Rapina impropria: il sottile confine tra truffa e violenza
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su una questione cruciale del diritto penale: quando un raggiro si trasforma in una rapina impropria? La decisione analizza il caso di una truffa che, a causa della reazione della vittima e della fuga degli autori, assume i contorni del più grave reato di rapina. Questo provvedimento offre spunti fondamentali per comprendere la differenza tra l’astuzia fraudolenta e l’uso della violenza per assicurarsi il profitto di un crimine.
I fatti di causa
La vicenda ha origine da un piano criminoso apparentemente semplice: un individuo, con l’aiuto di un complice, riesce a farsi consegnare una busta contenente del denaro dalla vittima, utilizzando uno stratagemma. Subito dopo aver ottenuto il denaro, però, l’autore del fatto si dà immediatamente alla fuga per evitare la restituzione. La vittima, resasi conto dell’inganno, reagisce nel tentativo di recuperare quanto le è stato sottratto. A questo punto, la fuga dell’imputato e del suo complice, che lo attendeva in un’auto vicina per garantire una via d’uscita rapida, diventa l’elemento centrale della vicenda giudiziaria.
I motivi del ricorso e la qualificazione come rapina impropria
La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. Tra i principali, si contestava:
1. L’irregolarità dell’individuazione fotografica: si sosteneva che l’album mostrato ai testimoni, recando la dicitura “nomadi dediti a truffe”, avesse influenzato il riconoscimento.
2. L’errata qualificazione del reato: secondo la difesa, il fatto doveva essere considerato una truffa (art. 640 c.p.) e non una rapina (art. 628 c.p.).
3. Il mancato riconoscimento del concorso anomalo: si affermava che l’imputato non avesse previsto né voluto che la situazione degenerasse in una rapina.
La Corte di Cassazione ha respinto tutte queste argomentazioni, confermando la decisione dei giudici di merito e qualificando il fatto come rapina impropria.
Le motivazioni della Corte
La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti su ogni punto sollevato. Per quanto riguarda l’individuazione fotografica, i giudici hanno sottolineato che l’intestazione dell’album non poteva inficiare il riconoscimento, soprattutto perché uno dei testimoni aveva poi riconosciuto l’imputato anche di persona durante l’udienza.
Il punto cruciale della decisione riguarda la distinzione tra truffa e rapina impropria. La Corte ha spiegato che il reato di rapina si configura non solo quando la violenza o la minaccia precedono l’impossessamento della cosa mobile altrui (rapina propria), ma anche quando vengono usate immediatamente dopo la sottrazione, allo scopo di assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o di procurare a sé o ad altri l’impunità (rapina impropria).
Nel caso specifico, la Corte ha evidenziato che:
– La reazione della vittima che tenta di recuperare i propri soldi è un evento del tutto prevedibile.
– La fuga immediata e pianificata, con un complice pronto in auto, non è una semplice condotta per allontanarsi, ma un’azione finalizzata a contrastare la prevedibile reazione della vittima e a consolidare il possesso del denaro illecitamente ottenuto.
Questa condotta, secondo la Corte, integra la “violenza” richiesta dalla norma sulla rapina, in quanto diretta a vincere la resistenza della persona offesa. Di conseguenza, è stata esclusa la possibilità di applicare il concorso anomalo (art. 116 c.p.). La Corte ha ritenuto che la degenerazione della truffa in rapina fosse un’eventualità non solo prevedibile, ma anche “condivisa” da entrambi i complici, come dimostrato dalla pianificazione della fuga.
Le conclusioni
Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale: la linea di demarcazione tra truffa e rapina impropria risiede nella condotta posta in essere subito dopo la sottrazione del bene. Se il reo, per assicurarsi il bottino o la fuga, usa una qualsiasi forma di energia fisica o minaccia per sopraffare la reazione, anche istintiva, della vittima, il reato commesso è quello di rapina. La prevedibilità della reazione della vittima e la pianificazione di una fuga organizzata sono elementi che dimostrano la volontà di portare a termine il crimine anche a costo di usare la forza, trasformando un inganno in un atto violento contro il patrimonio e la persona.
Quando una truffa si trasforma in rapina?
Secondo la Corte, una truffa diventa rapina (nella forma definita ‘impropria’) quando, subito dopo la sottrazione del bene ottenuta con l’inganno, l’autore usa violenza o minaccia per assicurarsi il possesso di quanto sottratto o per garantirsi la fuga, vincendo la prevedibile reazione della vittima.
L’etichetta su un album fotografico della polizia può invalidare un riconoscimento?
No. La Corte ha stabilito che l’intestazione di un fascicolo fotografico, di per sé, non influisce sulla validità del riconoscimento, specialmente se questo è supportato da altri elementi, come l’identificazione diretta dell’imputato in aula da parte di un testimone.
Cos’è il concorso anomalo e perché non è stato applicato in questo caso?
Il concorso anomalo (art. 116 c.p.) si verifica quando un complice è chiamato a rispondere di un reato più grave non voluto, ma che era una conseguenza prevedibile del piano originario. In questo caso non è stato applicato perché i giudici hanno ritenuto che la fuga organizzata per contrastare la reazione della vittima fosse una condotta prevista e condivisa da entrambi gli imputati, e non uno sviluppo imprevedibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8184 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8184 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VERONA il 07/02/1993
avverso la sentenza del 16/05/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che la difesa del ricorrente deduce i seguenti cinque motivi di ricorso:
violazione di legge e vizi di motivazione per illegittimità della compiuta individuazione fotografica in relazione agli artt. 192 e 213 cod. proc. pen. in quanto l’album mostrato a chi doveva procedere alla individuazione portava l’intestazione “nomadi dediti a truffe” il che ha determinato un arbitrario restringimento dei soggetti scelti per la comparazione;
violazione di legge e vizi di motivazione in quanto la dicitura sopra riportata ha influenzato la percezione e l’identificazione da parte del testimone;
violazione di legge in relazione alla qualificazione del fatto come rapina in luogo di quello di truffa;
violazione di legge e vizi di motivazione nella parte in cui non è stato riconosciuto all’imputato il cd. “concorso anomalo” di cui all’art. 116 cod. pen.
violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla individuazione della fattispecie di reato più grave anche con riguardo al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche;
Ritenuto che i primi due motivi di ricorso che contestano la correttezza delle modalità di effettuazione della individuazione fotografica sono indeducibili perché fondati su argomenti che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti (oltretutto genericamente) in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito (v. pagg. 13 e 14 della sentenza impugnata) ed in particolare che: a) l’intestazione del fascicolo con la dicitura “nomadi dediti a truffe”, non attenendo alle effigi fotografiche, ex sé non può avere influito sul riconoscimento dell’imputato; b) il teste COGNOME NOME, amico della persona offesa, dopo avere descritto i due uomini, li aveva riconosciuti nelle foto dell’album fotografico esibitogli in udienza e aveva riconosciuto l’odierno ricorrente presente in udienza;
che il terzo e il quarto motivo di ricorso, con i quali si contestano la mancata riqualificazione del reato di cui all’art. 628 cod. pen. nel delitto previsto dall’art. cod. pen. e il mancato riconoscimento del concorso anomalo in capo all’imputato, non sono consentiti in sede di legittimità e sono manifestamente infondati in quanto le conclusioni ragionate e argomentate del giudice del merito sono incensurabili nella
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parte in cui evidenziano che: a) correttamente è stato ritenuto integrato il reato di rapina atteso che l’imputato, dopo essersi fraudolentemente fatto consegnare la busta con i soldi con la scusa di verificarne l’autenticità, si era immediatamente dato alla fuga; b) la reazione della persona offesa era senz’altro prevedibile da entrambi gli imputati, costituendo esperienza comune che la vittima di una rapina possa tentare di rientrare nel possesso di quanto sottrattole, cercando di fermare chi glielo ha portato via; c) poiché è risultato provato che entrambi gli imputati avevano deciso di fuggire con la macchina, parcheggiata in prossimità della persona offesa per consentire all’COGNOME di salirvi rapidamente, la prosecuzione della corsa nonostante la reazione della vittima è condotta che era stata prevista e condivisa anche dall’odierno ricorrente;
che, quanto al quinto motivo di ricorso, lo stesso è manifestamente infondato atteso che la Corte di appello nel ritenere più grave il reato di cui al capo A della rubrica delle imputazioni ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale «In tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto all singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all’eventuale giudizio di comparazione fra di esse» (Sez. U, n. 25939 del 28/02/2013, COGNOME, Rv. 255347 01) dato che in relazione alla rapina di cui al presente procedimento risulta contestata (e ritenuta) anche la circostanza aggravante delle più persone riunite aggravante non indicata nella rapina del 20 maggio 2016;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 febbraio 2025.