Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 32098 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 32098 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: nei confronti di:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI LECCO
COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 17/09/2021 del TRIBUNALE di LECCO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, per l’imputato, che ha chiesto il rigetto del ricorso del pubblico ministero per carenza sopravvenuta di interesse.
RITENUTO IN FATTO
Il provvedimento al vaglio odierno di questa Corte è stato pronunciato il 17 settembre 2021 dal Tribunale di Lecco in composizione monocratica, che ha dichiarato la nullità del decreto di citazione per il giudizio direttissimo emesso dal pubblico ministero nei confronti di NOME COGNOME, imputato del reato di lesioni personali aggravate dall’uso dell’arma (una spranga in ferro).
La nullità del decreto sancita dal Giudice monocratico vede la sua causa nella scelta – ritenuta erronea – del pubblico ministero di procedere a giudizio
direttissimo ai sensi dell’art. 12 -bis d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. con mod. dalla I. 07 agosto 1992, n. 356, nonostante il reato per cui si procede non possa essere ascritto tra i «reati concernenti le armi e gli esplosivi» di cui alla disposizione citata.
Il ricorso del pubblico ministero presso il Tribunale di Lecco deduce l’abnormità del provvedimento impugnato, sostenendo la correttezza della riconduzione delle lesioni aggravate dall’uso dell’arma alla nozione di «reati concernenti le armi e gli esplosivi», reputando tale nozione comprensiva anche dei reati commessi con l’utilizzo di armi, connotati anch’essi da particolare gravità. Il pubblico ministero, a sostegno della sua tesi, osserva anche che sarebbe paradossale consentire il giudizio direttissimo per il reato di cui all’art. 4 I. 110 del 1975 e non per le connesse lesioni.
In conclusione, la parte pubblica sostiene che il provvedimento impugnato sarebbe connotato da abnormità sia strutturale che funzionale perché foriero della stasi del procedimento. La stasi sarebbe determinata dal fatto che, anche dopo la restituzione, il pubblico ministero non potrebbe procedere a citazione diretta a giudizio, poiché il rito direttissimo sarebbe obbligatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il pubblico ministero ricorrente lamenta che il provvedimento impugnato sarebbe abnorme sia sotto il profilo strutturale che funzionale; la prospettiva censoria, in particolare, muove dal presupposto che tale anomalia sarebbe generata dalla stasi determinata dalla decisione del Tribunale, in quanto la naturale evoluzione del procedimento sarebbe paralizzata dalla scelta, di fatto imposta al pubblico ministero, di procedere con giudizio ordinario, a dispetto del fatto che tale scelta – sostiene la parte ricorrente – sarebbe suscettibile di essere censurata ulteriormente dall’organo giudicante in quanto non conforme alla doverosa evoluzione del presente procedimento verso il rito direttissimo ex art. 12 -bis dl. 306 del 1992.
Tanto premesso, l’assunto del ricorrente non merita condivisione e ciò per due ragioni.
2.1. La prima è che la scelta del rito direttissimo ex art. 12 -bis cit., a prescindere dalla questione generale sulla sua obbligatorietà, non è certamente imposta per il reato di lesioni aggravate dall’uso dell’arma – come per ogni reato
rispetto al quale l’arma entri in gioco solo rispetto ad una circostanza aggravante – in quanto, nella nozione di «reati concernenti le armi e gli esplosivi» di cui all’art. 12-bis, non rientrano, oltre ai reati direttamente concernenti le attività (detenzione, porto, trasporto, importazione etc.) che abbiano come oggetto, appunto, le armi, anche quei reati in cui l’arma rilevi come dato meramente circostanziale.
Depongono in questo senso diverse considerazioni, connesse l’una all’altra.
La prima fonda sul dato lessicale, giacché l’utilizzo dell’aggettivo/participio presente «concernenti», nel senso di “attinenti”, “relativi”, rimanda ad un rapporto diretto tra soggetto-agente e arma quale fulcro della fattispecie di reato, che vede la sua struttura conformata intorno ad un’azione umana che incide sull’arma quale oggetto unico ed esclusivo e che trova la ragione della sua perseguibilità nella violazione della disciplina sulle armi.
La seconda riguarda il ruolo che, nell’ambito del reato per cui oggi si procede, riveste l’arma, il cui utilizzo da parte dell’autore del fatto riguarda il profilo circostanziale del reato – pertanto accessorio, eventuale ed ancillare rispetto alla centralità dell’addebito – il che conforta l’idea dell’estraneità di un reato semplicemente aggravato dall’uso dell’arma alla categoria individuata dalla definizione di «reati concernenti le armi». In altre parole, il reato di lesioni aggravate dall’uso dell’arma non “concerne” quest’ultima, ma la lesione all’integrità personale e la conseguente malattia nel senso penalistico del termine che discendono dall’azione umana oggetto dell’addebito, solo accidentalmente resa più insidiosa dall’utilizzo di un’arma.
Non ultima vi è poi la circostanza che le esigenze di speditezza che possono giustificare la previsione normativa del rito direttissimo per i reati concernenti le armi – siccome essi non richiedono, in linea di principio, particolari sforzi investigativi – non resistono al confronto con le necessità di possibile approfondimento che l’indagine concernente i reati aggravati dall’uso dell’arma può richiedere (si pensi, solo per restare ai reati contro la persona, alla necessità di verificare le conseguenze patite dalla persona offesa).
2.2. Sulla base di queste premesse – e senza la necessità di addentrarsi nel complesso percorso ricostruttivo della categoria dell’abnormità che si deve alla giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite – trova facile soluzione la questione circa l’abnormità del provvedimento impugnato, per come impostata dal pubblico ministero ricorrente, che ha insistito sul profilo funzionale, lamentando che la decisione del Giudice monocratico avrebbe comportato, oltre che un’indebita regressione, una stasi del procedimento.
Ebbene, contrariamente a quanto assume la parte pubblica, nella specie non si è determinata alcuna stasi del procedimento in quanto, esclusa l’obbligatorietà
della scelta di procedere con rito direttissimo, la restituzione degli atti al pubblico se GLYPH pronunziata ministero che è conseguita alla declaratoria di nullità pnunziata dal Giudice paralizzato l’ite monocratico non ha GLYPH r processuale, che poteva – come nel concreto accaduto (cfr. memoria della difesa dell’imputato con allegato l’avviso more emesso dal pubblico di conclusione delle indagini preliminari nell ministero) – riprendere con l’attivazione del giudizio ordinario.
P.Q.M.