Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11448 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11448 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Cosenza l’8/2/1967
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Roma del 14/10/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 14.10.2024, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha rigettato una istanza di detenzione domiciliare di COGNOME NOME, detenuto in espiazione di una pena di anni trenta di reclusione, con inizio pena il 28.7.2012 e fine pena al 27.8.2039.
Il Tribunale di Sorveglianza premette che la richiesta è ammissibile ai sensi degli artt. 16nonies , comma 1, L. n. 82 del 1991 e 47ter , comma 1bis , Ord. Pen., in quanto a Bruzzese, detenuto per reati inclusi nell’art. 51, comma 3bis , cod. proc. pen., è stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione ex art. 8 L.
203 del 1991 e il detenuto ha scontato un quarto della pena complessiva, tenuto conto della liberazione anticipata.
Quindi, rileva che COGNOME ha iniziato a collaborare nel febbraio del 2016, dopo un non breve periodo di restrizione al regime di cui all’art. 41 -bis Ord. Pen., e che la sua collaborazione, per quanto risulta dal parere della D.N.A., è stata rilevante per quello che ha riferito in ordine all ‘articolazione e all’attività delle famiglie mafiose del cosentino, essendo egli stesso esponente apicale di una cosca; è stato anche ammesso al programma di protezione. Tuttavia, la D.N.A. ha espresso parere contrario all’accoglimento dell’istanza, dovend osi prima verificare gli esiti dell’esperienza correlata ai permessi premio, non ancora intrapresa.
Il Tribunale di Sorveglianza osserva, altresì, che la relazione di sintesi aggiornata del 22.6.2024 prevede un’ipotesi trattamentale per un graduale accesso al percorso premiale, che tuttavia ancora non è stato oggetto di approvazione, sicché il detenuto non è stato a tutt’oggi ammesso ai benefici premiali.
Di conseguenza, nonostante il carattere positivo della collaborazione di COGNOME, il collegio ritiene prematura la concessione della detenzione domiciliare, perché è necessario il consolidamento della scelta collaborativa e la verifica dell’eventuale accesso ad esperienze premiali prima dell’ammissione a una misura alternativa.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore del condannato, articolando un unico motivo, con cui deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione in relazione agli artt. 47ter O.P. e 16nonies L. n. 82 del 1991.
Lamenta che la motivazione dell’ordinanza impugnata sia contraddittoria, perché non tiene conto dell’intervenuto ravvedimento e delle informazioni positive sul comportamento carcerario di Bruzzese, a maggior ragione alla luce della riconosciuta importanza della sua collaborazione.
Il provvedimento non ha fatto buon governo del principio secondo cui occorre avere riguardo soprattutto al comportamento del soggetto dopo i fatti per cui è stato condannato, da cui trarre i sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità. Il Tribunale di Sorveglianza, invece, ha ignorato l’evoluzione della personalità del condannato, il quale ha fornito un contributo collaborativo significativo e ha interrotto i collegamenti con la criminalità organizzata, giungendo così ad affermare contraddittoriamente la carenza del requisito del ravvedimento e la necessità di una verifica all’esterno con i permessi premio, ma senza spiegare perché la pericolosità sociale del condannato debba ritenersi ancora attuale.
L’istituto disciplinato dall’art. 16 -nonies L. n. 82 del 1991 presuppone l’espressione di un giudizio favorevole quanto al ravvedimento del soggetto collaboratore, per il quale possono prendersi in esame non solo gli esiti del trattamento penitenziario, ma anche la complessiva condotta del soggetto: l’ordinanza impugnata non si è conformata a tali canoni ermeneutici.
Con requisitoria scritta del 29.11.2024, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, osservando che, sebbene il ricorrente assuma la sufficienza del proprio percorso collaborativo a fondare un giudizio di ragionevole probabilità della effettiva sussistenza del ravvedimento, la Suprema Corte ha però ripetutamente evidenziato che tale requisito non può essere oggetto di una sorta di presunzione, formulabile sulla sola base dell’avvenuta collaborazione e dell’assenza di persistenti collegamenti del condannato con la criminalità organizzata, ma richiede la presenza di ulteriori, specifici elementi, che valgano a dimostrare in positivo, sia pure in termini di mera ragionevole probabilità, l’effettiva sussistenza del ravvedimento. Il ricorrente non ha offerto elementi di valutazione in questo senso, sicché è corretta la valutazione del decidente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. La motivazione dell’ordinanza impugnata è rispondente alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai fini della concessione dei benefici penitenziari in favore dei collaboratori di giustizia, il requisito del «ravvedimento», previsto dall’art. 16nonies , comma 3, D.L. n. 8 del 1991, conv. dalla legge n. 82 del 1991, non può essere oggetto di una sorta di presunzione, formulabile sulla sola base dell’avvenuta collaborazione e dell’assenza di persistenti collegamenti del condannato con la criminalità organizzata, ma richiede la presenza di ulteriori, specifici elementi, di qualsivoglia natura, che valgano a dimostrarne in positivo, sia pure in termini di mera, ragionevole probabilità, l’effettiva sussistenza (Sez. 1, n. 43256 del 22/5/2018, Sarno, Rv. 274517 -01).
Anche per i collaboratori, infatti, vale il criterio di gradualità nella concessione dei benefici penitenziari, che, pur non costituendo una regola assoluta e codificata, è suggerito dall’esperienza e risponde ad un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione cui è ispirato il significato stesso del trattamento penitenziario; e ciò vale particolarmente quando i reati commessi siano sintomatici di una non irrilevante capacità a delinquere, manifestata in
contesti delinquenziali di elevato livello. Il giudice di sorveglianza conserva la sua autonomia valutativa, del cui esercizio deve dare conto con motivazione adeguata.
Si è puntualizzato, in particolare, che la facoltà di ammettere alle misure alternative, anche in deroga alle disposizioni vigenti, soggetti sottoposti a programma di protezione a norma della legge n. 82 del 1991 non si estende ai presupposti relativi alla loro emenda e alla finalità di conseguire la loro stabile rieducazione, previsti dalle norme dell’ordinamento penitenziario, né si sottrae al criterio della valutazione discrezionale da parte del giudice di sorveglianza, che deve riguardare, al di là dell’indefettibile accertamento delle condizioni soggettive di ammissibilità, l’opportunità del trattamento alternativo e concernere le premesse meritorie e l’attingibilità concreta del beneficio, in relazione alla personalità del condannato (Sez. 1, n. 48891 del 30/10/2013, Marino, Rv. 257671 -01).
Il ravvedimento, previsto dall’art. 16nonies della legge n. 82 del 1991 postula una valutazione globale della condotta del soggetto, in modo da accertare se l’azione rieducativa, complessivamente svolta (realizzata anche in virtù della corretta gestione di tutti i benefici penitenziari già fruiti) abbia prodotto il risultato del compiuto ravvedimento del reo.
Nel caso di specie, la motivazione dell’ordinanza impugnata rispetta questi canoni, perché -ispirandosi ad una prudenza giustificata dal passato criminale del condannato (associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio aggravato, tentato omicidio) -riflette la necessità di saggiare, mediante un opportuno supplemento di osservazione, l’effettività del ravvedimento, nel grado proporzionato ad una misura alternativa, dopo aver individuato precisi ambiti di ulteriore approfondimento del processo di revisione critica.
In particolare, il Tribunale di Sorveglianza di Roma, pur avendo dato atto dell’importanza del contributo collaborativo dell’odierno ricorrente, rimarca, al tempo stesso, la necessità di verifica re l’eventuale consolidamento della scelta collaborativa, in un’ottica di gradualità dei benefici penitenziari, che richiede di riscontrare preventivamente l’esito delle esperienze premiali, non ancora intraprese.
In questo modo, ha fatto corretta applicazione dei principi affermati in questa materia dalla giurisprudenza di legittimità, non mancando di illustrare i positivi dati fattuali ricavabili dagli atti e chiarendo con motivazione congrua le ragioni per le quali, però, non poteva ritenersi sussistente il requisito del ravvedimento.
Si è trattato di una valutazione immune da vizi logico-giuridici e coerente rispetto al sistema delle misure alternative, che il ricorso, snodatosi essenzialmente attraverso una rilettura alternativa dei dati presi in considerazione
dal Tribunale di Sorveglianza per sostenere in dissenso che COGNOME abbia invece maturato una revisione critica della propria storia deviante, non riesce a inficiare.
Ne consegue, in definitiva, il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente ex art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20.12.2024