Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46796 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46796 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BARI il 24/08/1994
avverso l’ordinanza del 03/07/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, dott.ssa NOME COGNOME la quale ha chiesto il rigetto del ricorso; A
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 luglio 2024 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l’istanza, proposta da NOME COGNOME intesa ad essere ammesso alla detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 16-nonies d.l. 15 gennaio 1991, n. 82, convertito nella legge 15 marzo 1991, n. 82.
In proposito, ha ritenuto che, pur al cospetto delle condizioni di ammissibilità della misura alternativa e dell’avvio, da parte del condannato, collaboratore di giustizia, di un positivo percorso di riabilitazione, l’accoglimento dell’istanza è precluso dal vissuto criminale di Lopez, dalla necessità di rispettare il principio di gradualità, avendo egli da poco tempo iniziato a fruire dei permessi-premio, nonché dal prevedibile innalzamento del fine-pena (conseguente ad una nuova condanna, all’esito del giudizio di primo grado, alla pena di un anno di reclusione), fattori che concorrono a rendere prematura una prognosi di effettiva conformazione del suo futuro stile di vita alle regole di civil convivenza, imprescindibile presupposto per l’ammissione alla detenzione domiciliare.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato a due motivi, che possono essere enunciati congiuntamente e, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att., nei limiti strettamente necessari per la motivazione, con i quali deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere il Tribunale di sorveglianza disatteso l’istanza senza tener conto delle informazioni, assolutamente positive, acquisite in ordine al suo comportamento carcerario nel periodo intercorso a far data dall’avvio del percorso collaborativo, nonché dell’intervenuta recisione di ogni legame con ambienti criminali e della sussistenza della condizione, normativamente prevista, dell’intervenuto ravvedimento.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, mentre COGNOME con memoria del 17 ottobre 2024, ha insistito per il suo accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
L’art. 16-nonies d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito nella legge 15 marzo 1991, n. 64, prevede, al comma 1, che «Nei confronti delle persone condannate per un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione
dell’ordinamento costituzionale o per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, che abbiano prestato, anche dopo la condanna, taluna delle condotte di collaborazione che consentono la concessione delle circostanze attenuanti previste dal codice penale o da disposizioni speciali, la liberazione condizionale, la concessione dei permessi premio e l’ammissione alla misura della detenzione domiciliare prevista dall’articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, sono disposte su proposta ovvero sentito il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo».
I successivi commi 2 e 3 dispongono, poi, tra l’altro, che «Nella proposta o nel parere il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo fornisce ogni utile informazione sulle caratteristiche della collaborazione prestata» e che «La proposta o il parere indicati nel comma 2 contengono inoltre la valutazione della condotta e della pericolosità sociale del condannato e precisano in specie se questi si è mai rifiutato di sottoporsi a interrogatorio o a esame o ad altro atto di indagine nel corso dei procedimenti penali in cui ha prestato la sua collaborazione. Precisano inoltre gli altri elementi rilevanti ai fi dell’accertamento del ravvedimento anche con riferimento alla attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva».
Ai sensi del comma 4, infine, «Acquisiti la proposta o il parere indicati nei commi 2 e 3, il tribunale o il magistrato di sorveglianza, se ritiene che sussistano i presupposti di cui al comma 1, avuto riguardo all’importanza della collaborazione e sempre che sussista il ravvedimento e non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva, adotta il provvedimento indicato nel comma 1 anche in deroga alle vigenti disposizioni, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cui all’artico 176 del codice penale e agli articoli 30-ter e 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. Il provvedimento è specificamente motivato nei casi in cui le autorità indicate nel comma 2 del presente articolo hanno espresso parere sfavorevole».
La giurisprudenza di legittimità, chiamata a circoscrivere l’ambito della verifica demandata alla magistratura di sorveglianza in vista dell’ammissione dei collaboratori di giustizia ai benefici sopra indicati, ha costantemente ritenuto che l’istituto disciplinato dall’art. 16-nonies non è applicabile in modo indiscriminatamente generalizzato, giacché l’esito positivo della relativa istanza presuppone l’espressione di un giudizio favorevole in ordine al ravvedimento del soggetto che si apre alla collaborazione con l’autorità giudiziaria, fondato sulla condotta complessiva del collaboratore di giustizia e sul convincimento che l’azione rieducativa svolta abbia avuto come risultato il compiuto ravvedimento,
all’esito di una revisione critica della vita anteatta (Sez. 1, n. 988 dell’01/02/2007, COGNOME, Rv. 236548; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 43207 del 16/10/2012, COGNOME, Rv. 253833; Sez. :L, n. 3422 del 14/01/2009, Diana, Rv. 242559).
Del resto, è stato ulteriormente notato, il requisito del «ravvedimento», previsto dall’art. 16-nonies, comma 3, non può essere oggetto di una sorta di presunzione, formulabile sulla sola base dell’avvenuta collaborazione e dell’assenza di persistenti collegamenti del condannato con la criminalità organizzata, ma richiede la presenza di distinti, specifici elementi, di qualsivoglia natura, che valgano a dimostrarne in positivo, sia pure in termini di mera, ragionevole probabilità, l’effettiva sussistenza (Sez. 1, n. 43256 del 22/05/2018, Sarno, Rv. 274517; Sez. 1, n. 48891 del 30/10/2013, Marino, Rv. 257671; Sez. 1, n. 1115 del 27/10/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 245945).
In questo ambito valutativo, tra gli elementi che possono essere utilizzati ai fini della formulazione di un giudizio prognostico favorevole al collaboratore di giustizia, devono prendersi in esame «i rapporti con i familiari, con il personale giudiziario, nonché lo svolgimento di attività lavorativa o di studio onde verificare se c’è stata da parte del reo una revisione critica della sua vita anteatta e una reale ispirazione al suo riscatto morale» (Sez. 1, n. 9887 dell’01/02/2007, Pepe, cit.).
Ne discende che, ai fini dell’accertamento del presupposto del ravvedimento, si deve avere riguardo non solo agli esiti del trattamento penitenziario, ma anche alla complessiva condotta del soggetto, affinché entrambi questi indici possano fondare, sulla base di obiettivi parametri di riferimento, un giudizio prognostico sicuro riguardo al venir meno della pericolosità sociale dello stesso e alla effettiva capacità del suo ordinato reinserimento nel tessuto sociale (tra le altre, Sez. 1, n. 34946 del 17/07/2012, COGNOME, Rv. 253183; Sez. 1, n. 9001 del 04/02/2009, COGNOME, Rv. 243419; Sez. 1, n. 18022 del 24/04/2007, COGNOME, Rv. 237365).
Ritiene il Collegio che, nel caso in esame, il Tribunale di sorveglianza in esame non si sia conformato ai richiamati e condivisi canoni ermeneutici.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, invero, trova significativo momento di contraddizione, sul piano logico, laddove, dopo avere riconosciuto che COGNOME – oltre ad offrire con lealtà, sul piano processuale, un apporto senz’altro rilevante ed a tenere, in costanza di restrizione carceraria, un contegno responsabile, caratterizzato dallo svolgimento di attività lavorativa e dall’impegno nello studio e nelle altre iniziative promosse in istituto – ha trovato solido appoggio nella famiglia di origine, e segnatamente nella madre, e nella
compagna, pure entrata nel programma di protezione, assegna preponderante rilevanza, in chave ostativa, a diverse e concorrenti esigenze preventive.
Il Tribunale di sorveglianza, invero, non ha mancato di segnalare come gli operatori penitenziari abbiano riconosciuto a COGNOME «una buona progettualità, la consapevolezza degli “errori commessi” e il desiderio di riparazione orientato alla costruzione e al mantenimento dei legami affettivi», e come egli, secondo quanto confermato anche dalla DDA di Bari, abbia reciso ogni legame con il contesto criminale di provenienza e si sia reso autore di un vero e proprio «pentimento civile» e di un, ormai completo, ravvedimento.
Ha, nondimeno, orientato la decisione sulla base di circostanze che ha illogicamente sopravvalutato e, talora, travisato.
Nel richiamare, correttamente, il principio di gradualità del trattamento, ha tuttavia omesso di considerare che COGNOME ha intrapreso il percorso collaborativo – che ha, da allora, costantemente seguito, per quanto consta, senza remore o tentennamenti di sorta – dall’autunno del 2021, ovvero per un lasso temporale che, all’epoca di adozione dell’ordinanza impugnata, superava i due anni e mezzo e che appare congruo sia in termini assoluti sia, soprattutto, se parametrato, da un lato, al quantum di pena già scontata e da scontare, e, dall’altro, allo specifico oggetto della richiesta respinta, finalizzata all’ammissione ad un regime detentivo che non garantisce al condannato incontrollati spazi di libertà e che appare, in linea di principio, idoneo al contenimento della sua residua carica di pericolosità sociale.
Manifestamente illogica si rivela, ugualmente, la valutazione che il Tribunale di sorveglianza riserva – nell’ottica, che si è detto essere, in linea di principio, ineccepibile, della progressività trattamentale – alla valenza dei permessipremio dei quali COGNOME ha già fruito, con esiti positivi e senza che siano emerse controindicazioni, in numero che, per quanto si legge nel provvedimento impugnato (stando al quale il collaboratore avrebbe goduto, nell’arco di nove mesi, di permessi ad intervalli di 45 giorni, e quindi, deve inferirsi, in numero complessivo di sei), appare tutt’altro che esiguo.
Se a ciò si aggiunge, per un verso, che COGNOME, pur gravato da precedenti per reati di notevole allarme sociale, specie in materia di armi, che ne segnalano la contiguità ad ambienti di criminalità organizzata, non risulta coinvolto in procedimenti per reati associativi o per gravi delitti di sangue, e, dall’altro, che l’unica residua pendenza per evasione, commessa in regime di detenzione domiciliare, risale ad epoca precedente alla sua scelta collaborativa, appare confermato il severo deficit razionale di una motivazione che, nel momento della finale valutazione complessiva degli elementi disponibili, riduce al rango di «particolare situazione emotiva» ciò che gli operatori penitenziari e l’autorità
inquirente reputano, invece, spia della definitiva e matura opzione per uno stile di vita orientato ai valori basilari della convivenza civile, cioè per un sincero e completo ravvedimento.
Le superiori considerazioni impongono, in conclusione, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma per un nuovo giudizio che, libero nell’esito, sia emendato dai vizi riscontrati.
P.Q.M.
annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.
Così deciso il 05/11/2024.