Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11558 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11558 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CORIGLIANO CALABRO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento indicato in epigrafe il Tribuale di sorveglianza di Roma ha dichiarato inammissibile l’istanza di detenzione domiciliare avanzata dalla dentuta NOME COGNOME ed ha rigettato le istanze di affidamento in prova al servizio sociale e di collaborazione impossibile.
Ricorre la condannata, per il tramite del difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi.
2.1. Con il primo deduce vizio di motivazione in relazione agli artt. 4-bis e 47ter ord. pen.
Lamenta che il Tribunale di sorveglianza, travisando i dati documentali, pacificamente risultanti dagli atti di causa, non abbia considerato quale data di scarcerazione per fine pena il 6 maggio 2025, espressamente indicata nell’ultimo ordine di scarcerazione, emesso il 26 maggio 2023. Qualora avesse considerato la più aggiornata e corretta posizione giuridica della condannata, Il Tribunale non avrebbe potuto dichiarare inammissibile l’istanza di detenzione domiciliare perché la pena residua ancora da scontare sarebbe stata inferiore ai due anni. Aggiunge che il reato oggetto della condanna in esecuzione è stato considerato ostativo, nonostante sia stato commesso nella forma del tentativo, in aperto contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità sull’interpretazione del divieto di concessione dei benefici penitenziari previsto dall’art. 4-bis rd. pen.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all’art. 133 cod. pen.
Lamenta che il giudizio di pericolosità sociale sia stato fondato su dati fattuali incerti e, per converso, ignorando quelli di segno contrario ben più consistenti, quale il ruolo marginale avuto dalla condannata nella consumazione del reato, la sua positiva condotta precedente e successiva al reato, la partecipazione attiva al trattamento rieducativo, l’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata, la restituzione alla persona offesa dei beni oggetto della condotta incriminata nonché di un ulteriore somma di denaro, la lontananza del luogo di esecuzione della misura alternativa rispetto a quello di consumazione dei reati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, va, pertanto, rigettato.
Non è condiviso dal Collegio l’orientamento giurisprudenziale, citato dal ricorrente, a mente del quale il divieto di concessione di misure alternative alla detenzione e di benefici penitenziari, imposto dall’art. 4-bis Ord. pen., opera esclusivamente per i reati consumati e non per le corrispondenti fattispecie commesse nella forma tentata, per il carattere autonomo del tentativo e per la natura eccezionale della norma che deroga al principio generale di accesso ai benefici penitenziari (Sez. 1, n. 15755 del 22/01/2014, Marino, Rv. 262264-01).
Va, invece, data continuità all’opzione ermeneutica fatta propria dalla pronuncia a Sezioni unite n. 40985 del 19/4/2018, COGNOME. Il supremo organo della nomofilachia, fornendo indicazioni con valenza generale e non limitata alla materia del sequestro preventivo finalizzato alla c.d. confisca allargata ex art. 12-
sexies dl. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 e succ. mod., ha chiarito che quando il legislatore indica nominativamente un determinato delitto, intende riferirsi solo al delitto consumato mentre, quando richiama una categoria di delitti non specificati, si riferisce sia a quelli consumati che a quelli tentati (Sez. 4, n. 5953 del 17/01/2020). Risulta, quindi, avallato l’orientamento, contrario a quello citato al ricorrente, secondo cui il divieto di cui all’art. 4-bis ord. pen. opera per i tutti i delitti, consumati o tentati, commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività delle relative associazioni, inclusi i delitti rimasti allo sta del tentativo, in quanto essi risultano nondimeno caratterizzati da tale metodo o finalità; e ciò a differenza di quanto si verifica nel caso dei delitti ostativi, co individuati mediante l’espressa indicazione della norma incriminatrice violata, che, come tale, non in grado di riconnprendere la corrispondente, ma autonoma, fattispecie tentata (Sez. 1, n. 8707 del 08/02/2012, COGNOME, Rv. 252919; Sez. 1, n. 23505 del 22/04/2004, COGNOME, Rv. 228134; Sez. 1, n. 11781 del 11/02/2021).
Il provvedimento impugnato ha quindi correttamente dichiarato inammissibile l’istanza di detenzione domiciliare perché riferita ad una pena inflitta per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso
1.1. Una volta accertato che il reato in corso di espiazione rientra nel catalogo di quelli ostativi di prima fascia individuati dall’art. 4-bis Ord. pen. diventa irrilevante il dedotto errore sul calcolo della pena al momento della pronuncia del provvedimento impugnato. Infatti, trova applicazione l’art. 47 ter, comma 1-bis, Ord. pen. a mente del quale “La detenzione domiciliare può essere applicata per l’espiazione della pena detentiva inflitta in misura non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, indipendentemente dalle condizioni di cui al comma 1 quando non ricorrono i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale e sempre che tale misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati. La presente disposizione non si applica ai condannati per i reati di cui all’articolo 4-bis”.
2. Il secondo motivo non supera il vaglio di ammissibilità perché sollecita apprezzamenti da sovrapporre a quelli, non manifestamenti illogici, del giudice del merito senza nemmeno confrontarsi con il nucleo centrale della decisione impugnata, ossia l’assenza dei presupposti della collaborazione impossibile e degli altri elementi richiesti dal nuovo teso dell’art. 4-bis, comma 1-bis Ord. pen. (“adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta
carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla m dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventual appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con l criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anc indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibi Al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta altresì la sussisten iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie quelle della giustizia riparativa”).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
processuali
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spes Così deciso, in Roma 8 febbraio 2024.