Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11836 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11836 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a CATANIA COGNOME NOME nata il DATA_NASCITA a CATANIA avverso la sentenza in data 21/06/2022 della CORTE DI APPELLO DI CATA- visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
letta la nota dell’AVV_NOTAIO che, nell’interesse di COGNOME NOME, ha replicato alla requisitoria del Procuratore generale e ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
letta la nota dell’AVV_NOTAIO NOME che, quale sostituto processuale dell’AVV_NOTAIO COGNOME, nell’interesse di COGNOME NOME, ha replicato alla requisitoria del Procuratore generale e ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME e COGNOME NOME, per il tramite dei rispettivi difensori e con separati ricorsi, impugnano la sentenza in data 21/06/2022 della Corte di appello di Catania, che ha rideterminato il trattamento sanzionatorio loro inflitto per il reato di rapina aggravata con la sentenza in data 21/01/2014 del Tribunale di Catania.
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NOME;
Deducono:
COGNOME NOME.
1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Il ricorrente si duole della mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con il conferimento di una perizia medico legale, intesa a verificare la capacità dell’imputato di partecipare scientemente al processo ovvero la sua capacità di intendere e di volere al momento del fatto
1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al concorso nella rapina.
In questo caso il ricorrente sostiene che la Corte di appello ha erroneamente ritenuto che la condotta di sottrazione compiuta dal COGNOME fosse concorrente con la condotta minatoria realizzata dalla COGNOME, mentre dal carteggio processuale emergeva che quello non aveva realizzato alcuna condotta aggressiva e, anzi, aveva desistito dall’azione criminosa e non poteva prevedere la condotta della COGNOME.
Aggiunge che le condotte dei due imputati dovevano considerarsi ontologicamente inconciliabili.
1.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 56 cod. pen..
Con il terzo motivo d’impugnazione, il ricorrente sostiene che il fatto andava più correttamente ricondotto nell’alveo della desistenza, in quanto COGNOME, al sopraggiungere delle Forze dell’ordine, restituiva spontaneamente i tondini sottratti, pur potendo portare a compimento l’azione delittuosa, anche sfruttando la condotta minatoria della moglie.
Aggiunge che, comunque, la condotta si è fermata al livello del tentativo, mancando gli elementi della materiale apprensione dei beni e del conseguimento di un profitto ingiusto, poiché i beni sono rimasti nella sfera di protezione e controllo della persona offesa.
1.4. Violazione di legge in relazione all’art. 61, comma primo, n. 4, cod. pen..
A tale riguardo il ricorrente sostiene che il valore irrisorio di tre tondini di fer usati e usurati oltre che restituiti potevano configurare l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità.
1.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 442 cod. pen. per il rigetto della richiesta di celebrazione del processo con le forme del rito abbreviato.
Con l’ultimo motivo si duole della genericità della motivazione spesa dalla Corte di appello per escludere la riduzione di pena di cui all’art. 442 cod. proc. pen. che, invece, si assume dovuta in ragione dell’illegittimità del rigetto a opera del G.u.p. della richiesta di giudizio abbreviato condizionato all’escussione della persona offesa.
COGNOME NOME.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla partecipazione di COGNOME alla sottrazione dei beni.
Con il primo motivo la ricorrente sostiene che la Corte di appello ha erroneamente ritenuto che la condotta minatoria realizzata dalla COGNOME fosse concorrente con la condotta di sottrazione compiuta dal COGNOME, mentre dal carteggio processuale emergeva che quello non aveva concorso alla sottrazione, tanto che il COGNOME aveva desistito dall’azione criminosa.
Aggiunge che le condotte dei due imputati dovevano considerarsi ontologicamente inconciliabili.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla contestazione del reato di rapina impropria.
A tale riguardo la ricorrente sostiene che manca l’elemento costitutivo dell’ingiusto profitto, con pari danno della persona offesa, in ragione dell’irrisorio valore economico dei tondini, peraltro restituiti alla persona offesa.
Si aggiunge che la COGNOME non ha partecipato alla condotta di sottrazione e la sua minaccia indirizzata alla persona offesa era finalizzata a garantirsi la fuga.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 56 cod. pen..
Con il terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente -pur tenendo fermi i precedenti motivi di ricorso- sostiene che il fatto andava più correttamente ricondotto nell’alveo della desistenza, in quanto il COGNOME, al sopraggiungere delle Forze dell’ordine, restituiva spontaneamente i tondini sottratti, pur potendo portare a compimento l’azione delittuosa, anche sfruttando la condotta minatoria della COGNOME.
Aggiunge che, comunque, la condotta si è fermata al livello del tentativo, mancando gli elementi della materiale apprensione dei beni e del conseguimento di un profitto ingiusto, poiché i beni sono rimasti nella sfera di protezione e controllo della persona offesa.
2.4. Violazione di legge in relazione all’art. 61, comma primo, n. 4, cod. pen..
A tale riguardo il ricorrente sostiene che il valore irrisorio di tre tondini di ferr usati e usurati oltre che restituiti potevano configurare l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità.
2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 442 cod. pen. per il rigetto della richiesta di celebrazione del processo con le forme del rito abbreviato.
Con l’ultimo motivo si duole della genericità della motivazione spesa dalla Corte di appello per escludere la riduzione di pena di cui all’art. 442 cod. proc. pen. che, invece, si assume dovuta in ragione dell’illegittimità del rigetto a opera del G.u.p. della richiesta di giudizio abbreviato condizionato all’escussione della persona offesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME NOME è inammissibile.
1.1. Con il primo motivo di ricorso l’imputato si duole della mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con il conferimento di una perizia medico legale, intesa a verificare la capacità dell’imputato di partecipare scientemente al processo ovvero la sua capacità di intendere e di volere al momento del fatto.
La Corte di appello ha disatteso l’istanza osservando che la riforma del servizio militare non era significativa in ragione della sua inattualità; che la documentazione versata in atti non evidenziava alcuna patologia; che neanche risultava significativa il tentativo di fuga attuato mediante un salto dal muro del carcere, più correttamente riconducibile a un tentativo di fuga.
Ciò premesso, va ribadito che «l’art.603, I comma, cod. proc. pen., stabilendo che il giudice di appello, allorché una parte lo richieda, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale solo se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, intende fare riferimento a tutta l’istruzione dibattimentale che può essere assunta in primo grado. Ne consegue che la rinnovazione dell’istruttoria in appello comprende tutte le prove previste dal libro III dello stesso codice ovvero tutti i fatti che possono essere oggetto di prova ai sensi dell’art.187 cod.proc.pen.ivi compresa la perizia volta ad accertare la capacità di intendere e di volere dell’imputato o altre condizioni di imputabilità: prove che, pertanto, il giudice di appello deve ammettere eccezionalmente solo quando non si ritiene in grado di decidere allo stato degli atti. Peraltro, il rigetto della relativa richiesta di parte, congruamente e logicamente motivato dal giudice di appello, è incensurabile in cassazione, trattandosi di giudizio di fatto», (Sez. 3, Sentenza n. 4646 del 25/02/1999, COGNOME, Rv. 213086 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 13048 del 20/06/2000, COGNOME, Rv. 217881 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 13450 del 28/09/2000, COGNOME, Rv. 217628 – 01; più di recente, non massimata, Sez. 1, Sentenza n. 777 del 28/09/2022, Trancina).
In applicazione di tale principio -e mancando rilievi di illogicità e/o di contraddittorietà nella valutazione della Corte di appello- va rilevata l’inammissibilità del motivo perché la sentenza risulta incensurabile sul punto.
1.2. Il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso si risolvono in valutazioni di fatto non scrutinabili in sede di legittimità e sono -perciò- inammissibili, giacché intese al riconoscimento di una ricostruzione fattuale alternativa a quella operata dai giudici di merito, quanto alla sussistenza della minaccia (secondo motivo) al tentativo e alla desistenza (terzo motivo) e alla configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 61 comma primo, 4 cod. pen. (quarto motivo).
1.2.1. Tutti temi ampiamente e correttamente affrontati e risolti dalla Corte di appello alle pagine 4, 5 e 6, dove -tra l’altro- sotto il profilo del concorso, sottoline che la difesa parcellizza le condotte dei due coimputati, attribuendo la minaccia all’una e la sottrazione all’altro, là dove, invece, l’azione deve essere intesa in senso
corale e coordinata, così che la minaccia e la sottrazione sono ritenute espressione della comune condotta delittuosa, correttamente valutata unitariamente.
1.2.2. Alla luce di ciò, peraltro, sotto il profilo della riconducibilità della rapi impropria alla forma consumata o a quella tentata, la motivazione è conforme ai principi fissati da questa Corte, a mente dei quali «il delitto di rapina impropria è consumato quando l’avente diritto ha perduto il proprio controllo sulla cosa, e non è più in grado di recuperare la stessa autonomamente e l’agente, immediatamente dopo la sottrazione, adopera la violenza o la minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso del bene sottratto o per procurare, a sé o ad altri l’impunità; è, invece, tentato quando l’avente diritto mantiene costantemente il controllo sulla “res” in modo da essere in grado di riprenderla autonomamente con sé e l’agente, immediatamente dopo aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a realizzare la sottrazione, adopera violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l’impunità. (Fattispecie in cui la Corte ha qualificato in termini di rapina impropria tentata e non consumata, la condotta dell’imputato che, dopo aver prelevato merce dagli scaffali di un supermercato e rimosso le placche antitaccheggio, era stato sorpreso dal personale di vigilanza prima di varcare la barriera delle casse, ed aveva consegnato allo stesso i beni appresi, per poi darsi alla fuga ed usare violenza nei confronti degli inseguitori una volta raggiunto, al fine di non essere identificato)», (Sez. 2, Sentenza n. 46412 del 16/10/2014, Ruggiero, Rv. 261021 – 01).
1.2.3. Va aggiunto che i ricorrenti sostengono di avere desistito dall’azione delittuosa restituendo i tondini di ferro sottratti alla persona offesa nel momento in cui questi li sorprendeva nel compimento dell’azione furtiva.
L’assunto difensivo, oltre a non trovare riscontro in atti -da dove emerge che i tondini, dopo le minacce, venivano portati dai due coimputati presso la propria abitazione, dove venivano sequestrati- non sarebbe comunque utile a far ritenere una desistenza, ove si consideri che «in tema di desistenza dal delitto e di recesso attivo, la decisione, rispettivamente, di interrompere l’azione criminosa o di porre in essere una diversa condotta finalizzata a scongiurare l’evento deve essere il frutto di una scelta volontaria dell’agente, non riconducibile ad una causa indipendente dalla sua volontà o necessitata da fattori esterni», (Sez. 3 – , Sentenza n. 17518 del 28/11/2018 Ud., dep. il 2019, T., Rv. 275647 – 01).
Tale volontarietà non può ravvisarsi nel caso in esame, dove la “desistenza” sarebbe stata provocata dal sopravvenire dalla persona offesa, che con il proprio furgone impediva il passaggio ai due coimputati. Impedimento che veniva superato con la condotta minacciosa di cui all’imputazione, che consentiva ai coimputati di allontanarsi con i tondini precedentemente sottratti, così realizzando entrambe le ipotesi conducenti alla rapina impropria, avendo fatto ricorso alla minaccia sia per procurarsi l’impunità, sia per consolidare il possesso dei beni precedentemente
sottratti.
1.3. La sentenza impugnata, infine, ha correttamente rilevato l’aspecificità del motivo relativo al rigetto dell’istanza di accesso al rito abbreviato condizionato all’escussione della persona offesa.
Il motivo, invero, si risolve in un’indimostrata asserzione secondo cui l’escussione della persona offesa avrebbe accelerato i tempi della celebrazione del processo, non spiegandosi come tale atto processuale potesse considerarsi più rapido e processualmente più economico della mera acquisizione dei verbali di sommarie informazioni testimoniali rese dalla persona offesa.
Il motivo, dunque, non contiene reali censure alla sentenza impugnata, così che non assurge al rango di un motivo scrutinabile in sede di legittimità.
Il ricorso di COGNOME è sostanzialmente sovrapponibile a quello di COGNOME nei punti affrontati ai paragrafi 1.2., 1.2.1., 1.2.2., 1.2.3. e 1.3., alla cui lettura si rima
Al loro riguardo va, dunque, osservato che i motivi d’impugnazione sono spesso privi di correlazione con la sentenza impugnata, sono reiterativi dei medesimi argomenti proposti con l’atto di appello, affrontati e risolti dalla Corte di appello, oltr che relativi a profili di merito, insindacabili in sede di legittimità.
I precedenti rilievi fanno emergere l’aspecificità del ricorso, che si configura non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268823; Sez. 2, Sentenza n. 11951 del 29/01/2014 Rv. 259425, Lavorato; Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, COGNOME, Rv. 237596).
Va ulteriormente rimarcato come tutti i motivi dei ricorsi proposti da COGNOME e COGNOME (fatta eccezione per il primo motivo del ricorso proposto da COGNOME) si risolvano in una analisi delle risultanze probatorie alternativa a quella operata dai giudici di merito nella doppia sentenza conforme, senza che -di fatto- siano dedotte censure accessibili al giudizio di legittimità.
Da ciò discende l’ulteriore causa di inammissibilità del ricorso, dovendosi ribadire che, sono inammissibili tutte le doglianze che -come nel caso in esame”attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, del credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2 – ,
Sentenza n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 5730 del 20/09/2019 ud-, dep. 13/02/2020, COGNOME e altro, non massimata; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 12/12/2023
Il Consigliere est.
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