Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 5850 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 5850 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME nata il 15/03/1982 in Ucraina
NOME COGNOME nato il 11/02/1988 in Moldavia
entrambi rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza del 09/11/2023 della Corte di appello di Venezia, prima sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif., depositata in data 11/11/2024 con la quale il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni scritte depositate in data 27/11/2024 dal difensore dei ricorrenti, avv. NOME COGNOME che ha chiesto, in principalità, l’accoglimento del ricorso e in subordine declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Venezia ha confermato la pronuncia del Giudice per l’udienza preliminare di Padova emessa in data 10/07/2018, all’esito di giudizio abbreviato, che aveva dichiarato NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili, in concorso tra loro e con NOME COGNOMEseparatamente giudicata), del delitto di tentata rapina impropria commesso presso l’esercizio commerciale Coin il giorno 30/07/2016 e li aveva condannati previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della diminuente di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. stimate equivalenti alla recidiva come rispettivamente contestata – alla pena di un anno due mesi di reclusione ed euro 600,00 di multa ciascuno.
Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, tramite il difensore di fiducia, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606 lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione sotto il triplice profilo della mancanz contraddittorietà, ed illogicità della stessa e il travisamento di prova decisiva.
La Corte di appello ha affermato la responsabilità degli imputati per il delitto di tentata rapina impropria ritenendo provata l’uso di violenza fisica in danno di COGNOME NOME, direttore dell’esercizio commerciale Coin, e del commesso COGNOME NOME, messa in atto immediatamente dopo avere compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di articoli di profumeria e al fine di procurarsi l’impunità.
Rileva la difesa ricorrente che difetta la prova di tale condotta violenta in capo a Potlog atteso che l’unica testimonianza sul punto è quella resa dal direttore COGNOME il quale, nelle sommarie informazioni rese in data 05/08/2016, ha riferito di uno spintonamento nei suoi confronti ad opera del solo COGNOME.
Nella sentenza impugnata si fa richiamo anche al portato dichiarativo dell’addetto alla sicurezza COGNOME che, tuttavia, non era presente ai fatti e che nelle sommarie informazioni rese alla Polizia giudiziaria ha riferito esclusivamente de relato (e cioè quanto appreso dal direttore COGNOME) parlando, tra l’altro, di uno spintonamento da parte di una delle due donne fermate, senza indicare se si fosse trattato della COGNOME ovvero della coimputata.
Neppure vi è prova che la condotta violenta serbata dall’imputato fosse finalizzata alla fuga, sicchè, al più, nella specie, si configura il tentativo di furto il reato di percosse. Il direttore COGNOME ha infatti spiegato come nessuno dei tre soggetti fermati era fuggito dal suo ufficio (affollato di persone) ove erano stati condotti dall’addetto alla sicurezza che li aveva fermati al piano terra dell’esercizio (luogo ove avrebbero potuto ben più facilmente scappare); dal canto suo COGNOME ha spiegato che la condotta violenta era stata solo una reazione alla indebita perquisizione personale attuata senza attendere l’arrivo delle forze dell’ordine.
Il compendio probatorio presenta anche una grave lacuna rappresentata dalla mancata audizione in corso di indagini del commesso NOME COGNOME testimone oculare dei fatti e quindi in grado di fare chiarezza in ordine alle condotte singolarmente serbate dai due imputati e dalla donna che era in loro compagnia.
2.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606 lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione sotto il triplice profilo della mancanz contraddittorietà, ed illogicità della stessa in punto di trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello ha omesso di dare risposta alle doglianze contenute nell’atto di appello ove si censurava l’eccessività della sanzione inflitta dal giudice di primo grado, l’omesso riconoscimento della attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 cod. pen., la mancata prevalenza delle concesse circostanze attenuanti sulla ritenuta recidiva e la riduzione della pena per il tentativo in misura inferiore a quella massima.
Nella sentenza impugnata si afferma che gli imputati non hanno messo in atto alcuna condotta riparatoria, ma tale assunto è smentito dall’ iniziativa risarcitoria (corresponsione di 1.250,00 euro alla Coin s.p.a.); non risultano chiarite le ragioni per le quali è stata esclusa la diminuente del danno lieve da valutarsi non in relazione al mero valore intrinseco dei beni (peraltro interamente recuperati dall’esercizio commerciale) ma con riferimento al complessivo pregiudizio economico subito dalla persona offesa che nella specie si identifica nel colosso commerciale Coin; non è stato neppure considerato il carattere scarsamente offensivo della condotta violenta (una lieve spinta attuata solo dall’imputato COGNOME).
Da ultimo, nel ricorso si richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 141 del 21/06/2023 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quart
comma, cod. pen. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 62, numero 4, cod. pen. sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, sicchè l’assenza di un valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di pronunciarsi sulla prescrizione del reato che, nelle conclusioni scritte depositate per l’odierna udienza, la difesa dei ricorrenti assume essere maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266; Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, COGNOME, Rv. 219531; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231164; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818).
Generico è il primo motivo di ricorso con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 606 lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione sotto il triplice profilo d mancanza, contraddittorietà, ed illogicità della stessa e il travisamento di prova decisiva.
2.1. Ciascuno dei tre tassativi vizi indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod proc. pen., è dotato di peculiare oggetto e struttura, sicché la deduzione alternativa degli stessi, invece assolutamente differenti, già di per sé, è indice di genericità del proposto motivo (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027, in motivazione).
2.2. Con riferimento al dedotto travisamento di prova decisiva, all’atto di impugnazione non è allegato il verbale delle sommarie informazioni rese alla polizia giudiziaria da NOME COGNOME e da NOME COGNOME ed asseritamente travisate dal giudice di appello: la circostanza costituisce palese violazione del principio dell’autosufficienza del ricorso ed impedisce alla Corte di procedere alla verifica della fondatezza di quanto dedotto (cfr., Sez. 2, n. 20667 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 265053; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, COGNOME, Rv. 260994).
2.3. In ogni caso, le doglianze proposte sono, nella sostanza, la riproduzione delle censure dedotte nell’atto di appello, già ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale, e quindi dirette a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali con valutazione alternativa delle fonti di prova, non proponibile nel giudizio di legittimità.
2.4. Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come la Corte territoriale (pagine 9 e 10 della sentenza impugnata):
-abbia esaminato le deduzioni difensive in punto di giudizio di responsabilità concernenti l’assenza di condotta violenta da parte dell’imputata COGNOME e la circostanza che la finalità dello spintonamento messo in atto da COGNOME non era quella di procurarsi l’impunità, bensì di opporsi ad una indebita attività di perquisizione effettuata prima dell’arrivo delle Forze dell’Ordine;
-abbia valorizzato la testimonianza del direttore dell’esercizio commerciale NOME COGNOME (rispetto alla quale i ricorrenti non si confrontano in modo compiuto) che aveva dichiarato come, invece, i tre soggetti fermati (e quindi anche la Potlog) avevano ciascuno esercitato energia fisica consistita in spintonannenti nei confronti suoi ma anche delle persone presenti nel suo ufficio, tra le quali il dipendente NOME COGNOME e ciò avevano fatto allo scopo di allontanarsi da tale locale prima dell’arrivo delle forze dell’ordine il cui intervento era stato chiesto: tale porta dichiarativo, in quanto attendibile, è stato ritenuto dalla Corte territoria sufficiente ed esaustivo (così da rendere superflua l’audizione del dipendente COGNOME), ai fini della prova della sussistenza e della concreta finalizzazione della condotta violenta contestata agli imputati e quindi della qualificazione del fatto in termini di tentata rapina impropria, non essendo necessario stabilire quali e quanti tra i presenti in ufficio fossero stati in concreto attinti dalla vis di Cebortari e quali e quanti, invece, vittime di spintonamento da parte di Potlog.
La consumazione di una condotta violenta da parte di entrambi i ricorrenti e la finalizzazione della stessa a conseguire l’impunità dopo avere compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco alla sottrazione di articoli di profumeria è stata quindi accertata dal giudice di appello in aderenza ad un preciso dato probatorio presente in atti e ritenuto idoneo a smentire la differente versione resa dall’imputato COGNOME
Il giudizio espresso è pertanto immune da vizi motivazionali.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso concernente il trattamento sanzionatorio.
La Corte territoriale ha motivatamente risposto (pagg. da 16 a 18) in modo tutt’altro che illogico alle doglianze contenute nell’atto di appello con le quali er censurata l’eccessività della pena inflitta dal giudice di primo grado, anche con riferimento alla riduzione operata per il tentativo in misura inferiore a quella massima, l’omesso riconoscimento della attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 cod. pen. e la mancata prevalenza delle concesse circostanze attenuanti sulla ritenuta recidiva.
I giudici di secondo grado hanno escluso la diminuente del danno lieve in ragione del valore intrinseco, tutt’altro che irrisorio, dei beni che gli imputa intendevano sottrarre (essendo irrilevanti sia l’avvenuto recupero degli stessi che
l’azione risarcitoria che già aveva valso la concessione della attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen.) e della circostanza che la violenza era stata esercitata nei confronti di più persone, così formulando un giudizio fattuale ancorato ad elementi concreti non sindacabile in questa sede e in linea con il consolidato orientamento di legittimità secondo cui la configurabilità dell’attenuante in questione in relazione al delitto di rapina non postula il solo modestissimo valore del bene mobile sottratto o da sottrarre, essendo necessario valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro cui la violenza o la minaccia sono state esercitate, attesa la natura plurioffensiva del delitto, lesivo non solo del patrimonio, ma anche della libertà e dell’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto (cfr., Sez. 2 n. 28269 del 31/05/2023, Conte, Rv. 284868).
Ha inoltre giustificato sia il giudizio di mera equivalenza delle concesse attenuanti ex art. 62-bis cod. pen. e di quella del risarcimento del danno alla recidiva (per COGNOME ritenuta nelle forme di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen. e, quindi, già di per sé, ostativa alla invocata prevalenza rispetto alle generiche) sia l’entità della riduzione della pena operata ai sensi dell’art. 56 cod. pen. valorizzando, al riguardo – in linea con gli specifici indici previsti dall’art. cod. pen. – lo stadio assai avanzato del tentativo (al limite della vera e propria consumazione del reato) e il “peso specifico” dei precedenti penali della stessa indole di cui gli imputati erano attinti che delineavano una significativa proclività a delinquere.
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il giorno 03/12/2024