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Rappresentanza legale ente: nomina difensore e conflitto

La Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di due società contro un sequestro, poiché i difensori erano stati nominati dagli amministratori, a loro volta indagati per i reati presupposto. Si configura un insanabile conflitto di interessi che viola la corretta rappresentanza legale ente prevista dal D.Lgs. 231/2001.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rappresentanza legale ente: Chi difende la società se l’amministratore è indagato?

La questione della rappresentanza legale ente in un procedimento penale assume contorni complessi quando l’amministratore della società è anche indagato per il reato presupposto. In questi casi, sorge un inevitabile conflitto di interessi: l’amministratore può nominare un avvocato per difendere la società, i cui interessi potrebbero essere opposti ai suoi? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13003 del 2024, torna su questo tema cruciale, riaffermando un principio fondamentale per la tutela del diritto di difesa dell’ente.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un decreto di sequestro emesso dal Tribunale di Trani. Il provvedimento colpiva sia il patrimonio di un amministratore, indagato per reati contro la pubblica amministrazione, sia i beni e le quote di due società a lui riconducibili. In particolare, il sequestro era funzionale alla confisca del profitto del reato e, in via impeditiva, mirava a bloccare le aziende e le relative quote societarie.

Contro questo provvedimento, venivano proposti diversi ricorsi per il riesame: alcuni dagli amministratori/soci in proprio, per le quote di loro proprietà, altri dalle società stesse, rappresentate da avvocati nominati dai medesimi amministratori indagati. Il Tribunale del riesame dichiarava inammissibili le istanze presentate nell’interesse delle società, una decisione che veniva poi impugnata davanti alla Corte di Cassazione.

La questione della corretta rappresentanza legale ente

Il fulcro della controversia risiede nell’articolo 39 del D.Lgs. 231/2001. Questa norma stabilisce che l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, “salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo”.

La difesa delle società sosteneva che la declaratoria di inammissibilità fosse errata, lamentando una violazione del diritto di difesa. Secondo i ricorrenti, l’impossibilità per gli amministratori indagati di nominare un difensore, unita alla mancata nomina di un difensore d’ufficio, aveva di fatto privato le società di qualsiasi tutela legale. Tuttavia, la Suprema Corte ha seguito un ragionamento differente, basato su consolidati principi giurisprudenziali.

L’incompatibilità assoluta e il conflitto di interessi

La Cassazione ha chiarito che la situazione di incompatibilità descritta dall’art. 39 è assoluta e insanabile. Quando il legale rappresentante è indagato per il reato presupposto, si presume iuris et de iure (cioè senza possibilità di prova contraria) un conflitto di interessi. L’interesse della persona fisica a difendersi, magari addossando ogni responsabilità all’organizzazione aziendale, potrebbe essere diametralmente opposto a quello della società, che potrebbe invece avere interesse a dimostrare la propria estraneità, provando che l’amministratore ha agito eludendo i modelli organizzativi.

Questo divieto di rappresentanza è posto a garanzia del diritto di difesa del soggetto collettivo. Permettere all’amministratore indagato di scegliere il difensore dell’ente significherebbe compromettere alla radice l’autonomia e l’efficacia della difesa societaria.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha rigettato i ricorsi delle società, dichiarandoli inammissibili. Richiamando una fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 33041/2015, Gabrielloni), i giudici hanno ribadito che il legale rappresentante indagato non può in alcun modo provvedere alla nomina del difensore dell’ente. Di conseguenza, un ricorso presentato da un avvocato nominato in violazione di tale divieto è inammissibile.

La Corte ha specificato che spetta all’ente stesso, attraverso i propri modelli organizzativi, prevedere meccanismi per ovviare a tali situazioni di conflitto. Ad esempio, lo statuto potrebbe prevedere la nomina di un soggetto delegato o di un procuratore speciale per gestire la difesa in caso di coinvolgimento del vertice aziendale.

Per quanto riguarda i ricorsi presentati dai soci in proprio per la restituzione delle quote sociali, la Cassazione li ha dichiarati parimenti inammissibili. Ha infatti ricordato che il singolo socio non è legittimato a impugnare un sequestro su beni di proprietà della società, poiché non vanta un diritto diretto e immediato alla restituzione, ma solo un interesse mediato legato al valore della sua partecipazione.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida un principio di capitale importanza per la governance societaria e la responsabilità da reato degli enti. La rappresentanza legale ente non può essere esercitata da chi si trova in una posizione di conflitto di interessi. Le società devono dotarsi di strumenti statutari e organizzativi idonei a garantire un’effettiva e autonoma difesa nel caso in cui i loro amministratori siano coinvolti in procedimenti penali. Affidarsi alla nomina di un difensore da parte dell’amministratore indagato non solo è contrario alla legge, ma espone l’impugnazione a una sicura declaratoria di inammissibilità, privando di fatto l’ente di tutela giurisdizionale.

Un amministratore indagato per un reato presupposto può nominare l’avvocato difensore per la società nello stesso procedimento?
No. La Corte di Cassazione, in linea con l’art. 39 del D.Lgs. 231/2001, stabilisce che l’amministratore indagato si trova in una situazione di incompatibilità assoluta e non può nominare il difensore per l’ente.

Perché il conflitto di interessi tra amministratore indagato e società è considerato insanabile?
Perché la legge presume, senza ammettere prova contraria, che gli interessi processuali dei due soggetti possano divergere. L’amministratore potrebbe cercare di difendersi scaricando la responsabilità sull’organizzazione della società, mentre la società potrebbe avere interesse a dimostrare il contrario per escludere la propria responsabilità.

Il singolo socio può impugnare il sequestro delle quote societarie di sua proprietà?
No. Secondo la sentenza, il singolo socio non è legittimato a impugnare provvedimenti di sequestro preventivo su beni di proprietà della società, come le quote sociali. Il suo interesse alla restituzione è considerato indiretto e non un diritto immediato che lo legittimi all’impugnazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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