Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8863 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3   Num. 8863  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Longiano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/04/2024 della Corte d’appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito  il  Pubblico  Ministero,  in  persona  della  Sostituta  Procuratrice  generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 22 aprile 2024, la Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Forlì del 19 settembre 2022 che aveva condannato NOME COGNOME per contravvenzioni concernenti violazioni delle norme in  materia  di  caccia,  e,  ravvisata  la  continuazione  fra  i  reati  e  concesse  le
circostanze attenuanti generiche, gli aveva irrogato la pena di due mesi di arresto, con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Secondo i Giudici di merito, NOME COGNOME sarebbe responsabile: a) della contravvenzione di cui all’art. 30, comma 1, lett. e) , in relazione all’art. 3, della legge 157 del 1992, per aver esercitato l’uccellagione mediante utilizzo di reti idonee alla cattura; b) della contravvenzione di cui all’art. 30, comma 1, lett. h) , in relazione all’art. 21, comma 1, lett. r) , della legge 157 del 1992, per aver esercitato la caccia con utilizzo di richiamo acustico a funzionamento elettromagnetico vietato dalla legge; c) della contravvenzione di cui all’art. 30, comma 1, lett. b) , in relazione all’art. 2, comma 1, lett. c) , della legge 157 del 1992, per aver detenuto un esemplare vivo di Pettirosso, di un esemplare vivo di Frosone e di un esemplare morto di Verdone, specie di avifauna selvatica particolarmente protette. I fatti risultano commessi il 18 ottobre 2018.
 Ha  presentato  ricorso  per  cassazione  avverso  la  sentenza  della  Corte d’appello  di  Bologna  NOME  AVV_NOTAIO,  con  atto  sottoscritto  dall’AVV_NOTAIO, articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, si contesta la mancata declaratoria ex art. 529 c.p.p. di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
Si deduce che, erroneamente, la Corte d’appello ha escluso il verificarsi dell’estinzione dei reati per cui si procede per intervenuta prescrizione, dedotta anche nei motivi di gravame. Il giudice di secondo grado ha osservato che i reati ascritti all’imputato, commessi in data 18 ottobre 2018, pur essendo contravvenzioni con il termine di prescrizione massima di cinque anni, non erano al momento della pronuncia prescritti, in virtù dell’applicazione della sospensione dei termini di prescrizione per un anno e sei mesi, prevista dalla legge n. 103 del 2017 per i reati ricadenti nell’arco temporale in cui questa ha avuto vigore, fino alla sua abrogazione a decorrere dal 1° gennaio 2020. Secondo la difesa, però, tale sospensione dei termini di prescrizione non dovrebbe operare, perché la legge n. 134 del 2021 avrebbe abrogato non l’art. 1, comma 1, della legge n. 3 del 2019, che aveva proceduto a modificare l’art. 159 cod. pen., ma direttamente quest’ultima disposizione, in particolare, intervenendo sui commi secondo e quarto, e così cancellando le ipotesi di sospensione ivi previste, con conseguente reviviscenza del regime prescrizionale antecedente all’entrata in vigore della legge n. 103 del 2017.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 546 e 125, comma 3, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) , cod. proc. pen., con riguardo all’affermazione di penale responsabilità.
Si deduce che la sentenza d’appello impugnata, come anche la sentenza di primo grado, presenti una motivazione soltanto apparente, difettando gli specifici motivi  di  fatto  e  di  diritto  a  sostegno  della  condanna,  alla  luce,  peraltro,  della complessa normativa che interessa la vicenda in esame.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., in relazione alla ricostruzione dei fatti.
Si deduce che la Corte d’appello è manchevole, in primo luogo, di qualsiasi indicazione in ordine alle concrete modalità delle condotte tenute dall’imputato nella commissione dei fatti di reato di cui ai capi a) e b), essendosi limitata ad esaminare unicamente la contestazione di cui al capo c), e, in secondo luogo, di un adeguato confronto con il materiale probatorio offerto dall’esame dei testi.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) , con riguardo all’illegalità della pena inflitta ed all’omessa valutazione sulla richiesta di riconoscimento della particolare tenuità del fatto.
Si  deduce,  in  primo  luogo,  che,  nella  determinazione  della  pena  inflitta,  il giudice di seconde cure ha reso una motivazione soltanto apparente, effettuando un calcolo in realtà totalmente omesso nella sentenza di primo grado.
Si deduce, in secondo luogo, che la sentenza impugnata difetta totalmente di motivazione anche in ordine alla richiesta di riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 -bis c.p., espressamente invocata  nei  motivi  di  appello,  nei  quali  si  erano  evidenziati  la  mancanza  di abitualità della condotta, lo stato di incensuratezza dell’imputato, l’età dello stesso e la minima lesività del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate.
Infondate sono le censure esposte nel primo motivo, le quali contestano la mancata  dichiarazione  di  estinzione  dei  reati per prescrizione, in  ragione dell’inapplicabilità della disciplina della sospensione della prescrizione di cui alla legge n. 103 del 2017, perché la stessa sarebbe stata abrogata.
Invero, le Sezioni Unite, con decisione emessa il 12 dicembre 2024, e resa nota al pubblico mediante notizia di decisione, esaminando la specifica questione, hanno affermato che, per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, si applica la disciplina della sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 159, commi secondo, terzo e quarto, cod. pen., nel testo introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, anche dopo l’introduzione dell’art. 2, comma 1, lett. a), della legge 27 novembre 2021, n. 134.
Ciò posto, va rilevato che: a) i reati in contestazione risultano commessi il 18 ottobre 2018; b) la sentenza di primo grado è stata pronunciata il 19 settembre 2022,  con  indicazione  in  sessanta  giorni  del  termine  per  il  deposito  della motivazione;  c)  la  sentenza  di  appello  è  stata  emessa il  22  aprile  2024, con indicazione in sessanta giorni del termine per il deposito della motivazione.
Di conseguenza, deve osservarsi che: 1) alla data del 18 novembre 2022, giorno in cui scadeva il termine per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado, non era ancora decorso il termine di cinque anni necessario per la prescrizione dei reati in contestazione; 2) dal 18 novembre 2022 al 22 aprile 2024, il decorso del termine per la prescrizione è stato sospeso per effetto della disciplina di cui all’art. 159, commi secondo, terzo e quarto, cod. pen., nel testo introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103; c) il termine di prescrizione, pur riprendendo a decorrere dalla data della pronuncia del dispositivo della sentenza di appello, è rimasto nuovamente sospeso, sempre a norma dell’art. 159, commi secondo, terzo e quarto, cod. pen., nel testo introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, a partire dal giorno in cui scadeva il termine per il deposito della motivazione della sentenza di secondo grado, ossia dal 21 giugno 2024, fino alla data della presente decisione.
Ne  discende  che,  dal  18  ottobre  2018  alla  data  della  presente  decisione, tenendo  conto  delle  sospensioni  da  applicare  a  norma  dell’art.  159,  commi secondo, terzo e quarto, cod. pen., nel testo introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n.  103,  non sono decorsi i cinque anni necessari per la prescrizione del reato, essendo computabili a tale fine solo quattro anni e tre mesi.
Complessivamente infondate sono le censure formulate nel secondo e nel terzo motivo, tra loro strettamente connesse, le quali contestano l’affermazione di penale  responsabilità  per  i  reati  ritenuti  accertati,  deducendo  che  la  sentenza impugnata è priva di effettiva motivazione e non si è effettivamente confrontata con il materiale istruttorio.
3.1.  Ai  fini  dell’esame  delle  censure  appena  sintetizzate,  è  utile  indicare  i principi  elaborati  dalla  giurisprudenza  per  la  configurabilità  dei  reati  ritenuti accertati dai Giudici di merito.
Innanzitutto, con riguardo al reato di uccellagione previsto dall’art. 30, comma 1, lett. e) , della legge 11 febbraio 1992 n. 157, è principio consolidato quello secondo cui lo stesso costituisce fattispecie di pericolo a consumazione anticipata, per la cui integrazione è sufficiente qualsiasi atto diretto alla cattura di uccelli con mezzi diversi dalle armi da sparo e con potenzialità offensiva indeterminata, non essendo invece richiesta l’effettiva apprensione dei volatili (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 7861 del 12/01/2016, COGNOME, Rv. 266278 – 01, e Sez. 3, n. 19554 del
17/03/2004, COGNOME, Rv. 228886 – 01). Inoltre, un mezzo diverso dalle armi da sparo con potenzialità offensiva indeterminata rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 30, comma 1, lett. e) , della legge 11 febbraio 1992 n. 157, è sicuramente costituito dalle reti (cfr., tra le tantissime, oltre Sez. 3, n. 19554 del 2004, cit., anche Sez. 3, n. 6343 del 01/02/2006, COGNOME, Rv. 233316 – 01, e Sez. 3, n. 9607 del 02/06/1999, COGNOME, Rv. 214597 – 01).
Per quanto concerne, poi, il reato di cui all’art. 30, comma 1, lett. h) , in relazione all’art. 21, comma 1, lett. r) , della legge 157 del 1992, per la sua integrazione è sufficiente che ricorra l’uso di un richiamo acustico in grado di funzionare (Sez. 3, n. 14431 del 19/09/2013, dep. 2014, Rossi, Rv. 258688 – 01), e che la persona sia in «atteggiamento da caccia», il quale si configura non solo in caso di effettiva uccisione o cattura della selvaggina, ma anche con riguardo al compimento di qualunque attività preliminare alla caccia e, comunque, di qualsiasi atto che appaia comunque diretto alla soppressione o alla cattura di uccelli o animali in genere (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 19653 del 27/02/2019, Iachetta, Rv. 275750 – 01).
Relativamente al reato di cui all’art. 30, comma 1, lett. b) , in relazione all’art. 2, comma 1, lett. c) , della legge 157 del 1992, infine, per la sua integrazione è sufficiente la detenzione di mammiferi o uccelli compresi nell’elenco di cui all’art. 2 della medesima legge, tra i quali rientrano sicuramente i frosoni (vds. Sez. 3, n. 734 del 10/10/2018, dep. 2019, Bonelli, Rv. 274569 – 01, e Sez. 3, n. 23931 del 27/05/2010, Fatti, Rv. 247798 – 01) e i pettirossi (Sez. 3, n. 16441 del 16/03/2011, Feroldi, Rv. 249859 – 01). Inoltre, se è possibile, per il detentore di un esemplare di fauna selvatica, dimostrarne la provenienza non illegittima, con conseguente esclusione di sua responsabilità penale, l’ onus probandi incombe su di lui e non sull’accusa, posto che la regola generale stabilita dall’art. 21, comma 1, lett. e) , legge 11 febbraio 1992, n.157 è quella del divieto di detenzione di esemplari di fauna selvatica (Sez. 3, n. 6557 del 04/11/2016, dep. 2017, Attardi, Rv. 269036 -01, e Sez. 3, n. 8877 del 08/05/1997, Muz, Rv. 209368 -01).
3.2. La Corte d’appello fornisce indicazioni, sia pur sintetiche, in ordine a tutti i fatti ritenuti accertati e sussunti nelle fattispecie contravvenzionali contestate.
La sentenza impugnata rappresenta, innanzitutto, che, in data 18 ottobre 2018, in ora notturna, la polizia giudiziaria, all’esito di un appostamento predisposto nei pressi dell’abitazione dell’imputato, aveva ascoltato richiami diffusi di tordo bottaccio, ad alto volume, da ritenere registrati in quanto detto volatile non canta di notte, ed aveva colto l’imputato mentre si era recato ad ispezionare una rete da caccia delle dimensioni di 40 metri. Espone, poi, che la polizia giudiziaria, non appena vedeva l’imputato ispezionare la rete, procedeva immediat amente a fermarlo e a sottoporlo a perquisizione, all’esito della quale
venivano rinvenuti dispositivi per il richiamo del tordo bottaccio, altri materiali idonei al richiamo ed alla cattura di volatili, sostanze dopanti, anelli identificativi artefatti o manomessi e gli uccelli indicati nell’imputazione (un esemplare vivo di pettirosso, un esemplare vivo di frosone, e un esemplare morto di verdone). Osserva, quindi, che il possesso degli uccelli indicati nell’imputazione non può ritenersi casuale, in consi derazione di tutte le attrezzature detenute dall’imputato per la cattura dei volatili.
La sentenza impugnata, inoltre, evidenzi a che le argomentazioni dell’atto di appello si erano limitate a critic are specificamente l’affermazione di responsabilità solo per la detenzione degli uccelli appartenenti a specie particolarmente protette. E questo rilievo non è espressamente contestato nel ricorso.
3.3.  Le  conclusioni  della  sentenza  impugnata  in  ordine  al l’affermazione  di penale responsabilità dell’imputato sono correttamente motivate.
In  effetti,  la  motivazione,  sebbene  succinta,  consente  di  individuare  con precisione i fatti ritenuti accertati, i dati istruttori acquisiti, le ragioni per le quali gli elementi a carico sono stati ritenuti persuasivi, nonché la corrispondenza tra le condotte  così  ricostruite  e  le  fattispecie  incriminatrici  contestate.  Inoltre,  le valutazioni compiute risultano effettuate sulla base non di criteri arbitrari, ma di accettabili massime di esperienza.
Infondate sono le censure enunciate nel quarto motivo, le quali contestano la legalità della pena inflitta e il diniego di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 -bis cod. pen.
Per quanto attiene alla determinazione della pena, deve osservarsi che già solo per il reato di cui all’art. 30, comma 1, lett. b) , legge n. 157 del 1992 è prevista la sanzione del diniego di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 -bis cod. pen., poi, risulta incensurabile la motivazione della sentenza impugnata in ordine a tale punto: la stessa, infatti, valorizza, in modo congruo rispetto al fine di giustificare la statuizione adottata, la pluralità delle violazioni accertate e degli strumenti acquisiti dall’imputato per la cattura di uccelli la cui caccia è vietata.
Alla complessiva infondatezza delle censure seguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna  il ricorrente  al  pagamento  delle  spese processuali.
Così deciso il 23/01/2025.