Ravvedimento Operoso: Non Basta Collaborare, Serve un Aiuto Concreto
L’istituto del ravvedimento operoso nel diritto penale, specialmente in materia di stupefacenti, rappresenta un’importante opportunità per l’imputato di ottenere una riduzione di pena. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la semplice volontà di collaborare non è sufficiente. La collaborazione deve essere efficace, utile e concretamente verificabile. Analizziamo insieme questa pronuncia per capire i limiti e le condizioni di applicazione di questa attenuante.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un soggetto per il reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Firenze. L’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando principalmente la mancata applicazione di due circostanze attenuanti previste dall’art. 73 del d.P.R. 309/1990:
1. L’attenuante del fatto di lieve entità (comma 5).
2. L’attenuante del ravvedimento operoso (comma 7).
Secondo la difesa, i giudici di merito avrebbero errato nel non riconoscere il suo contributo collaborativo e nel qualificare il fatto come non lieve, nonostante le sue argomentazioni.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando su tutta la linea le censure mosse dall’imputato. La decisione si fonda su un’analisi rigorosa dei presupposti necessari per l’applicazione delle attenuanti richieste, confermando l’operato dei giudici di merito in quanto logicamente e congruamente motivato.
Le Motivazioni: L’Insufficienza del Ravvedimento Operoso
Il punto centrale della pronuncia riguarda l’interpretazione del ravvedimento operoso. La Corte ha sottolineato che, per integrare questa attenuante, non è sufficiente una generica dichiarazione di collaborazione. Il giudice deve accertare “l’utilità e la proficuità delle dichiarazioni collaborative rese dall’imputato”.
Nel caso di specie, la collaborazione dell’imputato è stata definita “scarna” e “del tutto inidonea a fornire una collaborazione ‘rafforzata’”. Le sue indicazioni non hanno trovato riscontri investigativi, risultando quindi prive di quella concretezza indispensabile per giustificare una riduzione di pena. La valutazione del giudice di merito, se supportata da una motivazione logica ed esaustiva come in questo caso, non è sindacabile in sede di legittimità. In sostanza, la Cassazione afferma che la collaborazione deve portare a risultati tangibili o, quantomeno, essere oggettivamente utile alle indagini.
Le Motivazioni: L’Esclusione del Fatto di Lieve Entità
Anche la richiesta di riconoscere il fatto come di “lieve entità” è stata respinta. La Corte d’Appello aveva basato la sua decisione su elementi oggettivi e inconfutabili:
* Il rilevante dato ponderale: la quantità di sostanza stupefacente era significativa.
* L’inserimento nel narcotraffico: l’imputato non era un piccolo spacciatore occasionale, ma una figura inserita in un contesto di traffico di droga.
* La destinazione della droga: le sostanze erano destinate a garantire “un ampio e capillare rifornimento ai partecipanti al Rave party”, un evento con un vasto pubblico di consumatori.
Questi elementi, valutati complessivamente, delineano un quadro di gravità incompatibile con la fattispecie del fatto di lieve entità.
Conclusioni
L’ordinanza in esame offre un importante spunto di riflessione. Ribadisce che le circostanze attenuanti non sono un diritto automatico, ma devono essere meritate e provate. Il ravvedimento operoso richiede un contributo collaborativo che sia sostanziale, non solo formale. Per l’imputato, ciò significa che l’unica via per ottenere un beneficio è fornire informazioni precise, dettagliate e verificabili, che consentano realmente alle forze dell’ordine di contrastare il fenomeno criminale. Per gli operatori del diritto, questa sentenza conferma la solidità di un orientamento giurisprudenziale che valorizza la concretezza e l’efficacia della collaborazione, lasciando al giudice di merito l’ampia discrezionalità, se logicamente motivata, di valutarne il reale spessore.
Cosa richiede la legge per l’applicazione dell’attenuante del ravvedimento operoso?
La legge richiede che la collaborazione dell’imputato sia concretamente utile e proficua per le indagini. Dichiarazioni generiche, scarse o prive di riscontri investigativi non sono sufficienti per ottenere la riduzione di pena.
Perché il reato non è stato considerato di ‘lieve entità’?
Il reato non è stato considerato lieve a causa della combinazione di tre fattori: la notevole quantità di droga detenuta, il ruolo attivo dell’imputato nel narcotraffico e la destinazione della sostanza a un vasto pubblico, come i partecipanti a un ‘Rave party’.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso da parte della Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che il ricorso non viene esaminato nel merito. Di conseguenza, la sentenza di condanna impugnata diventa definitiva e l’imputato viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 345 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 345 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOMECOGNOME CUI:COGNOME nato il 30/06/1988
avverso la sentenza del 31/01/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME imputato del reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti – ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa in data 31/01/2023 dalla Corte d’Appello di Firenze (che ha confermato la decisione di condanna emessa dal Tribunale di Siena) deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione delle disposizioni di cui ai commi 7 e 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990;
ritenuto, in via preliminare, che non possa essere presa in considerazione la memoria difensiva, depositata senza il rispetto del termine di quindici giorni liberi (cfr. sul punto Sez. 7, Ord. n. 7852 del 16/07/2020, dep. 2021, Ara, Rv. 281308 – 01).
ritenuto, che il primo ordine di censure sia manifestamente infondato, alla luce del consolidato insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui «in tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, per l’applicazione dell’attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 73, comma settimo, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il giudice è tenuto ad accertare l’utilità e la proficuità delle dichiarazi collaborative rese dall’imputato, con una valutazione che non è suscettibile di censura in sede di legittimità, ove supportata da motivazione logica ed esaustiva» (Sez. 4, n. 3946 del 19/01/2021, Hamri, Ry. 280385 – 01). In tale prospettiva ermeneutica, la valutazione operata dalla Corte territoriale deve ritenersi immune da censure qui deducibili, avendo fatto leva sul carattere scarno degli elementi, del tutto inidonei a fornire una collaborazione “rafforzata” indispensabile per l’applicazione del comma 7 (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata, anche quanto all’assenza di riscontri investigativi sulle indicazioni dell’HASAJ);
ritenuto che ad analoghe conclusioni di inammissibilità debba pervenirsi quanto alla residua censura, avendo la Corte d’Appello fatto riferimento – tutt’altro che illogicamente – al rilevante dato ponderale, al certo inserimento del ricorrente nel narcotraffico, nonché alla destinazione della droga di diversa tipologia, che avrebbe dovuto assicurare “un ampio e capillare rifornimento ai partecipanti al Rave party” (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata);
ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle (8’mmende
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2023