Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27468 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27468 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/06/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
Sul ricorso proposto da:
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni scritte depositate il 14/06/2025 dal difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 01/03/2024, all’esito di giudizio dibattimentale, dal Tribunale di Torre Annunziata ed in accoglimento del gravame proposto dal Pubblico Ministero, così statuiva:
riqualificava il reato di cui al capo C) di imputazione in rapina impropria come originariamente contestato e riconosceva per tale addebito l’attenuante della lieve entità;
-confermava il giudizio di responsabilità in ordine ai delitti di furto contestati ai capi A), B) e D);
esclusa la contestata recidiva, riconosciuta l’attenuante del fatto di lieve entità in relazione al capo C) come riqualificato e calcolata anche la riduzione (in misura non piena) per le già concesse attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle circostanze aggravanti oggetto delle imputazioni A), B) e D), rideterminava la pena inflitta in anni tre mesi due di reclusione ed euro 750,00 di multa, con interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il
– Relatore –
Sent. n. sez. 1022/2025 UP – 20/06/2025
difensore di fiducia articolando sei motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 603 comma 3bis cod. proc. pen. per mancata rinnovazione della prova dichiarativa in ragione della disposta riqualificazione della condotta di cui al capo C) nel delitto di rapina impropria consumata a seguito di accoglimento del gravame proposta dal Pubblico Ministero, l’inosservanza dell’obbligo di motivazione rafforzata, e l’erronea applicazione dell’art. 56 cod. pen..
La Corte di appello ha operato una diversa ricostruzione fattuale della condotta serbata dall’imputato che ha qualificato in termini di rapina impropria consumata anzichØ di tentato furto aggravato come ritenuto dal giudice di primo grado passando anche attraverso una differente valutazione delle prove dichiarativa che, quindi, avrebbe dovuto essere rinnovate.
In ogni caso, difetta una motivazione rafforzata che dia conto della ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 628, comma secondo, cod. proc. pen. e che si confronti con il fatto che le immagini registrate dal sistema di videosorveglianza (tramite il quale l’imputato era stato tenuto sotto continuo e costante controllo consentendo l’immediato intervento del vigilante, con conseguente integrazione, in ogni caso, della sola ipotesi tentata) danno conto della assenza di comportamenti violenti da parte dell’imputato il quale, peraltro, al momento dell’uscita dal supermercato non aveva con sØ la refurtiva.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge con riferimento all’art. 56 cod. pen, nonchØ la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo B), qualificato in termini di furto consumato anzichØ tentato.
Rileva il ricorrente che le immagini registrate dal sistema di videosorveglianza attestano che l’imputato aveva prelevato alcune bottiglie dagli scaffali del supermercato ma che poi era uscito dall’esercizio senza portare nulla con sØ, ciò confermerebbe la sua versione difensiva (che la Corte di appello ha ritenuto non credibile perchØ priva di riscontri obiettivi) secondo cui egli aveva asportato la merce, ma poi l’aveva riposta su sollecitazione della compagna.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge con riferimento agli artt. 625, comma primo n. 2 e 7, cod. pen., nonchØ la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di sussistenza delle aggravanti dell’avere commesso le contestate condotte di furto di cui ai capi A), B) e D) con violenza su cose esposte alla pubblica fede.
Quanto alla prima aggravante, essa non Ł integrata dalla mera rimozione del sigillo antitaccheggio occorrendo, invece, la dimostrazione del danneggiamento del dispositivo tale da comprometterne la funzionalità.
Quanto alla seconda aggravante, essa non si configura allorquando l’azione illecita sia avvenuta sotto l’effettivo e costante controllo della persona offesa e, nella specie, risulta che l’imputato era pedinato.
2.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione di legge con riferimento all’art. 62 n. 4 cod. pen., nonchØ la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di diniego della attenuante del danno patrimoniale lieve.
Rileva il ricorrente che la stessa Corte di appello ha concesso, con riferimento al delitto di rapina, la diminuente della lieve entità e che il minimo valore economico della merce sottratta in occasione dei singoli furti avrebbe dovuto condurre al riconoscimento di tale ulteriore attenuante.
2.5. Con il quinto motivo si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di riduzione della pena per le circostanze attenuanti generiche già
concesse dal Giudice di primo grado che la Corte di appello ha ritenuto prevalenti, unitamente alla diminuente della lieve entità per il delitto di rapina, operando, tuttavia, immotivatamente, una riduzione inferiore al terzo.
2.6. Con il sesto motivo si deduce la carenza di motivazione con riguardo ai singoli aumenti di pena operati a titolo di continuazione che non risultano determinati in modo distinto per ognuno dei reati satellite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Il primo motivo di ricorso Ł manifestamente infondato.
Quanto alla mancata rinnovazione delle prove dichiarative da parte della Corte territoriale che, in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero, avevaha riformato in peius la sentenza di primo grado, va in primo luogo evidenziato che il ricorso non indica quali testimonianze avrebbero dovuto essere oggetto di riassunzione nel giudizio di secondo grado, sicchŁ la doglianza presenta, già di per sØ, carattere di genericità.
Ma anche a volere prescindere da tale profilo, va ricordato il consolidato orientamento di legittimità (che il Collegio condivide) secondo cui il giudice d’appello che procede alla reformatio in peius della sentenza di primo grado, non Ł tenuto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, nel caso in cui si limiti a una diversa valutazione in termini giuridici di circostanze di fatto non controverse, senza porre in discussione le premesse fattuali della decisione di primo grado (Sez. 2, n. 3129 del 30/11/2023, COGNOME, Rv. 285826; Sez. 4, n. 31541 del 22/06/2023, COGNOME, Rv. 284860).
Di tale principio ha fatto corretta applicazione la Corte di appello che ha mantenuto inalterato il quadro fattuale, come ricostruito dal primo giudice dandone esclusivamente una diversa qualificazione giuridica e, segnatamente, attribuendo all’acclarato spintonamento nei confronti dell’addetto alla vigilanza il carattere di condotta violenta e cioŁ di vis finalizzata a mantenere il possesso della cosa sottratta e a procurarsi l’impunità.
Il collegio di merito ha puntualmente adempiuto all’obbligo di motivazione rafforzata.
La sentenza impugnata (pagg. 4 e 5) si Ł puntualmente confrontata con la pronuncia di primo grado, e ha ricondotto l’agire dell’imputato allo schema legale della rapina impropria consumata evidenziando come esso non si fosse esaurito (come affermato dal Tribunale) in una mera fuga messo in atto appena dopo il prelevamento di tre bottiglie di liquore dagli scaffali del supermercato, senza provvedere al relativo pagamento, ma si era intrinsecato anche in una spinta nei confronti del vigilante che lo aveva bloccato per impedirgli di completare l’azione furtiva e di allontanarsi portando con sØ la merce, così ponendo in essere la condotta tipica descritta nell’art. 628, secondo comma, del codice penale, e cioŁ l’uso di violenza immediatamente dopo la sottrazione, per assicurarsi il possesso della cosa sottratta, o per procurarsi l’impunità.
Con argomentazione non manifestamente illogica ha anche osservato che, al momento della reazione violenta, l’imputato occultava sulla sua persona i beni poco prima prelevati, non essendo altrimenti spiegabile il comportamento oppositivo serbato nei confronti dell’addetto alla sicurezza.
Correttamente la Corte di merito ha configurato l’azione delittuosa, così come riqualificata, in forma consumata e non solo tentata atteso che, ai fini della consumazione del delitto di rapina impropria, non Ł necessario che l’agente abbia conseguito il possesso della cosa mobile altrui, essendo sufficiente che ne abbia semplicemente compiuto la sottrazione (come avvenuto nel caso di specie), rispetto alla cui sussistenza non assume
rilievo, in senso contrario, il controllo del personale di vigilanza, siccome idoneo ad eventualmente impedire soltanto la successiva acquisizione di un’autonoma disponibilità della cosa stessa (Sez. 2, n. 15584 del 12/02/2021, COGNOME, Rv 281117; Sez. 2, n. 11135 del 22/2/2017, Rv. 269858).
Generico Ł il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la mancata qualificazione del furto contestato al capo B) in forma solo tentata sul presupposto che l’imputato, dopo avere prelevato alcune bottiglie dagli scaffali del supermercato, le avrebbe subito dopo riposte, su sollecitazione della compagna, per poi uscire dall’esercizio commerciale senza avere nulla con sØ, come testimoniato dalle immagini registrate dal sistema di videosorveglianza.
Si tratta di censura meramente reiterativa di doglianza già dedotta in appello e puntualmente disattesa dalla Corte territoriale ( pag.5 della sentenza impugnata) con motivazione in fatto aderente alle risultanze processuali con cui il ricorrente non si confronta e, come tale, non sindacabile in questa sede non essendo consentito al giudice di legittimità una lettura alternativa delle risultanze istruttorie.
Il collegio di merito ha infatti evidenziato che le immagini registrate dal sistema di videosorveglianza attestavano il prelevamento da parte dell’imputato di due bottiglie di rum che aveva riposto nei propri vestiti, previo strappo del sistema antitaccheggio, per poi allontanarsi, sicchŁ era priva di riscontro l’asserito ricollocamento della merce negli scaffali ed irrilevante, stante il documentato occultamento sulla persona, la circostanza che al momento dell’uscita dal negozio egli non risultasse avere nulla con sØ.
Manifestamente infondato Ł il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce l’insussistenza, con riferimento ai furti contestati, delle aggravanti dell’essersi impossessato di beni esposti alla pubblica fede e con violenza sugli stessi.
Quanto alla aggravante di cui all’art. 625 n. 7 cod. pen., la Corte di appello (pag. 6 della sentenza impugnata) ha osservato che la merce oggetto di impossessamento era esposta in vendita negli scaffali di un esercizio commerciale e che l’apparato di videosorveglianza installato all’interno del locale era un sistema di controllo non continuativo in ragione della assenza di un operatore costantemente preposto alla visione delle immagini in tempo reale (come dichiarato dal testimone sentito in dibattimento), tanto Ł vero che l’imputato era uscito indisturbato portando con sØ la refurtiva ed era stato individuato solo successivamente e cioŁ allorquando la registrazione era stata visionata.
Si tratta di un costrutto argomentativo corretto in punto di fatto, oltre che in punto di diritto dovendosi ribadire il consolidato orientamento di legittimità secondo cui la circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non Ł esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il furto, di un sistema di videosorveglianza, mero strumento di ausilio per la successiva individuazione degli autori del reato non idoneo a garantire l’interruzione immediata dell’azione criminosa, mentre solo un controllo costante e diretto Ł incompatibile con la situazione di affidamento alla pubblica fede di avventori e clienti. (Sez. 5, n. 1509 del 26/10/2020, Saja, Rv. 280157; Sez. 2, n. 2724 del 26/11/2015 – dep. 2016, COGNOME, Rv. 26580801; Sez. 5, n. 45172 del 15/05/2015, COGNOME e altri, Rv. 265681).
Quanto alla aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen., il collegio di merito l’ha ritenuta sussistente osservando, in punto di fatto, che, in occasione di ciascuno dei furti contestati, la condotta dell’imputato era consistita nel prelevare liquori dagli scaffali con successivo strappo delle placche antitaccheggio, come documentato dal sistema di videosorveglianza.
Si tratta di affermazione conforme ai principi dettati da questa Corte ( da ultimo, Sez. 5, n. 13431 del 25/02/2022, COGNOME, Rv.282974; ord. n. 14290 del 11/01/2023 Cc., NOME
NOME, Rv. 284602) che ha affermato come la la placca antitaccheggio risulta essere parte integrante della res esposta al pubblico e, come tale, suscettibile di agevole apprensione, sicchŁ anche la semplice rimozione dell’apparato (placca, etichetta, collarino) che determina l’attivazione dei segnali acustici una volta che il bene sia stato portato oltre il controllo della cassa, determina una trasformazione dello stesso, sia sotto il profilo strutturale, in quanto non piø integro nelle sue componenti principali ed accessorie, sia dal punto di vista funzionale, laddove anche il semplice distacco dell’apparato con modalità tali da poter essere nuovamente applicato allo stesso prodotto, da cui era stata rimossa, ovvero ad un nuovo prodotto preclude definitivamente, con riferimento a quella specifica res , la funzione di protezione.
Del tutto generico Ł il quarto motivo di ricorso in punto di diniego dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. con riferimento alle contestate condotte furtive.
Il mancato riconoscimento della diminuente in questione – invocata dell’atto di appello, in termini esclusivamente assertivi con riferimento ad un non meglio indicato valore irrisorio della merce di volta in volta sottratta – Ł stato motivato dalla Corte di appello ritenendo, invece, che il pregiudizio cagionato non fosse di entità pressochŁ rilevante, in tal modo applicando correttamente il parametro valutativo del danno in sØ, da valutarsi in relazione al valore della cosa, che deve essere non solo lieve, ma di rilevanza minima e di entità quasi trascurabile.
Altrettanto generici sono il quinto ed il sesto motivo di ricorso.
Il ricorrente non si confronta con la sentenza impugnata che, pur operando il giudizio di prevalenza della attenuante della lieve entità riconosciuta in relazione al reato di rapina e delle già concesse attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, ha ritenuto di effettuare la relativa riduzione per queste ultime in misura inferiore al terzo, dando rilievo alla negativa personalità dell’imputato che aveva commesso, in un lasso di tempo assai breve, reiterate azioni predatorie.
Tale decisivo elemento Ł stato posto a fondamento anche del giudizio di congruità degli (esigui) aumenti di pena stabiliti a titolo di continuazione ed in modo distinto per ogni reato satellite, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso (un mese di reclusione e 50,00 euro di multa, ciascuno)
La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicchØ Ł inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME Daniele, Rv. 281217-01, in motivazione).
E’ da ritenere adempiuto l’obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorchØ sia indicato l’elemento, tra quelli di cui all’art 133 cod. pen., ritenuto prevalente e di dominante rilievo, non essendo il giudice tenuto a una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, Ł sufficiente che egli dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi (Sez. U, n. 5519 del 21/04/1979, COGNOME, Rv. 142252, Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 238851-01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 259142-01, Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, S., Rv. 269196-01; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288).
Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di
giudizio e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 20/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME