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Rapina in abitazione: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10202/2024, ha rigettato il ricorso di un imputato condannato per rapina in abitazione. Il caso, originariamente qualificato come furto, era stato trasmesso al Pubblico Ministero per una nuova formulazione dell’accusa. La Corte ha confermato la legittimità della procedura e la correttezza della qualificazione del reato, specificando che il fine di profitto nella rapina può consistere in qualsiasi vantaggio, anche non patrimoniale. Inoltre, ha ribadito la speciale gravità della rapina in abitazione, la cui aggravante non può essere bilanciata con le attenuanti generiche, a tutela della inviolabilità del domicilio.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rapina in abitazione: la Cassazione ne definisce i contorni e la gravità

Con la recente sentenza n. 10202/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità e rilevanza sociale: la rapina in abitazione. Il caso in esame offre importanti spunti di riflessione sulla qualificazione giuridica del reato, sulla nozione di profitto e sulla speciale tutela che l’ordinamento riserva all’inviolabilità del domicilio. La decisione chiarisce aspetti procedurali e sostanziali, confermando un orientamento di rigore a protezione della sicurezza personale all’interno delle mura domestiche.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine da un episodio di violenza e sottrazione di beni avvenuto all’interno di un’abitazione. Inizialmente, il reato era stato qualificato come furto e si era proceduto con citazione diretta. Tuttavia, nel corso del giudizio abbreviato, il Tribunale ha ritenuto che i fatti integrassero il più grave delitto di rapina, disponendo la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per una nuova qualificazione giuridica, come previsto dall’art. 521-bis del codice di procedura penale.

Il Pubblico Ministero, a seguito di ciò, ha modificato l’imputazione contestando il reato di rapina aggravata dal fatto di essere stata commessa all’interno di un’abitazione (art. 628, comma 3, n. 3-bis c.p.). L’imputato è stato quindi condannato sia in primo grado che in appello. La difesa ha proposto ricorso per cassazione, sollevando diverse questioni di legittimità.

I Motivi del Ricorso e la rapina in abitazione

Il ricorrente ha basato la sua difesa su più argomenti. In primo luogo, ha contestato la legittimità della nuova imputazione, sostenendo che il Pubblico Ministero non potesse modificare le contestazioni originarie dopo la trasmissione degli atti. In secondo luogo, ha argomentato che il fatto dovesse essere qualificato come furto aggravato e non come rapina, poiché la violenza sarebbe stata dettata esclusivamente da motivi di gelosia e non finalizzata all’impossessamento del portafoglio.

Infine, la difesa ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’aggravante della rapina in abitazione, in particolare per la parte in cui l’art. 628 c.p. vieta il giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti. Secondo il ricorrente, questa previsione creerebbe una disparità di trattamento irragionevole, equiparando situazioni molto diverse (come quella di chi entra con violenza e chi, come nel suo caso, si trova già legittimamente in casa) e applicando una pena sproporzionata.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo una motivazione dettagliata su ogni punto sollevato.

1. Sulla Procedura: La Corte ha chiarito che, una volta che il giudice dispone la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 521-bis c.p.p. per una diversa qualificazione giuridica, il PM ridiventa dominus dell’azione penale. Egli ha quindi la piena facoltà di modificare le imputazioni per adeguarle alle risultanze emerse, con l’unico limite di non poter procedere per il reato (in questo caso il furto) per cui l’azione era già stata esercitata. La procedura seguita è stata quindi ritenuta pienamente legittima.

2. Sulla Qualificazione del Reato: I giudici hanno ribadito, citando una sentenza delle Sezioni Unite, che il ‘fine di profitto’ richiesto per il delitto di rapina non deve essere inteso solo in senso strettamente economico. Esso consiste in ‘qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall’autore’. Nel caso di specie, sebbene la lite fosse scaturita da gelosia, l’atto di impossessarsi di un portafoglio contenente 400 euro e di allontanarsi con esso integra chiaramente il dolo specifico del reato di rapina, finalizzato a trarre un profitto.

3. Sull’Aggravante della Rapina in Abitazione: La Corte ha sottolineato che l’art. 628, comma 3, n. 3-bis c.p. mira a tutelare in maniera rafforzata l’inviolabilità del domicilio. Ciò che rileva è il ‘riferimento oggettivo’ al luogo del commesso reato, ovvero l’abitazione o un altro luogo di privata dimora. Sono quindi irrilevanti le modalità di accesso dell’autore del reato (anche se consensuali) o l’esistenza di una relazione pregressa con la vittima. La norma intende punire più severamente la particolare odiosità del crimine subito dalla persona offesa nel luogo in cui dovrebbe sentirsi più sicura.

4. Sulla Legittimità Costituzionale: Infine, la Cassazione ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sul divieto di bilanciamento delle circostanze. Citando precedenti pronunce della Corte Costituzionale, ha affermato che il legislatore può legittimamente ‘schermare’ determinate aggravanti dal giudizio di bilanciamento quando sono in gioco beni giuridici di primario valore, come l’intimità della persona raccolta nella sua abitazione. Tale scelta, seppure discrezionale, non è irragionevole e risponde all’esigenza di una tutela rafforzata.

Le Conclusioni

La sentenza in commento consolida principi giuridici di fondamentale importanza. In primo luogo, rafforza la tutela del domicilio come spazio inviolabile, giustificando un trattamento sanzionatorio più severo per i reati commessi al suo interno, a prescindere dalle relazioni tra le parti. In secondo luogo, offre una lettura ampia del concetto di ‘profitto’ nel reato di rapina, slegandolo da una visione puramente patrimoniale. Infine, dal punto di vista processuale, conferma i poteri del Pubblico Ministero nella fase successiva alla riqualificazione del fatto da parte del giudice. Questa decisione, pertanto, rappresenta un punto fermo per l’interpretazione e l’applicazione del reato di rapina in abitazione, sottolineandone la particolare gravità e le conseguenze giuridiche per chi lo commette.

Quando un furto diventa rapina?
Un furto si trasforma in rapina quando la sottrazione della cosa mobile altrui avviene usando violenza o minaccia nei confronti di una persona. La violenza o la minaccia possono essere usate sia per impossessarsi del bene (rapina propria) sia per assicurare a sé o ad altri il possesso del bene sottratto, o per garantirsi l’impunità (rapina impropria).

Il fine di profitto nella rapina deve essere necessariamente economico?
No. Come chiarito dalla Corte di Cassazione, richiamando una pronuncia delle Sezioni Unite, il fine di profitto che integra il dolo specifico della rapina va inteso come qualsiasi vantaggio, utilità o piacere, anche di natura non patrimoniale o puramente morale, che l’autore del reato si prefigge di conseguire.

L’aggravante della rapina in abitazione può essere annullata da attenuanti generiche?
No. La legge (art. 628, comma 5, c.p.) prevede un divieto di bilanciamento tra l’aggravante speciale della rapina commessa in un’abitazione e le circostanze attenuanti. Questo significa che, anche se al colpevole vengono riconosciute delle attenuanti (come quelle generiche), la pena deve essere calcolata partendo dalla cornice edittale prevista per la rapina aggravata, senza possibilità di far prevalere le attenuanti per ridurla.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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