Rapina impropria: quando basta la sottrazione per la condanna?
La distinzione tra reato tentato e reato consumato è una delle questioni più dibattute nel diritto penale, con conseguenze significative sulla pena applicabile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 3935/2024) ha offerto un importante chiarimento sul delitto di rapina impropria, specificando il momento esatto in cui questo può considerarsi consumato. La decisione sottolinea come, ai fini della consumazione, sia sufficiente la semplice sottrazione del bene, anche se il reo non riesce a consolidarne il possesso a causa dell’intervento di terzi, come il personale di vigilanza.
I Fatti del Caso e il Ricorso in Cassazione
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un uomo condannato dalla Corte d’Appello di Firenze per il reato di rapina impropria. L’imputato ha contestato la sentenza basandosi su due motivi principali:
1.  Errata qualificazione giuridica: Sosteneva che i fatti fossero stati ricostruiti in modo errato, proponendo una versione alternativa che avrebbe dovuto escludere la configurabilità del reato contestato.
2.  Errata configurazione del reato come consumato: Affermava che, al massimo, si sarebbe dovuto parlare di tentata rapina impropria, e non di reato consumato, poiché non aveva mai avuto l’effettiva e autonoma disponibilità della merce sottratta.
La Corte di Cassazione è stata quindi chiamata a valutare la fondatezza di tali doglianze e a definire i contorni applicativi della fattispecie criminosa.
La Decisione della Suprema Corte sulla rapina impropria
Gli Ermellini hanno rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile e fornendo una motivazione chiara e lineare su entrambi i punti sollevati dalla difesa.
L’impossibilità di una nuova valutazione dei fatti in Cassazione
Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha ribadito un principio cardine del giudizio di legittimità: la Cassazione non è un “terzo grado” di merito. Il suo compito non è quello di ricostruire i fatti o di sovrapporre la propria valutazione a quella dei giudici dei gradi precedenti. Può solo verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Poiché la Corte d’Appello aveva fornito una spiegazione logica e coerente delle ragioni della sua decisione, basata su corretti argomenti giuridici, il motivo è stato ritenuto inammissibile.
Quando si consuma la rapina impropria
Il punto cruciale della decisione riguarda il secondo motivo. La Corte ha ritenuto la tesi della difesa manifestamente infondata, richiamando un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. Ai fini della consumazione del delitto di rapina impropria, non è necessario che l’agente consegua il possesso definitivo della cosa mobile altrui. È invece sufficiente che ne abbia compiuto la sottrazione.
La presenza del personale di vigilanza, che potrebbe impedire la successiva acquisizione di un’autonoma disponibilità del bene, non è rilevante per escludere la consumazione del reato. L’elemento che perfeziona la rapina impropria è l’uso della violenza o della minaccia successivamente alla sottrazione, allo scopo di assicurarsi la refurtiva o l’impunità.
Le motivazioni della Decisione
La motivazione della Corte si fonda su una chiara distinzione tra il momento della sottrazione e quello del consolidamento del possesso. La rapina impropria è un reato complesso che si compone di due fasi: la prima è la condotta tipica del furto (la sottrazione), la seconda è la condotta violenta o minacciosa. Il reato si perfeziona e si consuma nel momento in cui, dopo la sottrazione, viene posta in essere la violenza. Il fatto che l’agente venga bloccato prima di potersi allontanare con la merce non trasforma il reato in un semplice tentativo. La sottrazione si è già verificata, e la violenza successiva salda le due condotte, integrando la fattispecie consumata.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un principio di grande importanza pratica. Stabilisce che chiunque, dopo aver sottratto un bene, usi violenza per fuggire o mantenere il maltolto, risponderà di rapina impropria consumata, anche se viene immediatamente bloccato dalla sicurezza. Questa interpretazione garantisce una tutela più forte del patrimonio e dell’incolumità delle persone, punendo con maggiore severità una condotta che manifesta una particolare pericolosità sociale. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, questo significa che la linea di confine tra tentativo e consumazione in questi casi è netta: la violenza post-sottrazione segna il punto di non ritorno.
 
Quando si considera consumato il reato di rapina impropria?
Il reato di rapina impropria si considera consumato quando, dopo aver compiuto la sottrazione del bene, l’agente usa violenza o minaccia per assicurarsi il possesso della refurtiva o per garantirsi l’impunità. Non è necessario che riesca a conseguire un possesso stabile e autonomo del bene.
La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o sovrapporre la propria valutazione a quella dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.
Cosa succede se un ladro, dopo aver rubato, viene fermato dalla vigilanza e usa violenza per scappare?
Secondo la sentenza, in questo caso si configura il reato di rapina impropria consumata, e non solo tentata. La sottrazione si è già perfezionata al momento del furto, e la successiva violenza completa la fattispecie del reato consumato, a prescindere dal fatto che il ladro venga poi bloccato.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3935 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 3935  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME CUI 021NJGZ nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/03/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di RAGIONE_SOCIALE;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica della condotta n delitto di rapina impropria contestato, prospettando una diversa ricostruzione storica del fatto, non è consentito dalla legge, stante la preclusione per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260);
che il giudice di merito, con motivazione esente da illogicità manifesta, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini della dichiarazione di responsabilità e della sussistenza del reato (si veda, in particolare, pag. 5);
considerato che il secondo motivo di ricorso, con il quale si contesta la violazione di legge in relazione alla qualificazione del fatto come rapina impropria consumata in luogo di quella tentata, è manifestamente infondato, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai fini della consumazione del delitto di rapina impropria, non è necessario che l’agente abbia conseguito il possesso della cosa mobile altrui, essendo sufficiente che ne abbia semplicemente compiuto la sottrazione, rispetto alla cui sussistenza non assume rilievo in senso contrario il controllo del personale di vigilanza, siccome idoneo ad eventualmente impedire soltanto la successiva acquisizione di un’autonoma disponibilità della cosa stessa (Sez. 2, n. 15584 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 281117 – 01);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, in data 5 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
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