha spiegato che esistono due modi in cui la legge individua i reati ostativi:
1. Indicazione Specifica: In alcuni casi, la norma elenca specifici delitti citando l’articolo del codice penale che li definisce (es. sequestro di persona a scopo di estorsione). In queste ipotesi, l’orientamento consolidato è che la preclusione si applichi solo alla forma consumata del reato, poiché il tentativo costituisce una fattispecie autonoma non espressamente menzionata.
2. Indicazione per Categoria: In altri casi, la legge non indica un reato specifico, ma una categoria generale di delitti, caratterizzati da un particolare metodo o finalità. È il caso dei «delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen., ovvero al fine di agevolare l’attività delle relative associazioni».

In questa seconda ipotesi, ha chiarito la Corte, la preclusione si estende anche alla forma tentata. Il legislatore non ha voluto punire un determinato risultato, ma un modus operandi e una finalità criminale di eccezionale gravità. Il metodo mafioso e lo scopo di agevolare un’associazione criminale sono presenti e connotano la condotta di particolare pericolosità sociale a prescindere dal fatto che il reato sia stato consumato o solo tentato.

Il Supporto delle Sezioni Unite

A sostegno della propria tesi, la Cassazione ha richiamato una precedente pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza Di Maro, n. 40985/2018). Sebbene quel caso riguardasse un tema diverso (la confisca allargata), le Sezioni Unite avevano già sancito il principio secondo cui, quando il legislatore richiama una categoria non specificata di delitti (come quelli con finalità mafiosa), l’intenzione è di includere sia le forme consumate che quelle tentate.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ritenuto manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale. La diversità di trattamento tra un delitto tentato ‘comune’ e un delitto tentato aggravato dalla finalità mafiosa non è irragionevole. Anzi, è pienamente giustificata dalla specifica pericolosità che il legislatore ha inteso contrastare. Il ricorso al metodo mafioso o l’intento di favorire un clan sono elementi che qualificano la condotta in sé, rendendola meritevole di un trattamento penitenziario più severo, indipendentemente dall’esito finale dell’azione criminosa. La decisione della Corte territoriale è stata quindi ritenuta corretta, poiché si è allineata a un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, senza introdurre elementi di novità che richiedessero una nuova rimessione alle Sezioni Unite.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cruciale nell’applicazione delle norme sull’esecuzione della pena: la lotta alla criminalità organizzata giustifica un approccio rigoroso che guarda alla sostanza della condotta criminale. Per i reati ostativi definiti da una categoria generale, come quelli legati alla mafia, il fattore determinante è la presenza del metodo o della finalità mafiosa. Questa caratteristica rende la condotta ostativa ai benefici penitenziari, sia che il reato sia stato consumato, sia che sia rimasto allo stadio di tentativo. Una lezione chiara per operatori del diritto e condannati, che conferma la coerenza e la fermezza del sistema nel contrastare le forme più gravi di criminalità.

Un reato tentato può essere considerato ostativo alla concessione di benefici penitenziari?
Sì, ma solo a determinate condizioni. Secondo la Corte di Cassazione, se il reato rientra in una categoria generale definita dal suo metodo o finalità (come i delitti commessi con metodo mafioso), anche la forma tentata è considerata ostativa. Se invece il reato è indicato specificamente con il suo articolo di legge, di norma solo la forma consumata è ostativa.

Qual è la differenza tra reati ostativi indicati per articolo e quelli per categoria?
Quando un reato ostativo è individuato tramite uno specifico articolo del codice (es. art. 630 c.p., sequestro a scopo di estorsione), la preclusione si applica solo al reato consumato. Quando invece la legge si riferisce a una categoria generica (es. ‘delitti commessi per agevolare un’associazione mafiosa’), la preclusione si estende sia alla forma consumata sia a quella tentata, perché ciò che rileva è la modalità o lo scopo della condotta.

È incostituzionale trattare diversamente un tentativo di reato ‘comune’ da un tentativo aggravato dal metodo mafioso ai fini dei benefici?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che questa differenza di trattamento è pienamente legittima e non irragionevole. La particolare pericolosità sociale legata al metodo mafioso giustifica un regime penitenziario più severo, anche quando il reato non è stato portato a compimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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