Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26912 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26912 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di: COGNOME COGNOME nato a Palermo il 30/05/1966, COGNOME NOME, nato a Palermo il 28/07/1994, COGNOME Paolo, nato a Palermo il 15/03/1987, avverso la sentenza del 28/11/2024 della Corte di appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME per l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Palermo, limitatamente alle negate circostanze attenuanti generiche chieste con i motivi di appello proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME rigettarsi nel resto i ricorsi e dichiararsi l’irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità; uditi i difensori dei ricorrenti, avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME e NOME COGNOME (in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME, avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME che hanno insistito per l’annullamento della sentenza impugnata in riferimento alle posizioni dei rispettivi assistiti.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, ha integralmente confermato la decisione assunta dal G.u.p. del Tribunale del medesimo capoluogo il 13 marzo 2024, con la quale i ricorrenti, ritenuta la continuazione tra i distinti reati di concorso in rapina impropria aggravata e concorso in lesioni personali aggravate, erano riconosciuti responsabili dei reati ascritti in concorso e condannati alle pene, principali ed accessorie, ritenute di giustizia.
1.1. Avverso tale sentenza ricorrono separatamente gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi in appresso sintetizzati, secondo quanto dispone l’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
2. NOME COGNOME
2.1. Con il primo motivo di ricorso, la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, per carenza, con riferimento all’affermazione della responsabilità dell’imputato a titolo di concorso nel reato di rapina impropria descritta al capo 1 della imputazione, dovendo qualificarsi il fatto contestato come furto in abitazione (art. 624 bis cod. pen.) nella forma tentata, difettando la prova sia dell’impossessamento della refurtiva che della violenza alla persona funzionale a mantenere il possesso della cosa sottratta o a conseguire l’impunità. La stessa persona offesa aveva fornito due dissonanti versioni del fatto, parlando prima di due sole persone presenti in abitazione, che vistiti scoperti fuggivano dall’appartamento spintonandolo e poi di tre aggressori violenti. NOME avrebbe comunque svolto solo il ruolo di vedetta, fuggendo appena giunta in casa la persona offesa, senza poter quindi in alcun modo partecipare alla fase violenta della condotta. Rispetto al medesimo fatto commesso in concorso i concorrenti dovrebbero dunque rispondere di due differenti fattispecie di reato, due di concorso in rapina ed uno di concorso in furto in abitazione solo tentato. Sulla qualificazione solo tentata del fatto la difesa richiama i motivi di gravame.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al deficit probatorio, evidenziato con i motivi di gravame, del reato di lesioni personali aggravate.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce ancora violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alle negate circostanze attenuanti generiche, da riconoscersi in ragione della spontanea confessione del fatto, che non appariva affatto pacificamente dimostrato aliunde da indizi autonomi. Con lo stesso motivo, non accompagnato sul punto da argomenti di sorta, il ricorrente chiede l’annullamento della sentenza in tema di dosimetria della pena, dimensione
dell’aumento per la continuazione ed esclusione della riconosciuta recidiva qualificata.
3. NOME COGNOME
3.1. I motivi dedotti da NOME COGNOME sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli dedotti nell’interesse del Reina, sia in tema di qualificazione giuridica del fatto, che in tema di consumazione, essendosi la condotta arrestata al momento del tentativo, in assenza di sottrazione compiuta della res. Difetta in ogni caso la violenza alla persona, atteso che gli imputati si sono solo dovuti difendere dall’aggressione (compiuta brandendo un elmetto da motociclista) subita ad opera della persona offesa. Da ultimo, il difensore di COGNOME mostra di condividere le argomentazioni del collega di difesa anche in tema di rigetto delle circostanze attenuanti generiche, non avendo i giudici del merito valorizzato adeguatamente l’intervenuta spontanea confessione.
4. NOME COGNOME.
4.1. Il primo motivo proposto nell’interesse di COGNOME in tema di qualificazione giuridica del fatto (furto in abitazione tentato e non rapina impropria consumata) è perfettamente sovrapponibile a quello proposto per gli altri due ricorrenti.
4.2. Con il secondo motivo di contesta il riconoscimento della responsabilità per il delitto di lesioni personali aggravate in concorso in difetto di prova.
4.3. Con il terzo motivo si contesta il riconoscimento della recidiva e la sua concreta applicazione con effetti ingravescenti, in difetto dei presupposti normativi.
4.4. Con il quarto motivi si contesta ancora il negato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in misura prevalente sulla recidiva.
4.5. Con il quinto motivo, infine, si deducono la violazione di legge ed il vizio esiziale di motivazione in ordine alla dosimetria della sanzione applicata.
I ricorsi sono tutti inammissibili per la manifesta infondatezza in diritto dei motivi proposti (natura tentata e non consumata della sottrazione, qualificazione del fatto come furto in abitazione e non rapina impropria, rigetto delle circostanze attenuanti generiche evocate in ragione della spontanea confessione del fatto, naturalisticamente inteso), perché richiedono alla Corte una nuova valutazione del fatto e delle prove formatesi nel corso del giudizio abbreviato (apprezzamento della condotta in concorso e riunione degli agenti, prova della sottrazione, prova delle lesioni provocate e della loro funzione servente rispetto al mantenimento del possesso della res sottratta o della impunità) e per la natura meramente reiterativa di tutte le doglianze prospettate, già rigettate dal giudice dell’appello con
motivazioni congrue e diffuse, oltre che assolutamente logiche. Dal che discende – anche il difetto di specificità di tutti i motivi di ricorso.
5.1. Rispetto a quanto affermato in premessa (punto sub 5), deve qui precisarsi che correttamente la Corte ha confermato la qualificazione del fatto come rapina impropria consumata in ragione delle descritte modalità del fatto (violenza alla persona offesa funzionale a mantenere il possesso della res appena sottratta in abitazione ed a conseguire la fuga e l’impunità; sul punto v. Sez. 2, n. 11135, del 22/2/2017, Rv. 269858: Ai fini della configurazione della rapina impropria consumata è sufficiente che l’agente, dopo aver compiuto la sottrazione della cosa mobile altrui, adoperi violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della “res”, mentre non è necessario che ne consegua l’impossessamento, non costituendo quest’ultimo l’evento del reato ma un elemento che appartiene al dolo specifico; conf. Sez. 2, n. 46412, del 16/10/2014, Rv. 261021; Sez. U. n. 34952, del 19/4/2012, Rv. 253153). La Corte territoriale ha infatti evidenziato in motivazione (pag. 2 e ss. della sentenza impugnata) l’avvenuta sottrazione definitiva dei beni sottratti dall’abitazione dell’offeso. Rispetto a tale ricostruzione dei fatti, scevra da profili di illogicità e contraddittorietà, la difesa tenta di veicola una rivalutazione del compendio probatorio, inammissibile in sede di legittimità (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601).
5.2. Del pari quanto a prova delle lesioni personali aggravate patite dalla persona offesa, delle quali devono rispondere in concorso tutti gli attori della vicenda predatoria. Sul punto, il Collegio non può che ribadire il consolidato orientamento di questa Corte (espresso anche dalla massima espressione collegiale), che è ferma nel ritenere che l’espressa adesione (testimoniata dalla condotta provata nel merito) del concorrente a un’impresa criminosa, che prevede il furto in abitazione privata, implica il consenso preventivo all’uso della violenza alla persona. Consegue che ricorre un’ipotesi di concorso ordinario a norma dell’art. 110 cod. pen. e non quella di concorso cosiddetto anomalo, ai sensi del successivo art. 116, nell’aggressione consumata, persino in relazione all’effettivo verificarsi di qualsiasi evento lesivo del bene della vita e dell’incolumità individuale, oggetto dei già preventivati e prevedibili sviluppi (Sez. U., n. 337, del 18/12/2008, dep. 2009, Rv. 241574).
5.3. Quanto a dimensione sanzionatoria, riconoscimento dei presupposti per apprezzare la recidiva e negazione delle circostanze attenuanti generiche, la Corte argomenta diffusamente su ciascuno dei punti dedotti alle pagine 7, 9 e 10 della motivazione. Tanto in ragione delle modalità del fatto, quanto della accresciuta pericolosità degli agenti e della loro più accentuata colpevolezza, quanto infine della irrilevanza di una confessione “strategica” e “parziale”, avvenuta quando la prova
dei fatti ascritti in concorso a tutti gli imputati era già evidente. Trattasi, comunque, di apprezzamenti di merito, diffusamente argomentati dalla Corte di merito e,-
pertanto, insuscettibili di censure di sorta nella sede di legittimità.
6. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, le parti private che li hanno proposti devono essere
condannate al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186
del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro tremila per ciascuno dei ricorrenti.
6.1. La facile e pronta soluzione delle questioni poste con i motivi di ricorso e l’applicazione di principi di diritto consolidati nella giurisprudenza della Corte
consigliano la redazione della motivazione in forma semplificata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 20 giugno 2025.