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Rapina impropria: spinta sufficiente per il reato

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5717/2024, dichiara inammissibile un ricorso per rapina impropria. La Corte conferma che una semplice spinta per assicurarsi la fuga dopo un furto è sufficiente a configurare la violenza richiesta dal reato. I motivi del ricorso sono stati giudicati generici e manifestamente infondati, ribadendo la necessità di specificità negli atti di impugnazione.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Rapina impropria: quando una semplice spinta configura il reato

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 5717/2024) offre un importante chiarimento sulla configurazione del reato di rapina impropria. La Corte ha stabilito che anche una condotta violenta di lieve entità, come una spinta, è sufficiente a integrare il delitto se finalizzata a garantirsi la fuga dopo un furto. Questa pronuncia ribadisce principi consolidati e sottolinea l’importanza della specificità dei motivi di ricorso.

I fatti di causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per rapina impropria. L’imputato, dopo aver sottratto dei beni, aveva utilizzato la violenza per assicurarsi la fuga. La difesa ha deciso di impugnare la sentenza della Corte d’Appello dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando diversi vizi della decisione.

I motivi del ricorso in Cassazione

Il ricorrente ha basato la propria impugnazione su tre motivi principali:
1. Mancanza dell’elemento oggettivo del reato: Secondo la difesa, la condotta tenuta non presentava un grado di violenza tale da poter configurare il delitto di rapina.
2. Violazione dell’art. 54 del codice penale: Veniva invocata la scriminante dello stato di necessità, sostenendo che l’azione fosse stata compiuta per salvarsi da un pericolo attuale e inevitabile.
3. Vizio di motivazione: Si contestava la correttezza del ragionamento logico-giuridico che aveva portato i giudici di merito a dichiarare la sua responsabilità penale.

L’analisi della Corte sulla rapina impropria

La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi del ricorso, dichiarandoli tutti inammissibili per manifesta infondatezza e genericità. Gli Ermellini hanno smontato punto per punto le argomentazioni difensive, facendo leva su principi giurisprudenziali ormai consolidati.

Sul primo motivo, relativo alla violenza, la Corte ha ricordato che, per la configurabilità della rapina impropria, non è richiesta una violenza di particolare intensità. La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che anche una semplice spinta, uno strattone o uno schiaffo sono sufficienti, a condizione che siano finalizzati a neutralizzare la reazione della vittima o di terzi per assicurarsi il profitto del reato o l’impunità. Nel caso di specie, la violenza era stata esercitata proprio per impedire a un’altra persona di bloccare la fuga dell’agente.

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte lo ha liquidato come palesemente infondato, in quanto basato su “enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con i consolidati indirizzi interpretativi della Suprema Corte”. In altre parole, la tesi difensiva sullo stato di necessità non aveva alcun fondamento giuridico solido.

Le motivazioni della decisione

Il cuore della decisione risiede nella valutazione della specificità dei motivi di ricorso, un requisito fondamentale previsto dall’art. 581 del codice di procedura penale. La Corte ha ritenuto l’ultimo motivo di ricorso totalmente privo di specificità, poiché si limitava a deduzioni generiche senza enunciare chiaramente le ragioni di diritto, il contenuto delle questioni irrisolte e i riferimenti pertinenti alla motivazione dell’atto impugnato. Un ricorso in Cassazione non può limitarsi a una critica generica della sentenza, ma deve individuare con precisione i vizi logici o giuridici che la inficiano.

La decisione di inammissibilità ha quindi una duplice valenza: da un lato, ribadisce un principio di diritto sostanziale sul concetto di violenza nella rapina impropria; dall’altro, riafferma una regola processuale fondamentale sull’onere di specificità che grava su chi impugna un provvedimento giudiziario. La mancanza di tale specificità porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, impedendo alla Corte di entrare nel merito della questione.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame conferma che la soglia per integrare la violenza nel reato di rapina impropria è relativamente bassa: ciò che conta è la finalità dell’azione, ovvero quella di assicurarsi la fuga o il possesso del bene sottratto. La pronuncia serve anche come monito per gli operatori del diritto, ricordando che un ricorso per cassazione deve essere redatto con rigore e precisione, pena la sua immediata reiezione. Il ricorrente è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Per configurare il reato di rapina impropria è necessaria una violenza grave?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che anche una condotta violenta minima, come una semplice spinta o uno strattone, è sufficiente a integrare il reato, se finalizzata a impedire la reazione della vittima o di terzi e ad assicurarsi la fuga.

Perché il ricorso in esame è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano privi di specificità, generici e in palese contrasto con la normativa e la consolidata giurisprudenza. Ad esempio, non sono state indicate con precisione le ragioni di diritto o le questioni irrisolte.

Cosa significa che un motivo di ricorso è ‘privo di specificità’?
Significa che l’atto di impugnazione non espone in modo chiaro e puntuale le ragioni legali che giustificano il ricorso, il contenuto delle questioni che si ritengono non risolte e i riferimenti pertinenti alla motivazione del provvedimento impugnato, come richiesto dall’art. 581 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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