Rapina impropria: Quando si può dire consumata? La Cassazione fa chiarezza
La distinzione tra reato tentato e reato consumato è una delle questioni più delicate del diritto penale, con conseguenze significative sulla pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce su questo confine, specificamente in relazione alla rapina impropria. La Corte ha confermato che, per considerare il reato consumato, è sufficiente l’atto della sottrazione, anche se il reo non ha mai avuto la piena e autonoma disponibilità del bottino.
Il Caso: Dal furto alla contestazione in Appello
Due individui venivano condannati per rapina. Secondo la loro difesa, il reato non si era mai perfezionato, ma era rimasto allo stadio del tentativo. Il motivo? Subito dopo aver sottratto il denaro, non erano riusciti a conseguire una “autonoma ed esclusiva signoria” su di esso, verosimilmente a causa del pronto intervento del personale di vigilanza o delle forze dell’ordine. La loro tesi, già respinta dalla Corte d’Appello, è stata riproposta in Cassazione, sostenendo che senza un effettivo impossessamento, la rapina non potesse dirsi consumata.
La questione giuridica: Consumazione della rapina impropria
Il cuore del problema legale ruota attorno all’articolo 628 del codice penale, che definisce la rapina impropria come la condotta di chi, subito dopo la sottrazione di un bene, usa violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l’impunità. La domanda è: cosa serve per integrare la “sottrazione” che fa scattare la consumazione del reato?
La tesi difensiva: la mancata “signoria” sul bene
Gli imputati, nei loro ricorsi, hanno insistito sul concetto di impossessamento, mutuato dall’articolo 1140 del codice civile, sostenendo che finché non si ha un controllo pieno ed esclusivo sul bene, il furto (e di conseguenza la rapina) non è completo. La continua osservazione da parte del personale di vigilanza avrebbe impedito, a loro dire, il consolidarsi di tale potere di fatto sulla refurtiva.
Il principio di diritto della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, definendoli non specifici e meramente reiterativi di argomenti già valutati e respinti. I giudici hanno colto l’occasione per ribadire il loro consolidato orientamento in materia.
Le Motivazioni della Suprema Corte sulla rapina impropria
La Corte di Cassazione ha chiarito che, ai fini della consumazione della rapina impropria, il momento determinante è quello della sottrazione della cosa mobile altrui. Una volta che l’agente ha tolto il bene dalla sfera di controllo della vittima, il primo elemento del reato è perfezionato. La successiva violenza o minaccia finalizzata a mantenere il possesso o a guadagnare la fuga completa la fattispecie consumata.
Non è necessario, secondo la Corte, che l’agente consegua una disponibilità autonoma e pacifica del bene. Il controllo esercitato dal personale di vigilanza, che può impedire questo consolidamento del possesso, non è idoneo a far degradare il reato a semplice tentativo. Esso interviene in una fase successiva alla sottrazione, che è già avvenuta. Al contrario, si avrebbe tentativo solo se gli atti idonei alla sottrazione non fossero portati a compimento per cause indipendenti dalla volontà dell’agente e, in quel frangente, venisse usata la violenza.
Le Conclusioni: Implicazioni pratiche della sentenza
Questa ordinanza consolida un’interpretazione rigorosa del reato di rapina impropria. L’insegnamento per operatori e cittadini è chiaro: il reato si consuma molto presto, ovvero nel momento in cui il bene viene materialmente tolto alla vittima. La possibilità di essere scoperti o bloccati un istante dopo non cambia la qualificazione giuridica del fatto. Questa interpretazione ha lo scopo di tutelare il patrimonio e l’incolumità personale fin dal primo momento della condotta aggressiva, senza attendere che il reo si sia allontanato indisturbato con la refurtiva.
Per configurare la rapina impropria consumata, è necessario che il ladro ottenga il pieno controllo del bene rubato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, per la consumazione del reato è sufficiente che l’agente abbia compiuto la sottrazione del bene, non essendo necessario che ne consegua un’autonoma ed esclusiva disponibilità (impossessamento).
La presenza di un sistema di vigilanza che controlla il ladro impedisce la consumazione della rapina?
No. La Corte chiarisce che il controllo da parte del personale di vigilanza, anche se impedisce la successiva acquisizione di un’autonoma disponibilità del bene, non è sufficiente a declassare il reato a tentativo, poiché la sottrazione si è già perfezionata.
Qual è la differenza tra rapina impropria consumata e tentata secondo la Corte?
La rapina impropria è consumata quando l’agente, dopo aver completato la sottrazione del bene, usa violenza o minaccia. È tentata, invece, quando l’agente compie atti idonei alla sottrazione ma non la porta a termine per cause indipendenti dalla sua volontà, e in tale frangente usa violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 44207 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 44207 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECUI CODICE_FISCALE nato a ROMA il 20/04/1976
NOME COGNOME (CUI CODICE_FISCALE) nato a ROMA il
03/02/1982
avverso la sentenza del 03/04/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Letti i ricorsi di COGNOME NOME e NOME COGNOME NOME COGNOME;
letta altresì la memoria difensiva;
ritenuto che il primo motivo del ricorso di COGNOME – analogo alle doglianze oggetto del ricorso del COGNOME – poi reiterato con la memoria che deduce violazione di legge in ordine alla configurabilità del delitto di rapina nella sua forma consumata in luogo di quella tentata, non potendo ritenersi configurato l’elemento dell’impossessamento atteso che gli imputati non avevano conseguito alcuna autonoma ed esclusiva signoria sul denaro sottratto, è reiterativo perché fondato su argomenti che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame e, pertanto, non specifici;
ritenuto infatti che l’impugnata sentenza appare avere fatto applicazione del costante principio stabilito da questa corte di legittimità e secondo cui ai fini della consumazione del delitto di rapina impropria, non è necessario che l’agente abbia conseguito il possesso della cosa mobile altrui, essendo sufficiente che ne abbia semplicemente compiuto la sottrazione, rispetto alla cui sussistenza non assume rilievo in senso contrario il controllo del personale di vigilanza, siccome idoneo ad eventualmente impedire soltanto la successiva acquisizione di un’autonoma disponibilità della cosa stessa (Sez. 2, n. 15584 del 12/02/2021 Rv. 281117 – 01):
che viceversa è configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità (Sez. 2, n. 35134 del 25/03/2022 Rv. 283847 – 01);
che i giudici di merito con doppia valutazione conforme hanno fatto applicazione del suddetto principio senza incorrere in alcuna delle violazioni denunciate e che il riferimento contenuto nel ricorso e nella memoria ad una diversa nozione di impossessamento ricavabile dall’art. 1140 cod.civ. non trova riscontro nella normativa penalistica in tema di rapina impropria testualmente ricavabile dall’espresso riferimento contenuto nel terzo comma dell’art. 628 cod.pen. alla sottrazione del bene altrui quale elemento distintivo della fattispecie;
considerato che il giudizio sulla pena – oggetto del secondo motivo del ricorso di COGNOME NOME – è stato congruamente motivato in considerazione delle modalità del fatto, ove si consideri che per costante giurisprudenza non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; d’altra parte non è necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli
elementi di cui all’art. 133 cod. pen., essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che assumono eminente rilievo nel discrezionale giudizio complessivo;
che nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare, pag. 6 della sentenza impugnata);
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2024
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