Ravvedimento Operoso: Non Bastano le Buone Intenzioni, Serve Collaborazione Concreta
L’istituto del ravvedimento operoso rappresenta una possibilità per l’imputato di ottenere uno sconto di pena, ma a quali condizioni? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito che, specialmente in materia di stupefacenti, non basta una generica collaborazione. Le dichiarazioni rese devono essere concrete, proficue e realmente utili alle indagini. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda un soggetto condannato in primo grado e in appello per detenzione e spaccio di cocaina. La pena inflitta era di 4 anni e 10 mesi di reclusione, oltre a una multa di 22.000 euro. La Corte d’Appello di Torino aveva confermato la responsabilità penale, ritenendo provate diverse cessioni di droga e negando la concessione di alcune attenuanti richieste dalla difesa.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due principali doglianze:
1. Mancato riconoscimento dell’attenuante speciale: La difesa lamentava che i giudici di merito avessero erroneamente negato l’applicazione del cosiddetto ravvedimento operoso, previsto dall’articolo 73, comma 7, del Testo Unico Stupefacenti. Secondo il ricorrente, la sua collaborazione avrebbe meritato una riduzione della pena.
2. Eccessività della pena base: Si contestava la quantificazione della pena, ritenuta troppo severa e superiore al minimo edittale, senza una motivazione adeguata.
La Decisione della Cassazione sul ravvedimento operoso
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, respingendo entrambe le censure. Per quanto riguarda il primo punto, quello cruciale sul ravvedimento operoso, i giudici hanno chiarito un principio fondamentale. Per beneficiare di questa attenuante, non è sufficiente che l’imputato fornisca delle dichiarazioni qualsiasi. È necessario che la sua collaborazione sia utile e proficua.
Nel caso specifico, le indicazioni fornite dall’imputato sono state giudicate troppo generiche e, di fatto, inidonee a fornire elementi concreti per lo sviluppo delle indagini. La giurisprudenza consolidata, richiamata dalla Corte, stabilisce che il giudice deve accertare l’effettiva utilità del contributo collaborativo. Una valutazione, questa, che se supportata da una motivazione logica ed esaustiva, non può essere messa in discussione in sede di legittimità.
La Valutazione della Pena
Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha ritenuto che la pena base, sebbene superiore al minimo, fosse stata correttamente determinata. I giudici di merito avevano giustificato la loro scelta sulla base di due parametri oggettivi: l’ingente quantitativo di droga ceduto e detenuto e la non occasionalità della condotta criminale.
La determinazione della misura della pena rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, che esercita questa facoltà applicando i criteri dell’articolo 133 del codice penale. Il sindacato della Cassazione su questo punto è limitato ai soli casi di decisioni arbitrarie o palesemente illogiche, ipotesi non riscontrata in questa vicenda.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su principi giuridici consolidati. In primo luogo, l’attenuante del ravvedimento operoso non è un automatismo, ma un beneficio subordinato a una collaborazione effettiva e tangibile. L’obiettivo della norma è incentivare un aiuto concreto allo smantellamento delle reti criminali, non premiare dichiarazioni di circostanza. In secondo luogo, la discrezionalità del giudice nella commisurazione della pena è un pilastro del sistema sanzionatorio. Finché la decisione è ancorata a criteri legali (come la gravità del fatto e la capacità a delinquere) e sorretta da una motivazione coerente, essa è insindacabile.
Le Conclusioni
Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: chi intende avvalersi del ravvedimento operoso deve essere consapevole che la propria collaborazione sarà vagliata attentamente sotto il profilo della sua concreta utilità. Non sono ammesse scorciatoie. Allo stesso tempo, si conferma che la determinazione della pena, se ben motivata, è difficilmente contestabile in Cassazione, specialmente quando fondata su elementi oggettivi come la quantità dello stupefacente, che dimostra la gravità del reato.
Quando si può ottenere l’attenuante del ravvedimento operoso in caso di reati di droga?
Secondo la Corte, l’attenuante si applica solo quando le dichiarazioni collaborative rese dall’imputato sono concretamente utili e proficue ai fini delle indagini, fornendo elementi concreti. Le indicazioni generiche non sono sufficienti.
Perché il giudice può stabilire una pena superiore al minimo previsto dalla legge?
Il giudice esercita un potere discrezionale, come previsto dall’art. 133 del codice penale. Può quindi fissare una pena superiore al minimo edittale se la sua decisione è motivata da elementi concreti, come l’ingente quantitativo di droga e la non occasionalità della condotta, che indicano una maggiore gravità del reato.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le doglianze erano manifestamente infondate. I giudici di merito avevano correttamente applicato la legge e fornito una motivazione logica ed esaustiva sia per negare l’attenuante sia per quantificare la pena, rendendo le critiche del ricorrente non accoglibili in sede di legittimità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11895 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11895 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME CUI 01KGKYG ) nato a KAVAIE( ALBANIA) il 27/09/1982
avverso la sentenza del 24/09/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino, seconda sezione penale, ha confermato la sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Torino in data 16.02.2023, che aveva dichiarato responsabile NOME COGNOME dei reati di detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente di tipo cocaina limitatamente alle cessioni del 14.12.2020 e 11.01.2021 e con esclusione dell’aggravante quanto ai fatti di cui al capo 62) – unificati dalla continuazione e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche valutate equivalenti all’aggravante contestata al capo 64), lo aveva condannato alla pena di anni 4 e mesi 10 di reclusione e €22.000 di multa.
L’imputato ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di appello, lamentando, con un primo motivo, erronea applicazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 73, co.7 D.P.R. n. 309/1990; con un secondo motivo, vizio di motivazione in relazione alla pena base per il reato di cui al capo 64).
Le doglianze sono manifestamente infondate. Quanto al primo motivo, la Corte territoriale ha correttamente negato il riconoscimento dell’attenuante di cui al comma 7 dell’art. 73 D.P.R. 309/1990, sulla base delle indicazioni generiche fornite dall’imputato, inidonee a fornire elementi concreti ai fini delle indagini (pag. 7). Infatti, ai sensi della giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità, in tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, per l’applicazione dell’attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 73, comma settimo, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, il giudice è tenuto ad accertare l’utilità e la proficuità delle dichiarazioni collaborative rese dall’imputato, c una valutazione che non è suscettibile di censura in sede di legittimità, ove supportata da motivazione logica ed esaustiva (Sez. 4, n. 3946 del 19/01/2021, Rv. 280385; Sez. 3, n. 31767 del 14/04/2022, Rv. 283823).
In relazione al secondo motivo, la quantificazione della pena base operata dal primo giudice e poi confermata in sede di appello, si giustifica alla luce dell’ingente quantitativo di droga ceduto e detenuto dall’imputato, e della non occasionalità della condotta (pag.8). Tali parametri, valutati ai fini del giudizi di discrezionalità di cui all’art. 133 cod. pen., hanno condotto i giudici ritenere congrua una pena base superiore al minimo edittale (pag.8). ). E’ principio consolidato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del
giudice di merito, il quale esercita la discrezionalità che la legge gli con attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione d (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. Il sindacato di leg infatti ammissibile solo quando la quantificazione costituisca il frutto di arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mast Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez 2, n. 12749 del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754).
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cass delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila da versare alla Cassa de ammende.
Così deciso in Roma, in data 11 marzo 2025.