Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21299 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21299 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato in Egitto il 24/02/1989
avverso la sentenza emessa in data 14/01/2025 dalla Corte di appello di Milano;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso; udite le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano, giudicando in sede di rinvio disposto dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 40276 del 1 ottobre 2024, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 30 ottobre 2023, che ha condannato NOME COGNOME per il delitto di rapina impropria,
I
commesso in Milano il 10 ottobre 2023, aggravato dalla recidiva specifica e infraquinquennale.
L’avvocato NOME COGNOME, difensore di Kamal, ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento, deducendo due motivi.
Con il primo motivo il difensore deduce l’inosservanza dell’attenuante della lieve entità del fatto e, con il secondo motivo, la contraddittorietà della motivazione sul punto.
L’attenuante non potrebbe essere esclusa sulla base della connotazione violenta della condotta, in quanto il reato di rapina impropria è integrato proprio da una condotta violenta e, dunque, il giudice di merito dovrebbe valutare l’intensità della stessa e non la sua esistenza.
Il difensore rileva che la Corte di appello avrebbe illegittimamente negato l’attenuante, in quanto l’imputato ha sottratto, occultandole all’interno dei pantaloni, sei bottiglie di gin, del valore di euro 87,74, e il mero colpo inferto all’addetto della sicurezza non potrebbe escludere la particolare tenuità del fatto.
Ad avviso del difensore, la motivazione della Corte di appello, peraltro, sarebbe contraddittoria, in quanto l’addetto alla sicurezza non ha richiesto l’intervento del 118 e non vi sarebbero agli atti certificati medici che possano qualificare l’intensità della violenza e del danno cagionato alla persona offesa.
La motivazione della sentenza impugnata, dunque, muovendo dalla premessa del modico valore dei beni sottratti al supermercato e dell’assenza di lesioni documentate da certificati medici avrebbe contraddittoriamente escluso l’applicazione dell’aggravante della lieve entità del fatto.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 22 aprile 2025, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
L’avvocato NOME COGNOME con memoria depositata in data 29 aprile 2025, ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Con il primo motivo il difensore deduce l’inosservanza dell’attenuante della lieve entità del fatto e, con il secondo motivo, la contraddittorietà della motivazione sul punto.
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro connessione, sono diversi da quelli consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati.
La Seconda sezione della Corte di cassazione, con la sentenza n. 40276 del 2024, ha annullato la sentenza emessa dalla Corte di appello di Milano in data 13 marzo 2023, limitatamente al diniego dell’attenuante della lieve entità del fatto con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
La Corte costituzionale, infatti, con la sentenza n. 86 del 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
La Seconda sezione della Corte di cassazione ha, infatti, rilevato che «la Corte di appello, investita con l’atto di gravame, in epoca antecedente a tale pronuncia, proprio in relazione a tale profilo di incostituzionalità, ha ritenuto manifestamente infondata la questione che, tuttavia, è stata invece positivamente valutata dalla Corte Costituzionale la quale ha operato una integrazione del dettato normativo specificamente per il delitto di rapina impropria.
Si impone dunque, alla luce di tale intervento, la necessità di una valutazione da parte del giudice di merito della riconducibilità della fattispecie concreta all’ipotesi di lieve entità, secondo i parametri delineati dal Giudice delle leggi».
La Corte di appello, nella sentenza impugnata, ha escluso la ricorrenza dell’attenuante della lieve entità del fatto, rilevando che «l’imputato, per quanto abbia sottratto beni per un valore di euro 87,74, non connotati da valore rilevante, ha fatto ricorso, in due distinte occasioni, a un livello significativo di violenza (nei confronti dell’addetto alla sicurezza) al fine di assicurarsi il possesso dei beni poco prima sottratti, cagionandogli anche una ferita alla mano destra, per la quale però l’addetto alla sicurezza COGNOME non richiedeva l’intervento del 118.
Tale condotta, per la sua gravità correlata all’intensità dell’aggressione fisica e per la reiterazione della violenza inferta ai danni di COGNOME, esclude ogni possibilità di qualificare il fatto come di lieve entità, in quanto le modalità dell’azione dimostrano un evidente superamento del limite di danno e pericolo ritenuto compatibile con la mitigazione della pena. Pertanto, il reato deve essere valutato nella sua interezza e gravità, senza applicare alcuna riduzione di pena ai sensi dell’art. 628, comma 2, cod. pen., così come integrato dalla Corte costituzionale» (pag. 6-7 della sentenza impugnata).
Questo apprezzamento è conforme alla disciplina della predetta aggravante e, dunque, non è illegittimo.
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 86 del 2024, ha, infatti, rilevato che l’attenuante della lieve entità del fatto deve trovare applicazione, con riferimento alla rapina impropria, nei casi «di minimo impatto personale, volte a conseguire un lucro irrisorio e tali da recare alla vittima un pregiudizio esiguo».
Muovendo da queste premesse interpretative, la valutazione della Corte di appello di Milano non è manifestamente illogica.
I giudici di appello hanno, infatti, rilevato congruamente che l’imputato, dopo essersi impossessato di beni per un valore di 87,74, alla richiesta di restituzione della merce rubata, ha reagito colpendo l’addetto alla sicurezza, colpendolo con calci e pugni, spingendolo violentemente per divincolarsi dalla presa.
L’imputato, riuscito a darsi alla fuga, è stato nuovamente raggiunto, nel parcheggio del supermercato, e lo ha nuovamente aggredito con calci e pugni. Solo dopo una colluttazione, durante la quale entrambi erano caduti in terra, l’addetto è riuscito, con grande difficoltà, a bloccarlo.
L’imputato, in queste colluttazioni, ha cagionato all’addetto una ferita alla mano destra dell’addetto alla sicurezza, che, tuttavia, non ha richiesto l’intervento di sanitari.
La Corte di appello ha, dunque, posto a fondamento del rigetto della richiesta di applicazione dell’attenuante l’opposizione posta in essere dall’imputato, con calci e pugni, ai danni dell’addetto alla sicurezza, in due distinti momenti, e il livello significativo di violenza utilizzato per impossessarsi delle bottiglie, non riconducibile alla nozione di «di minimo impatto personale» utilizzata dalla Corte costituzionale.
La Corte di appello ha, inoltre, non illogicamente rilevato che l’imputato risulta avere precedenti specifici, per uno dei quali era stato arrestato appena qualche giorni prima delle condotte accertare dalle sentenza impugnata.
Questi rilievi, dunque, si inseriscono nel perimetro della valutazione del giudice di merito non sindacabile dal giudice di legittimità, in quanto argomentato con motivazione contraddittori o manifestamente illogici.
I rilievi del difensore si risolvono, per converso, nella sollecitazione ad una diversa lettura delle risultanze istruttorie, non consentite in sede di legittimità.
Esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, COGNOME, Rv. 207944).
Sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a
quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv.
280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
4. Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma
1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06/05/2025.