Rapina impropria: quando il reato è consumato e non solo tentato
La distinzione tra reato tentato e reato consumato è uno dei temi più dibattuti nel diritto penale, specialmente in relazione a delitti complessi come la rapina impropria. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione torna a fare chiarezza sul momento esatto in cui questo reato si perfeziona, stabilendo che la sottrazione seguita immediatamente dalla violenza integra il delitto consumato, anche se l’intervento della vigilanza avviene poco dopo. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.
I Fatti del Caso
Due persone venivano condannate dalla Corte d’Appello di Roma per il reato di rapina impropria. Secondo la ricostruzione, dopo essersi impossessati di alcune borse all’interno di un esercizio commerciale, utilizzavano violenza per assicurarsi il possesso della refurtiva e la fuga. I due imputati decidevano quindi di presentare ricorso per Cassazione, contestando la qualificazione giuridica del fatto.
Il Ricorso e i Motivi degli Imputati
Il ricorso si basava essenzialmente su due motivi, entrambi volti a ottenere una mitigazione della pena.
Il Primo Motivo sulla rapina impropria: Tentativo o Consumazione?
I ricorrenti sostenevano che il reato dovesse essere qualificato come tentata rapina impropria e non consumata. A loro dire, la condotta sottrattiva non si era perfezionata, poiché il controllo da parte dell’addetto alla vigilanza era avvenuto immediatamente dopo l’impossessamento dei beni. Secondo questa tesi, non avendo mai avuto il pieno e pacifico possesso della merce, il reato non poteva considerarsi giunto a consumazione.
Il Secondo Motivo: L’Applicazione della Nuova Normativa
In secondo luogo, i difensori lamentavano la mancata applicazione dell’articolo 628 del codice penale, così come riformato da una recente sentenza della Corte Costituzionale. Tale doglianza, tuttavia, non era stata presentata nel precedente grado di giudizio, trattandosi di una questione nuova sollevata per la prima volta dinanzi alla Suprema Corte.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. La pronuncia si articola su due punti fondamentali.
In primo luogo, i giudici hanno qualificato il primo motivo come meramente reiterativo di argomentazioni già esaminate e respinte nel merito. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la rapina impropria è consumata quando l’agente, immediatamente dopo la sottrazione, usa violenza o minaccia per assicurarsi il possesso del bene o per procurarsi l’impunità. Il delitto si perfeziona nel momento in cui l’avente diritto perde il controllo sulla cosa, e l’agente agisce con violenza per mantenerlo. L’intervento della vigilanza, avvenuto dopo l’impossessamento, non è sufficiente a degradare il fatto a un semplice tentativo, poiché la condotta sottrattiva si era già conclusa.
In secondo luogo, la Corte ha dichiarato inammissibile anche il secondo motivo per la violazione del principio della “catena devolutiva”. Non essendo stata sollevata in appello, la questione relativa alla riforma dell’art. 628 c.p. non poteva essere introdotta per la prima volta in sede di legittimità. Inoltre, i giudici hanno sottolineato che la Corte d’Appello aveva già motivato sulla gravità del fatto, descrivendo elementi concreti che rendevano la condotta incompatibile con una qualsiasi ulteriore riduzione di pena, anche alla luce delle nuove disposizioni.
Le Conclusioni
La decisione della Cassazione rafforza un orientamento giurisprudenziale consolidato, offrendo un’importante lezione pratica. La linea di demarcazione tra tentativo e consumazione nella rapina impropria non dipende dal consolidamento di un possesso pacifico e duraturo della refurtiva, ma dal compimento della sequenza “sottrazione + violenza/minaccia immediata”. Una volta che questa sequenza si realizza, il reato è perfetto, e l’eventuale successivo recupero della merce o l’intervento delle forze dell’ordine non può modificarne la qualificazione giuridica. Questa ordinanza serve inoltre a ricordare l’importanza di articolare tutte le doglianze nei gradi di merito, poiché il giudizio di Cassazione non consente di introdurre censure nuove, salvo casi eccezionali.
Quando si considera consumato il reato di rapina impropria?
Il reato di rapina impropria si considera consumato quando l’agente, immediatamente dopo la sottrazione di un bene, usa violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa o per garantirsi l’impunità. È sufficiente che il legittimo proprietario abbia perso il controllo sulla cosa.
L’intervento della vigilanza subito dopo la sottrazione rende il reato un semplice tentativo?
No. Secondo la Corte, se la sottrazione si è già perfezionata, l’intervento successivo dell’addetto alla vigilanza non degrada il reato a tentativo. Il delitto è già consumato nel momento in cui alla sottrazione segue la violenza o la minaccia.
È possibile presentare in Cassazione un motivo di ricorso non discusso in appello?
Generalmente no. La Corte ha dichiarato inammissibile il motivo relativo a una nuova normativa costituzionale perché non era stato precedentemente devoluto alla Corte d’Appello, interrompendo così la cosiddetta “catena devolutiva” che limita l’oggetto del giudizio di legittimità alle questioni già trattate nei gradi di merito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36855 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36855 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/12/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi presentati nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME;
ritenuto che il primo motivo di entrambi i ricorsi (con contenuto del tutto sovrapponibile), che deduce il vizio di violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 110, 628, comma secondo e comma terzo, cod. pen. in luogo della diversa qualificazione ai sensi degli artt. 110, 56, 628, commi secondo e terzo cod. pen., non è consentito perché fondato su motivi meramente reiterativi, già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito (si veda pag. 3 della sentenza impugnata ove si esclude il tentativo giacché la condotta sottrattiva si era perfezionata prima del controllo dell’addetto alla vigilanza, intervenuto solo in seguito all’attività di impossessamento delle borse) (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01);
che tale motivo è altresì manifestamente infondato perché prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il delitto di rapina impropria è consumato quando l’avente diritto ha perduto il proprio controllo sulla cosa e non è più in grado di recuperare la stessa autonomamente e l’agente, immediatamente dopo la sottrazione, adopera la violenza o la minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso del bene sottratto o per procurare, a sé o ad altri l’impunità (Sez. 2, n. 35134 del 25/03/2022, COGNOME, Rv. 283847-01; Sez. 2, n. 46412 del 16/10/2014, COGNOME, Rv. 261021-01);
ritenuto che il secondo motivo di entrambi i ricorsi (sovrapponibile nel loro contenuto), con il quale si deduce il vizio di violazione di legge per omessa applicazione dell’art. 628 cod. pen. come riformato dalla sentenza della Corte cost. n. 86/2024, non è consentito atteso che la relativa censura non è stata devoluta in sede di appello con specifici motivi e conclusioni scritte (attesa la data di decisione, successiva alla sentenza della Corte costituzionale evocata) e la Corte di appello ha comunque esplicitamente motivato (si vedano pag. 3-4 della sentenza impugnata, ove il giudice rileva la gravità del fatto, punito con il minimo edittale non suscettibile di riduzione alcuna) descrivendo elementi di fatto del tutto incompatibili con la censura proposta solo in questa sede, con interruzione della catena devolutiva sul punto (Sez. 3, n. 2343 del 28/09/2018 Ud., dep. 18/01/2019, Di Fenza, Rv. 274346);
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il giorno 10 ottobre 2025.