Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9939 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9939 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ALLETTO NOME
NOMENOME> nato a GELA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/05/2023 della CORTE DI APPELLO DI TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni del difensore AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 29 maggio 2023 la Corte di appello di Torino confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Vercelli, ad esito del giudizio ordinario, aveva condannato NOME COGNOME alla pena di quattro anni di reclusione e mille euro di multa per il reato di rapina impropria in concorso.
GR
Secondo la tesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato, unitamente a NOME COGNOME (non ricorrente) e a NOME COGNOME (separatamente giudicato), aveva sottratto della merce da un supermercato e si era allontanato senza pagare; i tre erano stati successivamente raggiunti da uno dei proprietari, il quale, dopo essere stato minacciato da NOME COGNOME, si era spostato per non essere investito dall’autovettura a bordo della quale i tre erano fuggiti.
Ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza in ragione dei seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge (artt. 421-bis e 422 cod. proc. pen.) e mancanza di motivazione in ordine alle ragioni per le quali si è ritenuta legittima la scelta del G.u.p. di non acquisire le immagini delle telecamere di sorveglianza poste all’esterno dell’esercizio commerciale.
2.2. Violazione di legge (art. 603 cod. proc. pen.) e illogicità della motivazione per l’omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello con l’acquisizione delle suddette immagini, che avrebbero fugato ogni dubbio sulla esatta qualificazione giuridica dei fatti posti in essere dal ricorrente.
2.3. Violazione di legge (art. 628, secondo comma, cod. pen.) in relazione alla qualificazione giuridica del fatto, in quanto NOME, ripartito alla guida dell’autovettura con una reazione istintiva e imprevedibile, non aveva posto in essere una condotta connotata da violenza contro la persona.
2.4. Violazione di legge (art. 110 cod. pen.) e illogicità della motivazione in ordine al concorso morale di NOME, in assenza della prova di un contributo psicologico che avesse rafforzato la presunta intenzione di NOME di investire NOME COGNOME.
2.5. Violazione di legge (art. 114 e 116 cod. pen.) e illogicità della motivazione in relazione al mancato ingiustificato riconoscimento delle circostanze attenuanti del concorso anomalo e di minima importanza nella commissione del reato.
2.6. Violazione di legge (art. 133 cod. pen.) in ordine alla eccessività della pena e alla mancata esclusione della recidiva.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito nella legge 10 agosto 2023, n. 112), in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di
41R
discussione orale, nei termini ivi previsti; il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate, alle quali ha replicato la difesa, riprendendo le argomentazioni svolte nel motivo di ricorso, del quale ha chiesto l’accoglimento.
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi generici o manifestamente infondati.
5. Tutti i motivi, a parte l’ultimo, sono generici perché obliterano un punto centrale della motivazione con la quale i giudici di merito hanno qualificato il fatto come rapina impropria, ritenendo la condotta dei tre responsabili connotata non solo da violenza (per il tentativo di investimento) ma prima ancora da minaccia, come espressamente contestato in imputazione, avuto riguardo alle frasi rivolte “con fare minatorio” proprio da NOME COGNOME a uno dei proprietari dell’esercizio che aveva raggiunto i tre mentre stavano caricando sul veicolo la merce sottratta.
Indipendentemente dalla successiva condotta, è chiaro che la sola minaccia – secondo la conforme valutazione dei giudici di merito – fu una condotta già idonea a far trasmodare il furto in rapina impropria.
Il Tribunale ha ritenuto che fosse stata raggiunta la prova anche “della condotta intimidatoria tenuta da NOME” (pag. 5) e la Corte d’appello, nel disattendere i motivi di gravame che ponevano in dubbio la ricostruzione del fatto, ha evidenziato “la condotta intimidatoria tenuta dall’COGNOME“, che intimò a NOME COGNOME di far rientro, insultandolo, “in insanabile contrasto con l’inverosimile versione dell’COGNOME“, secondo il quale egli si era rivolto all’altr “con estrema pacatezza”, ricostruzione smentita anche da quanto dichiarato da un teste della difesa e da NOME COGNOME, il quale, peraltro, vide anche che il fratello era davanti all’autovettura quando la stessa partì repentinamente.
La genericità del ricorso sul punto priva di rilevanza i primi cinque motivi, tutti incentrati sulla sola azione violenta consistita nel tentato investimento con il veicolo, essendo anche evidente che – a prescindere da ogni altra considerazione – l’acquisizione di immagini delle telecamere in ipotesi poste sul luogo del fatto non avrebbe potuto avere alcuna utilità rispetto al tenore intimidatorio delle frasi rivolte da COGNOME a NOME COGNOME.
Immune da ogni violazione di legge e vizio motivazionale, pertanto, è la motivazione con la quale il giudice di appello ha confermato la responsabilità del ricorrente per il reato di rapina impropria in concorso, per il quale sono già stati condannati in via definitiva i due originari coimputati.
6. È privo di ogni fondamento il motivo in tema di recidiva e determinazione della pena.
In tema di recidiva, alla luce di numerose pronunce della Corte costituzionale, chiamata a verificare la compatibilità della nuova disciplina con vari principi della Carta fondamentale (sent. n. 192 del 14/06/2007, cui hanno fatto seguito molte ordinanze d’inammissibilità di analogo tenore: n. 409 del 2007, nn. 33, 90, 193 e 257 del 2008, n. 171 del 2009), le Sezioni Unite della Corte di cassazione, in una ormai risalente pronuncia, hanno statuito che il giudice, in presenza di una corretta contestazione della recidiva, è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, dovendosi tenere conto, in particolare, «della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza» (Sez. U, n. 35738 del 27/5/2010, COGNOME, Rv. 247839; in senso conforme, non massimate sul punto, v. anche Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, COGNOME, Rv. 249664; Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, COGNOME, Rv. 267044; Sez. U, n. 3585 del 24/09/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280262; Sez. U, n. 42414 del 29/04/2021, COGNOME, Rv. 282096).
Nel caso in esame la Corte di appello, con motivazione immune da vizi, ha ritenuto che il nuovo reato sia stato espressivo di maggiore pericolosità e colpevolezza dell’imputato in ragione delle modalità del fatto e della presenza di precedenti penali specifici e recenti, elementi fondamentali fra quelli indicati nella sentenza COGNOME.
La pena, poi, considerato il riconoscimento delle attenuanti generiche ritenute equivalenti all’aggravante ex art. 628, terzo comma, n. 1 cod. pen. e alla recidiva reiterata, è stata determinata nel minimo edittale quanto alla pena detentiva e in misura assai prossima al minimo quanto alla pena pecuniaria, dato anch’esso obliterato dal ricorrente.
All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16/02/2024.