Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18994 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18994 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato in Egitto il 23/07/1978
avverso la sentenza del 03/07/2024 della CORTE di APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso; letta la memoria di replica della difesa del ricorrente in data 04/02/2025.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 3 luglio 2024 la Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza emessa il 14 dicembre 2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, con la quale l’imputato NOME COGNOME era stato dichiarato colpevole del reato di rapina pluriaggravata commesso in data 15/03/2023 e condannato alle pene di legge.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato chiedendone l’annullamento e articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, articolato in più doglianze, deduceva inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., assumendo che nella specie la somma sottratta, pari a euro 70,00, era irrisoria e corrispondeva all’ammontare del credito che l’imputato vantava nei confronti della parte offesa COGNOME Mario, che la violenza esercitata non aveva provocato a quest’ultimo danni fisici gravi e che il comportamento dell’imputato non poteva dirsi abituale.
2.2. Deduceva, inoltre, erronea applicazione dell’art. 628, primo e terzo comma, n. 1) e 3-quinquies), cod. pen., lamentando l’omessa derubricazione del fatto nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e assumendo al riguardo che era carente la prova della sussistenza dell’ingiusto profitto, avendo inteso l’imputato chiedere e ottenere dalla parte offesa esclusivamente l’adempimento di un debito di quest’ultima nei suoi confronti; assumeva che la Corte d’Appello aveva valutato erroneamente gli elementi probatori rilevanti sul punto.
2.3. Deduceva, ancora, erronea applicazione dell’art. 533 cod. proc. pen., assumendo che nella specie gli elementi acquisiti non avevano la valenza di piena prova al di là di ogni ragionevole dubbio, così che l’imputato avrebbe dovuto essere assolto.
2.4. Deduceva, di poi, erronea applicazione dell’art. 628, primo comma, cod. pen., come risultante a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 86/2024, avendo la Corte d’Appello omesso ogni valutazione in merito alla configurabilità del fatto come di lieve entità.
2.5. Deduceva, ulteriormente, erronea applicazione dell’art. 62, n. 4), cod. pen. dolendosi del fatto che la Corte territoriale non aveva applicato la circostanza attenuante del danno patrimoniale di particolare tenuità, avuto riguardo all’esiguità della somma sottratta e al lieve grado di violenza esercitato in danno della vittima.
2.6. Deduceva, ancora, erronea applicazione dell’art. 62-bis cod. pen., dolendosi del fatto che la Corte d’Appello non aveva applicato le circostanze attenuanti generiche avendo ritenuto il comportamento processuale dell’imputato non improntato a collaborazione, laddove in realtà l’COGNOME aveva assistito a tutte le udienze e aveva osservato tutte le prescrizioni inerenti alle misure cautelari nel tempo applicate nei suoi confronti.
2.7. Deduceva, infine, erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen. dolendosi del fatto che il giudice del merito aveva applicato una pena detentiva, pari ad
anni cinque di reclusione, che doveva essere ritenuta eccessiva in rapporto al lieve disvalore del fatto.
Con il secondo motivo deduceva la mancata assunzione di una prova decisiva, e in particolare della testimonianza della persona offesa COGNOME NOME, necessaria al fine di far luce sul credito che l’imputato vantava nei confronti della vittima, credito derivante dal mancato pagamento da parte del COGNOME di generi alimentari acquistati presso l’imputato.
Con il terzo motivo deduceva mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione assumendo che la Corte territoriale aveva omesso di valutare la sussistenza dell’ingiusto profitto del reato di rapina nonché il concreto pentimento manifestato dall’imputato, e ancora aveva omesso di motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza di cui all’art. 62, n. 4), cod. pen., e, infine, aveva omesso di esaminare l’istanza di assunzione di nuove prove ex art. 603 cod. proc. pen., avanzata dalla difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo e il terzo motivo di ricorso, che devono essere trattati congiuntamente in quanto involgono le medesime questioni, sono entrambi manifestamente infondati e, pertanto, inammissibili.
La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. ritenendo che nel caso di specie il fatto non potesse essere ritenuto di particolare tenuità in ragione dell’esclusione oggettiva derivante dalla incompatibile cornice edittale del reato di rapina (che prevede la pena detentiva della reclusione da cinque a dieci anni per la fattispecie base e da sei a venti anni per le ipotesi aggravate) con i limiti oggettivi di applicabilità del dett istituto premiale.
Quanto alla invocata derubricazione nel reato di cui all’art. 393 cod. pen. la Corte territoriale ha richiamato la valutazione del giudice di primo grado che, ritenendo superflua l’audizione della persona offesa richiesta dalla difesa al fine di dimostrare l’esistenza di un debito di quest’ultima nei confronti del ricorrente, aveva rigettato la richiesta di giudizio abbreviato condizionato all’assunzione della detta prova testimoniale, accogliendo quella successiva di giudizio abbreviato cd. “secco”.
La Corte d’Appello, a fronte dell’assunto difensivo secondo il quale l’imputato e la vittima vantavano un pregresso rapporto di conoscenza e il primo aveva inteso soltanto farsi ragione da sé in relazione al credito vantato nei confronti della seconda, ha congruamente osservato sul punto che le immagini estrapolate dal video effettuato con le telecamere allocate sui luoghi del reato avevano dato conto del fatto che nell’occasione l’imputato era a viso scoperto poiché indossava solo degli occhiali da sole e un cappuccio sulla testa, così che doveva ritenersi inverosimile che “laddove i due soggetti davvero si conoscessero, la p. o. non lo riconoscesse all’interno dell’abitacolo di un’auto, a una distanza molto limitata, e nelle immagini i due uomini non appaiono avere un atteggiamento confidenziale e amichevole nemmeno per qualche istante” (v. pag. 4 della sentenza impugnata).
Quanto alla doglianza con la quale si lamentava che gli elementi acquisiti non avevano valenza di piena prova al di là di ogni ragionevole dubbio, osserva il Collegio che la stessa appare del tutto generica quanto all’oggetto e alle argomentazioni dedotte a sostegno, risolvendosi in una inammissibile rilettura nel merito delle prove assunte.
La Corte territoriale ha anche reso una motivazione immune da vizi nell’escludere l’invocata circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., con il congruo richiamo all’elevato grado di violenza dell’aggressione posta in essere dall’imputato, anche mediante l’utilizzo di un coltello, in ossequio ai principi richiamati da Sez. U, n. 42124 del 27/06/2024, Nafi, Rv. 287095 – 02, secondo cui ai fini della valutazione delle condizioni dell’applicabilità della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità nel delitto di rapina, non è sufficiente valutare il modico valore economico del bene sottratto, ma occorre considerare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto “de quo”, che lede, oltre al patrimonio, anche la libertà e l’integrità fisica e morale del soggetto aggredito per la realizzazione del profitto, sicché può farsi luogo all’applicazione della predetta attenuante solo nel caso in cui sia di speciale tenuità la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati ad entrambi i beni tutelati.
Peraltro, la gravità del fatto espressamente ritenuta dal giudice del merito esclude che lo stesso possa essere qualificato di lieve entità ai sensi dell’art. 628, secondo comma, cod. pen. come risultante all’esito dell’intervento della
Corte Costituzionale con la sentenza n. 86 del 2024, intervenuta peraltro in data antecedente alla pronuncia impugnata.
La Corte d’Appello ha reso una motivazione immune da vizi anche in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche e di dosimetria della pena, effettuando un congruo richiamo alla già evidenziata intrinseca gravità della condotta, desunta dall’intensità della violenza esercitata nei confronti della vittima, e al comportamento processuale dell’imputato che, affermando che aveva inteso solo fare uno scherzo alla vittima, aveva reso una “versione travisata e non veritiera dei fatti” (v. pag. 5 della sentenza impugnata).
Il secondo motivo, con il quale la difesa lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva, costituita dalla testimonianza della persona offesa avente ad oggetto l’esistenza di un credito dell’imputato nei suoi confronti, è inammissibile in quanto non consentito.
Ed invero, è preclusa all’imputato che, dopo il rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, abbia optato per il rito abbreviato “secco”, la possibilità di contestazione successiva della legittimità del provvedimento di rigetto, in quanto la sua opzione per il procedimento senza integrazione probatoria è equiparata al mancato rinnovo “in limine litis”, ai sensi dell’art. 438, comma 6, cod. proc. pen., della richiesta di accesso al rito subordinata all’assunzione di prove integrative (in tal senso, ex plurimis, Sez. 2, n. 13368 del 27/02/2020, COGNOME, Rv. 278826 – 01).
Nel caso di specie, per l’appunto, all’udienza del 14 dicembre 2023 l’imputato aveva avanzato richiesta di giudizio abbreviato condizionato alla richiesta di audizione della persona offesa e, all’esito del rigetto della stessa, aveva avanzato una nuova richiesta di giudizio abbreviato cd. “secco”.
Peraltro, come già osservato, la Corte d’appello ha adeguatamente motivato le ragioni del proprio convincimento in ordine alla superfluità della prova testimoniale richiesta e finalizzata a dimostrare l’esistenza di un pregresso rapporto di conoscenza fra l’imputato e la vittima, affermando che doveva ritenersi inverosimile che, laddove i due soggetti si fossero conosciuti, la parte offesa, in occasione del reato, non lo avesse riconosciuto all’interno dell’abitacolo di un’auto, a una distanza molto limitata.
E, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. U, n. 6402 del
30/04/1997, COGNOME Rv. 207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep.
2004, NOME, Rv. 229369).
3. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile; il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186,
e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”,
deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13/02/2025