Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 1554 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 1554 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TRANI il 05/07/1984
avverso l’ordinanza del 23/02/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG, COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, emessa il 23 febbraio 2023, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME collaboratore di giustizia, detenuto nella Casa circondariale di Aosta con fine pena attualmente fissato al 5 ottobre 2035, la detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 16-nonies d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito dalla legge 15 marzo 1991, n. 82.
Il Tribunale di sorveglianza ha richiamato il precedente provvedimento di rigetto emesso in data 11/11/2019 e ha considerato l’evoluzione fatta registrare dal detenuto nella progressione trattamentale, ma ha ritenuto che il percorso intrapreso da COGNOME sia pervenuto a un grado ancora inadeguato per accedere alla rilevante misura alternativa richiesta.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso il difensore di COGNOME chiedendone l’annullamento in forza di un unico motivo con cui denuncia la violazione dell’art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e succ. modd. (Ord. pen.) e dell’art. 16-nonies d.l. n. 8 del 1991 cit., nonché il corrispondente vizio della motivazione per contrasto con le risultanze documentali.
Ad avviso della difesa, è anzitutto mancata l’analisi in concreto della condotta globale serbata dal detenuto nel corso del trattamento finora effettuato, come chiaramente emergente dalla relazione di sintesi in atti.
Si considera, poi, illogica l’ipervalutazione di indici da reputarsi irrileva sotto il profilo di interesse in questo procedimento, con particolare riferimento alla gravità dei reati commessi, all’entità della pena e alle ulteriori pendenze, laddove – si sottolinea – è indiscutibile che COGNOME abbia scontato dieci anni di pena detentiva: ragione per la quale anche eventuali ulteriori carichi sanzionatori non potrebbero ostaréraccesso alla misura richiesta.
A fronte di ciò il ricorrente segnala che è risultata, invece,, assodata la sicura proficuità processuale della sua collaborazione, la scelta inerente alla quale è da reputarsi risalente, siccome collocata nel 2015.
Il carattere comunque inadeguato della verifica compiuta dai giudici di sorveglianza si evince, secondo la difesa, anche dalla mancata consultazione del fascicolo personale del detenuto.
Si evidenziano, inoltre, alcune significative imprecisioni contenute nell’ordinanza impugnata. In particolare, si critica la svalutazione dei donativi agli enti benefici: in tal senso, si ribadisce che COGNOME non era stato affatto indifferente alle conseguenze determinate alle vittime dei reati, laddove le donazioni in favore dei suddetti enti, lungi dall’avere carattere strumentale,
costituiva un segnale concreto della sua revisione critica della vita anteatta e della sua volontà si riscatto. Per quanto di rilievo, la difesa ricorda anche che la vittima dell’estorsione a cui si è riferito il Tribunale per censurare la mancata attivazione del detenuto in suo favore era, a sua volta, un appartenente al tessuto criminale, che non aveva ritenuto nemmeno di costituirsi parte civile. Si contrasta pure l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata relativa alla carenza di presupposti alla base del permesso premio concesso dal magistrato di sorveglianza a Colangelo nel 2018, poiché il Tribunale, nel formularla, non ha tenuto conto che questi aveva conseguito in sede processuale il riconoscimento della circostanza attenuante ex art. 74, comma 7, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, mentre negli ultimi quattro anni numerosi erano stati i permessi premio da lui fruiti in modo regolare e proficuo.
Alla stregua di tali elementi l’affermazione della carenza di dimostrazione di sicuro ravvedimento è, per la difesa, da censurarsi anche perché essa tradisce il mancato confronto con i riscontri positivi del percorso intrapreso dal detenuto verso l’obiettiva della risocializzazione, certificati dall’équipe all’esito dell’osservazione di cui all’art. 80 Ord. pen., avendo, il Tribunale, preferito trincerarsi illogicamente dietro la necessità di salvaguardia del profilo retributivo.
Il Procuratore generale si è espresso nel senso del rigetto ricorso ; considerando incensurabile la valutazione effettuata dal Tribunale circa il grado prematuro del ravvedimento conseguito dal detenuto.
La difesa di COGNOME ha prodotto una memoria di replica con cui ha ripreso e nuovamente illustrato i temi svolti con il ricorso in senso contrastante con le conclusioni rassegnate dal Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte ritiene che il ricorso sia fondato per le ragioni che seguono e vada, quindi, accolto.
Giova premettere. che il ragionamento esposto nell’ordinanza, che ha condotto il Tribunale specializzato a disattendere nuovamente l’istanza avente ad oggetto l’indicata misura alternativa (la detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 16-nonies cit.), è imperniato sulla persistente inadeguatezza del percorso risocializzante intrapreso da COGNOME; in esso è, fra l’altro, evidenziata l’insufficienza, sotto il profilo dell’impegno risarcitorio, delle elargizioni fatt medesimo in favore di enti benefici, il cui valore non era risultato supportato
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dalla sgrammaticata nota del 6.02.2023 pervenuta dal carcere di Aosta; ciò, a fronte della perdurante carenza di attenzione del reo per i pregiudizi patiti dalle vittime dei suoi reati.
I giudici di sorveglianza hanno evidenziato, altresì, che lo stesso parere della Procura Nazionale Antimafia, oltre a indicare in modo erroneo il reato che aveva reso possibile l’apprezzamento della collaborazione, non aveva ponderato appieno il ruolo di finanziatore a suo tempo giocato da COGNOME nell’associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti.
In tale quadro, il fine pena ancora lontano e i rilevati carichi pendenti sono stati valutati dal Tribunale di sorveglianza come dati idonei a corroborare la conclusione che lo stadio evolutivo raggiunto dal condannato è ancora prematuro rispetto all’accertamento del suo ravvedimento, necessario per il conseguimento della detenzione domiciliare.
3. Posto ciò, si osserva, in via generale, che l’art. 16-nonies, comma 1, d.l. n. 8 del 1991 stabilisce che nei confronti delle persone condannate per un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale o per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., che abbiano prestato, anche dopo la condanna, taluna delle condotte di collaborazione che consentono la concessione delle circostanze attenuanti previste dal codice penale o da disposizioni speciali, la liberazione condizionale, la concessione dei permessi premio e l’ammissione alla misura della detenzione domiciliare prevista dall’articolo 47-ter Ord. pen., sono disposte su proposta ovvero sentiti i procuratori generali presso le Corti di appello interessati a norma dell’art. 11 dello stesso d.l. o il procuratore nazionale antimafia.
La norma indicata, poi, qualifica il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione, non solo come documento che su richiesta dei giudici di sorveglianza deve essere allegato alla proposta o al parere formulati dal procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (comma 2), ma soprattutto come elemento documentale la cui formazione è necessaria per l’ottenimento dei benefici penitenziari ivi considerati (comma 4: “Acquisiti la proposta o il parere indicati nei commi 2 e 3, il tribunale o il magistrato di sorveglianza, se ritien che sussistano i presupposti di cui al comma 1, avuto riguardo all’importanza · della collaborazione e sempre che sussista il ravvedimento e non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva, adotta il provvedimento indicato nel comma 1 anche in deroga alle vigenti disposizioni, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cui all’articolo 176 del codice penale e agli articoli 30-ter e 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. Il provvedimento è
specificamente motivato nei casi in cui le autorità indicate nel comma 2 del presente articolo hanno espresso parere sfavorevole. I provvedimenti che derogano ai limiti di pena possono essere adottati soltanto se, entro il termine prescritto dall’articolo 16-quater è stato redatto il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione previsto dal medesimo articolo 16-quater e, salvo che non si tratti di permesso premio, soltanto dopo la espiazione di almeno un quarto della pena inflitta ovvero, se si tratta di condannato all’ergastolo, dopo l’espiazione di almeno dieci anni di pena”).
In questa prospettiva, come si è ripetutamente precisato, i presupposti per la concessione dei benefici penitenziari in deroga, alla luce del contenuto derart. 16-nonies cit., sono: a) che una persona sia stata condannata per un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale o per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.; b) che vengano acquisiti la proposta o il parere dei procuratori generali presso le Corti di appello interessati a norma dell’art. 11 della citata legge o del procuratore nazionale antimafia; c) che il condannato abbia prestato, anche dopo la condanna, una collaborazione importante; d) che sussista il ravvedimento (nei sensi che si preciseranno) e non vi siano elementi tali da far ritenere l’esistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva; e) che la persona condannata abbia redatto entro il termine prescritto dall’art. 1.6-quater il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione; f) che sia stato espiato almeno un quarto della pena inflitta o, qualora vi sia stata condanna all’ergastolo, che siano stati espiati almeno dieci anni di pena (per cigni altro riferimento, fra le recent Sez. 1, n. 7452 del 09/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 10677 del 10/02/2015, COGNOME, non mass.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si affianca alla situazione disciplinata nei sensi indicati quella, prevista da comma 5 dell’art. 16-nonies cit., afferente al peculiare caso di chi si determini alla collaborazione dopo la condanna con riguardo a fatti diversi da quelli per i quali è intervenuta la condanna stessa, caso nel quale i benefici di cui al comma 1 possono essere concessi in deroga alle disposizioni vigenti solo dopo l’emissione della sentenza di primo grado concernente i fatti oggetto della collaborazione che ne confermi i requisiti di cui all’art. 9, comma 3, stesso d.l. (fattispecie in relazione a cui si è affermato che i benefici penitenziari previst dall’art. 16-nonies cit. sono concedibili anche per una collaborazione prestata in relazione a fatti cui il dichiarante sia estraneo, a condizione che sia stata emessa sentenza di primo grado concernente i fatti oggetto di collaborazione e che questa abbia i caratteri di intrinseca attendibilità, di novità e di completezza, o per altri elementi appaia di notevole importanza ai sensi dell’art. 9, comma 3, della legge n. 82 del 1991: Sez. 1, n. 13952 del 04/02/2015, Consoli, Rv.
263078 – 01).
In ogni caso, va puntualizzato che la facoltà di ammettere alle misure alternative soggetti sottoposti a programma di protezione a norma della legge n. 82 del 1991, con le previste deroghe alle disposizioni ordinarie, non estende le stesse ai presupposti relativi all’emenda di tali soggetti e alla finalità conseguire la loro risocializzazione, sicché tali benefici – pur potendo essere concessi a detti soggetti anche in deroga ai limiti di pena indicati nell’art. 47-ter Ord. pen. – postulano che comunque si tratti di persone per le quali si riscontrino le premesse meritorie e l’applicabilità in concreto del beneficio, in relazione alla personalità del condannato, onde verificare i presupposti relativi all’emenda del soggetto e alle finalità di conseguirne la stabile rieducazione (per tutte, Sez. 1, n. 10587 del 20/12/2022, dep. 2023, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 665 del 28/01/2000, COGNOME, Rv. 215495 – 01; Sez. 1, n. 5523 del 24/10/1996, COGNOME, Rv. 206185 – 01).
Sempre in linea generale, appare utile aggiungere, con particolare riguardo alla verifica relativa al requisito del ravvedimento, che, ai fini della concessione dei benefici penitenziari in favore dei collaboratori di giustizia, tale requisito no può essere oggetto di una sorta di presunzione, formulabile sulla sola base dell’avvenuta collaborazione e dell’assenza di persistenti collegamenti del condannato con la criminalità organizzata, ma richiede la presenza di ulteriori e specifici elementi, di qualsiasi natura, tali da dimostrarne in positivo, sia pure i termini di mera, ragionevole probabilità, l’effettiva sussistenza (Sez. 1, n. 43256 del 22/05/2018, Sarno, Rv. 274517 – 01).
A fronte della medesima nozione di ravvedimento, indicata dall’art. 176 cod. pen., con riferimento alla disciplina della liberazione condizionale, e dall’art. 16nonies cit., con riferimento alla disciplina dei benefici penitenziari in favore de collaboratori di giustizia, aventi titolo alla stregua della ridetta disposizione, n si dubita che il concetto di ravvedimento sia lo stesso, non essendovi ragione per opinare nel senso che le due norme abbiano inteso attribuire a un termine così centrale nella verifica dell’emenda un significato differente.
Si è, tuttavia, condivisibilmente precisato (v., in particolare, Sez. 1, n. 24996 del 31.05.2022, COGNOME, non mass.) che diverso si palesa il grado di certezza dell’intervenuto ravvedimento del detenuto richiesto dai distinti, citati indici normativi: con riferimento al complesso dei benefici penitenziari, rispetto ai quali la sussistenza del ravvedimento è una condizione, ciò che si richiede è la presenza di specifici elementi, di qualsivoglia natura, ulteriori rispetto all prestazione della collaborazione, che valgano a dimostrarne in positivo, ma in termini di mera, ragionevole probabilità, l’effettiva sussistenza (v. anche Sez. 1, n. 48891 del 30/10/2013, Marino Rv. 257671 – 01); viceversa, per la
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concessione della liberazione condizionale, occorre il risc:ontro del “sicuro” ravvedimento, in termini di certezza: quindi, il giudizio prognostico di ravvedimento deve essere formulato sulla base di un completato percorso trattamentale di rieducazione e recupero idoneo a sostenere la previsione, in termini di certezza, di una conformazione al quadro ordinarnentale e sociale a suo tempo violato, in quanto, come si è già evidenziato, la facoltà di ammettere al beneficio detti soggetti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, riguarda solo le condizioni di ammissibilità, ma non si estende al requisito dell’emenda degli stessi e alle finalità di conseguire la loro stabile risocializzazione (Sez. 1, 17831 del 20/04/2021, Celona, Rv. 281:360 – 01; Sez. 1, n. 3312 del 14/01/2020, COGNOME, Rv. 277886 -01).
Assodato quanto precede, deve rilevarsi che alcune delle proposizioni sviluppate nel provvedimento impugnato non appaiono in linea con i principi citati, e con gli altri principi regolatori dell’istituto e, per la loro intrinseca p incrinano decisivamente la motivazione resa.
4.1. Si muove, innanzi tutto, dal punto di diritto richiamato da ultimo che non riscontra, nella motivazione dell’ordinanza in disamina, un’applicazione adeguata, dal momento che il Tribunale di sorveglianza si profila aver compiuto le sue valutazioni al fine di pervenire alla dimostrazione del sicuro ravvedimento del condannato, laddove ai fini della concessione della misura, ossia la detenzione domiciliare ex art. 16-nonies cit., la prospettiva da privilegiare è quella della verifica del raggiungimento della ragionevole probabilità del ravvedimento da parte del collaboratore detenuto.
4.2. Inoltre, non si profila conforme a logica l’avere desunto la strumentalità dell’iniziativa del detenuto di procedere a elargizioni di somme di danaro a enti benefici per coonestare l’accresciuta revisione critica dal carattere incomprensibile e sgrammaticato della nota del 6.02.2023 inviata dal carcere di Aosta: se la comunicazione inviata dagli organi penitenziari non era completamente intelligibile, ne andava sollecitata la chiarificazione e l’integrazione, ma non avrebbe dovuto desumersi dalla sua forma la scarsa rilevanza del corrispondente contenuto informativo.
4.3. Con riferimento alla valutazione dell’avvio e del grado di evoluzione del percorso di revisione critica, la riduzione della manifestazione del relativo iter al solo aspetto delle elargizioni pecuniarie appare l’esito di una disamina incompleta, come si desume dall’esame del testo della relazione di sintesi prodotta dal ricorrente, essendo la sua complessiva articolazione tale da far ritenere conforme a logica che il Tribunale di sorveglianza considerasse – per poi valutarle secondo la sua congrua discrezionalità – le più articolate informazioni
fornite dall’Ufficio Educatori sul percorso detentivo di COGNOME, indicato come regolare e continuativo rispetto alla revisione critica e al ravvedimento, risultando anche segnalato che questi aveva avuto il tempo di riflettere sulle azioni commesse e anche sulle conseguenze seguite alle stesse, con l’avvenuta emersione del suo senso di colpa nei confronti delle vittime e con il susseguente processo di rielaborazione, anche attraverso le scuse avanzate nei loro confronti.
La doglianza della difesa sull’argomento incontra, dunque, l’effettiva fragilità del discorso giustificativo esposto dai giudici di sorveglianza.
Lo stesso deve dirsi con riferimento all’analisi dei riferimenti concreti offert dal Procuratore nazionale antimafia, il testo del cui parere pure è stato prodotto per l’autosufficienza. In esso risulta effettivamente dato atto dell’elevato livell qualitativo della collaborazione apportata da COGNOME ed è sottolineata la sua positiva adesione agli impegni previsti dal programma di 1:rattamento, in un quadro di emersa autocritica rispetto ai reati commessi, per cui l’abito comportamentale del detenuto è stato segnalato come contrassegnato da manifestazioni sintomatiche del suo “pentimento civile” fino a dare conto, sul piano psicologico, dell’intervenuto completamento del percorso di ravvedimento.
Deve aggiungersi, in ordine al tema del mancato interessamento inerente alla sfera delle vittime, che il risarcimento non costituisce presupposto della concessione delle misure alternative al collaboratore, fermo restando, però, che il suo atteggiamento rispetto alla sfera delle vittime può costituire un indicatore di sicuro interesse (Sez. 1, n. 19854 del 22/06/2020, Licata, Rv. 279321 – 01): in sostanza, esso, unitamente agli altri indici di valutazione, quali i rapporti con i familiari, il personale giudiziario e gli altri soggetti qualificati nonché il prof svolgimento di attività di lavoro o di studio, può concorrere ai fini del giudizio su ravvedimento del condannato, inteso nel senso già precisato.
Tuttavia, anche del globale modo di porsi del detenuto rispetto all’attività risarcitoria e riparativa aveva tenuto conto il gruppo di osservazione che aveva formulato parere favorevole alla misura alternativa, così come favorevole era stato il parere della Direzione nazionale antimafia, essendosi dato atto, come si è visto, dell’attività volta da COGNOME anche al riconoscimento delle proprie responsabilità e alla maturazione di atteggiamenti di revisione nei confronti delle vittime dei propri reati; indicazioni che potevano – certo – essere reputate sufficienti oppure no rispetto all’obiettivo dedotto dall’istante, ma che avrebbero dovuto comunque formare oggetto di ponderazione comparativa.
4.4. Si deve ancora osservare che, una volta che risulti e si confermi rispettato il quantum di pena minimo necessario per accedere ai benefici di cui all’art. 16-nonies cit., sia la considerazione della pena ancora da scontare (Sez. 1, n. 552 del 09/12/2021, dep. 2022, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 38368 del
10/09/2021, COGNOME non mass.), sia quella delle restanti pendenze processuali (Sez. 1, n. 24996 del 31.05.2022, COGNOME, cit.) integrano elementi valutativi che non possono assurgere direttamente a condizioni ostative della concessione della misura, in quanto si tratta di fattori che non sono previsti come tali dall citata legge.
Assodato quanto precede, si deve allora ritenere emerso, per quanto di ragione, il vizio motivazionale denunciato dal ricorrente, dal momento che il Tribunale di sorveglianza, pur avendo ricevuto valutazioni sostanzialmente positive per la posizione di COGNOME per come esse sono state formulate dal gruppo di osservazione, ed avendo preso atto del parere espresso in senso favorevole all’ammissione del condannato alla misura alternativa della detenzione domiciliare dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, ha ascritto valenza ostativa all’attuale concessione della misura a una serie di elementi, alcuni dei quali, partitamente citati in precedenza, sono stati, però, trattati nel modo inadeguato o contraddittorio pure evidenziato, per poi approdare all’enunciazione del mancato riscontro del requisito del ravvedimento; requisito ponderato, a sua volta, secondo lo standard improprio pure precisato.
I giudici di sorveglianza, quindi, senza svolgere le precisazioni necessarie per individuare in concreto gli elementi di residua pericolosità del condannato, si sono attestati su di un esito di segno negativo non correlabile in modo piano al ricordato insieme di dati, una volta che alcuni di questi elementi non sono stati dimostrati come decisivamente rilevanti, cori la conseguente necessità del loro complessivo riesame depurato dalle criticità rilevate.
Nella complessiva opera di ponderaizione, avrebbe dovuto, inoltre, considerarsi – e spiegare in modo più specifico la ragione della sua portata ancora subvalente – l’acquisita circostanza che COGNOME, da tempo non minimo, ha fruito di svariati permessi premio, mantenendo una regolare condotta, valorizzata dagli operatori sociali quale riscontro al percorso di revisione critica e di progressivo ravvedimento risultante dall’osservazione intramuraria, condotta ex art. 80 Ord. pen.
L’esito censurato andava, infine, posto in più approfondito rapporto con il livello del contributo collaborativo fornito dal ricorrente, quale che esso sia stato, laddove “l’importanza della collaborazione” costituisce (ex art. 16-nonies, comma 4, cit.) uno dei criteri che la norma oggetto di applicazione esplicitamente indica quale parametro di valutazione: è, d’altronde, conseguente ritenere che lo spessore e gli effetti della scelta collaborativa – ove rinvengano nel percorso trattamentale intrapreso dal condannato la seria conferma della stessa come unica possibilità sulla quale fondare una progettualità futura di vita endata
dalla devianza – integrino un concreto fattore da considerare nella complessiva ponderazione demandata ai giudici di sorveglianza per la valutazione di meritevolezza in merito alla chiesta misura alternativa.
Anche per tale ambito, la notazione inerente alla mancata dimostrazione della collaborazione del condannato con riferimento all’individuazione delle fonti di finanziamento a suo tempo attivate da COGNOME nella promozione dell’attività illecita nel settore degli stupefacenti andava posta in relazione specifica con le note, favorevoli al detenuto, scaturenti dalle fonti informative sopra enucleate, al fine della congrua, susseguente valutazione da parte del Tribunale specializzato, quale che fosse stato, poi, il conclusivo esito.
Pertanto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, in dipendenza delle rilevate carenze motivazionali nella verifica delle condizioni legittimanti la detenzione domiciliare regolata dall’art. 16-nonies cit., con rinvio al medesimo Tribunale di sorveglianza affinché proceda al nuovo giudizio, con piena libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi di diritto enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.
Così deciso il 12 ottobre 2023
Il Consiglj,ere estensore
Il Presidente