Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7034 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7034 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME NOMECOGNOME nato a Reggio Calabria, il 12/05/1962 avverso la sentenza del 05/04/2018 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 5 aprile 2018, il Tribunale di Reggio Calabria ha condannato l’imputato alla pena dell’ammenda, in relazione ai reati contravvenzionali di cui agli artt. 93, 94 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere realizzato in zona sismica, due unità immobiliari per civile abitazione senza aver dato preavviso scritto allo Sportello unico e senza la preventiva autorizzazione dell’Ufficio tecnico regionale.
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Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, un’impugnazione qualificata come appello.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, la difesa sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto pronunciare sentenza di non luogo a procedere, per intervenuta prescrizione dei reati. Sarebbero violati i principi stabiliti dalla giurisprudenza legittimità, secondo cui il reato di omessa denuncia dei lavori e presentazione dei progetti ha natura di reato permanente, la cui consumazione si protrae sino a quando il responsabile non presenta la relativa denuncia con l’allegato progetto ovvero, non termina l’intervento edilizio. La difesa afferma che i reati di cui agl artt. 93 e 94 del d.P.R. n. 380 del 2001 hanno natura di reati permanenti: il primo permane sino a quando chi intraprende l’intervento edilizio in zona sismica non presenta la relativa denuncia con l’allegato progetto ovvero non termina l’intervento; il secondo, permane fino a quando chi intraprende l’intervento edilizio in zona sismica lo termina oVvero ottiene la relativa autorizzazione. Tuttavia, il Tribunale avrebbe erroneamente affermato che il reato non si consuma fino a quando non cessa la lesione e non sono ristabilite le condizioni di legge: nel caso di specie, quando l’Ufficio tecnico della regione ha rilasciato l’attestazione di avvenuta verifica dei progetti. Il termine invece – asserisce il difensore – va identificato in epoca precedente rispetto a quella considerata dal giudice: per il reato di cui all’art. 93, al momento della presentazione denuncia con allegato del progetto in sanatoria; per quello di cui all’art. 94, nel momento in cui l’opera edilizia era stata terminata.
2.2. Con un secondo motivo di doglianza, il difensore lamenta la commisurazione della pena in misura distante dal minimo edittale e la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche da parte del giudice del merito, che non ha considerato la circostanza che l’imputato aveva presentato istanza di concessione in sanatoria, così autodenunciandosi.
Con motivi nuovi di impugnazione si contesta il provvedimento della Corte di appello che – secondo la prospettazione difensiva – avrebbe dichiarato inammissibile l’appello, trasmettendo gli atti alla Corte di cassazione, senza considerare che in primo grado era intervenuta anche condanna al risarcimento del danno alla parte civile; con la conseguenza che l’impugnazione avrebbe dovuto essere trattata in grado di appello.
La difesa ha depositato conclusioni scritte, con le quali insiste in quanto già dedotto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione – che è stata trasmessa a questa Corte con ordinanza della Corte di appello del 21 maggio 2024, ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., e che deve essere considerata quale ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., essendo stata proposta contro sentenza di condanna alla sola ammenda – è inammissibile.
1.1. Il primo motivo, che denuncia l’errore di valutazione del momento consumativo del reato, è inammissibile. Fermi i principi invocati dal difensore nell’ambito del ricorso, quest’ultimo risulta del tutto generico quanto all’individuazione del momento di completamento dell’opera o di presentazione dell’autorizzazione. Una tale indicazione non si evince dalla motivazione del Tribunale, la quale espone che: «la ditta di cui l’odierno imputato era legale rappresentante aveva presentato una pratica di sanatoria di un’opera edificata in assenza di titoli autorizzativi. In particolare, essendo stata l’opera edificata zona sismica di prima categoria, era fatto obbligo: 1) di presentare il progetto dell’opera da realizzare al competente ufficio regionale e 2) di attendere l’autorizzazione dello stesso ufficio prima di iniziarne la realizzazione». Né è dato evincere le date rilevanti dal ricorso difensivo, che colloca nel tempo la conclusione dell’opera e la presentazione dell’istanza in maniera del tutto generica.
1.2. Anche il secondo motivo, con cui si lamentano l’errata quantificazione della pena e il diniego delle circostanze attivanti generiche, è inammissibile.
A fronte di un trattamento sanzionatorio assai indulgente, la difesa si limita ad asserire che vi sarebbe stata una richiesta di sanatoria, senza sottoporre ad adeguata critica la corretta valutazione del Tribunale, secondo cui tale richiesta non elide la lesione del bene giuridico e non è indice di un ravvedimento, perché serve semplicemente a porre l’imputato al sicuro rispetto a eventuali ordini di demolizione; si evidenzia, più in generale, che l’imputato è gravato da precedenti penali, anche specifici, che connotano negativamente la sua personalità.
1.3. Il motivo nuovo di impugnazione – comunque manifestamente infondato perché basato sull’erroneo presupposto che la Corte d’appello avrebbe dichiarato inammissibile l’impugnazione, mentre la stessa si è limitata a trasmetterla a questa Corte, in applicazione dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. – è inammissibile, ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., perché l’inammissibilità dell’impugnazione si estende ai motivi nuovi.
Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22/10/2024.