Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9472 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9472 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME nato a Civitavecchia il 28/03/1991, contro la sentenza della Corte d’appello di Perugia del 20/02/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Perugia ha confermato la sentenza con cui, in data 16/03/2022, il Tribunale di Spoleto aveva riconosciuto COGNOME Piani Principe
responsabile del delitto di rapina impropria in concorso con persona rimasta ignota e, con le ritenute circostanze attenuanti generiche, l’aveva condannato alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 400 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali;
ricorre per cassazione COGNOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.1 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto la responsabilità dell’imputato: rileva l’illogicità della motivazione laddove la Corte d’appello ha dato atto che il responsabile della rapina fosse un “ragazzetto” di 12 o al massimo di 15 anni per poi ritenerne colpevole l’odierno ricorrente che, all’epoca dei fatti, aveva 23 anni; aggiunge che lo stesso teste COGNOME aveva parlato di un ragazzo di 15-16 anni mostrando incertezza tra la foto n. 1 (raffigurante l’imputato) e quella n. 7 (raffigurante altro soggetto);
2.2 contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in relazione all’eccessività della pena; violazione di legge con riguardo all’art. 62 n. 4 cod. pen.: censura la motivazione con cui la Corte d’appello ha escluso di poter applicare l’attenuante invocata laddove il vantaggio di natura economica è stato pari a soli euro 150;
2.3 violazione di legge con riguardo alla attenuante della lieve entità di cui alla sentenza n. 86 del 2024 della Corte Costituzionale: richiamata la decisione della Corte Costituzionale ne invoca l’applicazione nel caso di specie sollecitando l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per valutarne i presupposti fattuali;
la Procura Generale ha concluso, per iscritto, per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, complessivamente, infondato.
COGNOME COGNOME COGNOME è stato tratto a giudizio e riconosciuto responsabile, nei due gradi di merito, all’esito di un conforme apprezzamento delle medesime emergenze istruttorie, del delitto di rapina impropria in danno di NOME COGNOME: secondo l’accusa, il ricorrente, in concorso con persona rimasta ignota, dopo essersi impossessato del portafogli (contenente la somma di euro 150,00 in contanti e patente di guida di NOME COGNOME, codice fiscale/tessera sanitaria intestata a NOME COGNOME e bancoposta intestato al Monterosi), agendo al fine di
assicurarsi il possesso di quanto sopra ovvero l’impunità, avrebbe minacciato NOME COGNOME che lo aveva raggiunto e lo aveva invitato a restituirgli il portafogli, dicendogli che “se chiami i carabinieri sei un uomo morto”.
1. Il primo giudice aveva fondato il giudizio di responsabilità sul riconoscimento fotografico eseguito dal Montirosi presso gli uffici dei Carabinieri così come aveva fatto NOME COGNOME che aveva incrociato i due giovani mentre fuggivano dall’abitazione della madre della persona offesa inseguiti proprio dal predetto Montirosi.
Il primo motivo del ricorso replica, invero, il primo motivo d’appello cui la Corte territoriale (cfr., pag. 4 della sentenza) ha risposto in termini del tutt congrui ed esaustivi dando conto della indicazione fornita dai testi in merito al “ragazzino” e, comunque, del dato rappresentato dal riconoscimento fotografico da costoro confermato anche nel corso del dibattimento; i giudici di secondo grado hanno inoltre rilevato, quanto alla teste COGNOME che costei, nel corso del processo, aveva confermato di avere all’epoca eseguito il riconoscimento del giovane anche se, al momento della testimonianza, intervenuta sette anni dopo, non era più in grado di essere così sicura.
È appena il caso, allora, di ribadire che il riconoscimento fotografico compiuto nel corso delle indagini preliminari è utilizzabile ed idoneo a fondare l’affermazione di penale responsabilità, anche se non seguito da una formale ricognizione dibattimentale, nel caso in cui il testimone – come nel caso di specie – confermi di avere effettuato tale riconoscimento con esito positivo in precedenza, aggiungendo di non poterlo reiterare a causa del decorso di un apprezzabile lasso di tempo, atteso che l’individuazione di un soggetto, personale o fotografica, costituisce manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, la cui forza probatoria discende dal valore della dichiarazione confermativa, alla stregua della deposizione dibattimentale (cfr., così, in particolare. Sez. 2, n. 20489 del 07/05/2019, COGNOME, Rv. 275585; cfr., anche Sez. 2, n. 25122 del 07/03/2023, COGNOME, Rv. 284859 – 01, in cui la Corte ha ribadito che, ove all’individuazione fotografica effettuata in fase di indagini preliminari non faccia seguito, in fase dibattimentale, la ricognizione personale dell’imputato presente in termini di “assoluta certezza”, la prova dell’identificazione del predetto può essere raggiunta anche mediante la valutazione della precedente dichiarazione confermativa dell’individuazione fotografica, verificando l’esistenza di dati obiettiv eventualmente anche riferiti dal testimone, che forniscano spiegazione del mancato ricordo in termini di sicura concordanza; Sez. 2, n. 20489 del 07/05/2019, cit, secondo cui il riconoscimento fotografico compiuto nel corso delle
indagini preliminari è utilizzabile ed idoneo a fondare l’affermazione di penale responsabilità, anche se non seguito da una formale ricognizione dibattimentale, nel caso in cui il testimone confermi di avere effettuato tale riconoscimento con esito positivo in precedenza, ma di non poterlo reiterare a causa del decorso di un apprezzabile lasso di tempo, atteso che l’individuazione di un soggetto, personale o fotografica, costituisce manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, la cui forza probatoria discende dal valore della dichiarazione confermativa, alla stregua della deposizione dibattimentale; conf. ancora, Sez. 2, n. 28391 del 27/04/2017, Cena, Rv. 270181 – 01).
2. Il secondo motivo del ricorso è, a sua volta, manifestamente infondato.
La Corte d’appello (cfr., pag. 4 della sentenza) ha respinto la richiesta difensiva volta al riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. in considerazione dell’oggetto della rapina “… e cioè di un borsello con denaro pari ad euro 150,00 circa oltre ai documenti del Montirosi”.
In tal modo i giudici di merito, con una valutazione tipicamente “in fatto”, hanno evocato il carattere non minimale del pregiudizio patrimoniale subito dalla vittima dovendosi in ogni caso ribadire che la applicazione dell’attenuante comune in relazione al delitto di rapina non postula il solo modestissimo valore del bene mobile sottratto, essendo necessario valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro cui la violenza o la minaccia sono state esercitate, attesa la natura plurioffensiva del delitto, lesivo non solo del patrimonio, ma anche della libertà e dell’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto (cfr., così, Sez. 2, n. 28269 del 31/05/2023, Conte, Rv. 284868 – 01 e, da ultimo, Sez. U, n. 42125 del 27/06/2024, COGNOME, Rv. 287096 – 01).
3. Il terzo motivo è infondato.
3.1 Non rileva qui il problema della rilevabilità d’ufficio della questione (cfr. sul punto, Sez. 2, n. 4365 del 15/12/2023, dep. 01/02/2024, C. Rv. 285862 01, in cui la Corte ha affermato che nel giudizio di cassazione, è rilevabile d’ufficio, anche in caso di inammissibilità del ricorso, la nullità della sentenza impugnata nella parte relativa al trattamento sanzionatorio, conseguente alla sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale di norma riguardante la determinazione della pena, annullando con rinvio la decisione impugnata e ha rimesso al giudice di merito la quantificazione della pena, in ragione della sopravvenuta declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 629 cod. pen., nella parte in cui non è previsto che la sanzione comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando, per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità ai s
dell’art. 311 cod. pen.; conf., Sez. 2 – , n. 19938 del 15/05/2024, Ghbar Rv. 286432 – 01).
Nel caso di specie, infatti, l’atto d’appello era stato redatto in data 08/05/2022 ed il giudizio d’appello si era celebrato il 20/02/2024 mentre la sentenza della Corte Costituzionale è intervenuta il 13/05/2024 con pubblicazione sulla G.U. del 15/05/2024); è pertanto evidente che la difesa non poteva sollevare la questione prima della formulazione dei motivi di ricorso per cassazione che ha rappresentato la prima occasione utile per prospettarla.
3.2 Come è noto, con la sentenza n. 86 del 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale “… nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità”.
La sentenza n. 86 del 2024, sul solco della sentenza n. 120 del 2023, ha fatto presente che “in presenza di una fattispecie astratta connotata … da intrinseca variabilità atteso il carattere multiforme degli elementi costitutiv violenza o minaccia, cosa sottratta, possesso, impunità, e tuttavia assoggettata a un minimo edittale di rilevante entità, il fatto che non sia prevista la possibilità pe il giudice di qualificare il fatto reato come di lieve entità in relazione alla natu alla specie, ai mezzi, alle modalità o circostanze dell’azione, ovvero alla particolare tenuità del danno o del pericolo, determina la violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell’art. 27 Cost.”.
I giudici delle leggi hanno spiegato, infatti, che “la ratio decidendi della sentenza n. 120 del 2023 vale anche per la rapina … ” atteso che “… la descrizione tipica operata dall’art. 628 cod. pen. evidenzia una latitudine oggettiva e una varietà di condotte materiali non meno ampia di quella del delitto di estorsione, poiché, anche nella rapina, la violenza o minaccia può essere di modesta portata e l’utilità perseguita, ovvero il danno cagionato, di valore infimo”; hanno considerato emblematico “… il caso di cui deve giudicare il rimettente, nel quale la sottrazione è stata relativa a pochi generi di consumo, del prezzo di qualche euro appena, e la violenza o minaccia si è esaurita in frasi scarsamente intimidatorie e in una spinta data per divincolarsi” osservando che “… in simili fattispecie, per la rapina come per l’estorsione, il minimo edittale di notevole asprezza, introdotto per contenere fenomeni criminali seriamente lesivi della persona e del patrimonio, eccede lo scopo, determinando l’irrogazione di una pena irragionevole, sproporzionata e quindi inidonea alla rieducazione”.
A conferma della assimilabilità, sotto il profilo della congruità della risposta sanzionatoria, della fattispecie della rapina a quella dell’estorsione, la Corte Costituzionale ha richiamato la sentenza n. 141 del 2023, resa in una fattispecie concreta “… di incerta sussunzione tra i paradigmi …” ed in cui aveva osservato che la formulazione delle norme incriminatrici “… fa sì che essi si prestino ad abbracciare anche condotte di modesto disvalore: non solo con riferimento all’entità del danno patrimoniale cagionato alla vittima, che può anche ammontare (come nel caso oggetto del giudizio a quo) a pochi euro” ma anche “… con riferimento alle modalità della condotta, che può esaurirsi in forme minimali di violenza” (come, nel caso di specie, una lieve spinta), ovvero “… nella mera prospettazione verbale di un male ingiusto, senza uso di armi o di altro mezzo di coazione, che tuttavia già integra la modalità alternativa di condotta costituita dalla minaccia …” rispetto alle quali “… la disciplina vigente impone una pena minima di cinque anni di reclusione: una pena che risulterebbe, però, manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità oggettiva dei fatti medesimi – anche in rapporto alle pene previste per la generalità dei reati contro la persona -, se l’ordinamento non prevedesse meccanismi per attenuare la risposta sanzionatoria nei casi meno gravi”.
La Corte Costituzionale ha infine evocato il principio di individualizzazione della pena e la sua finalità rieducativa giudicando perciò illegittima una disciplina, quale quella contemplata nel capoverso dell’art. 628 cod. pen. per la rapina “impropria” che, caratterizzata negli anni da plurimi interventi ispirati ad un progressivo inasprimento sanzionatorio, non contempla tuttavia una sorta di “valvola di sicurezza che consenta al giudice di moderare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo”, in grado di evitare che si pervenga alla “… irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza”.
In particolare, ha osservato che “… il fatto che non sia prevista la possibilità per il giudice di qualificare il fatto reato come di lieve entità in relazione alla natu alla specie, ai mezzi, alle modalità o circostanze dell’azione, ovvero alla particolare tenuità del danno o del pericolo, determina la violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell’art. 27 Cost.”; ha dichiarato dunque “… l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione,
ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di li entità”.
Per altro verso, la Corte Costituzionale ha precisato che, come era accaduto per l’estorsione, “… gli indici dell’attenuante di lieve entità del fa estemporaneità della condotta, scarsità dell’offesa personale alla vittima, esiguità del valore sottratto, assenza di profili organizzativi – garantiscono che la riduzione della pena sia riservata alle ipotesi di lesività davvero minima, per una condotta che pur sempre incide sulla libertà di autodeterminazione della persona” pervenendo, infine, ad estendere la portata della decisione, in via consequenziale, e sulla base delle medesime premesse e delle stesse considerazioni, anche all’ipotesi della rapina propria.
3.3 Tanto premesso, rileva il collegio che la ricostruzione dell’episodio quale restituita dalle due sentenze di merito non consente in alcun modo, e senza necessità di ulteriori approfondimenti “in fatto”, di ricondurlo nell’ambito dell fattispecie attenuata frutto dell’intervento della Corte Costituzionale di cui si è dat ampiamente conto.
Si tratta, infatti, di un fatto certamente non minimale: non è secondario, in particolare, che il Piani unitamente al complice – si fosse introdotto all’interno dell’abitazione dell’anziana madre del Montirosi; vero che l’imputazione non ha evocato e contestato l’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 3-bis cod. pen.; ciò tuttavia non impedisce di considerare tale evenienza ai fini della complessiva valutazione della gravità del fatto unitamente alla altrettanto certamente non modesta rilevanza dell’oggetto della sottrazione che, come accennato, con motivazione incensurabile, ha portato la Corte d’appello ad escludere il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen..
4. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21.1.2025