Rapina Impropria: Quando la Violenza Dopo il Furto Cambia Tutto
La distinzione tra furto e rapina è spesso chiara nell’immaginario comune: il primo è un atto di sottrazione furtiva, la seconda implica violenza. Tuttavia, esiste una figura di reato, la rapina impropria, che si colloca in una zona grigia e che è stata oggetto di una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Questa pronuncia chiarisce un aspetto fondamentale: la violenza o la minaccia non devono essere necessariamente contestuali alla sottrazione del bene per trasformare un furto in rapina.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine da un episodio criminoso ben preciso. Un individuo sottraeva un marsupio contenente del denaro a un’altra persona. Subito dopo il furto, la vittima si lanciava all’inseguimento del ladro. Ne scaturiva una colluttazione, durante la quale il fuggitivo, al fine di garantirsi la fuga e il possesso del denaro, minacciava la vittima con un coltello. Successivamente, l’autore del fatto veniva rintracciato dalle forze dell’ordine, nascosto sotto un veicolo, ancora in possesso della refurtiva.
Nei primi due gradi di giudizio, la sua condotta veniva qualificata come rapina impropria. L’imputato, tuttavia, presentava ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici avessero errato nella qualificazione giuridica, poiché la violenza non era stata usata per compiere la sottrazione, ma solo in un momento successivo.
La Qualificazione del Reato di Rapina Impropria
Il cuore della questione legale risiede nell’interpretazione del requisito dell'”immediatezza” previsto dall’articolo 628, secondo comma, del codice penale, che definisce la rapina impropria. La norma punisce chi, subito dopo la sottrazione di un bene, usa violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l’impunità.
La difesa sosteneva che l’intervallo di tempo tra il furto e la minaccia con il coltello, interrotto da un inseguimento e una colluttazione, spezzasse il legame di immediatezza richiesto dalla legge. Secondo questa tesi, si sarebbero dovuti configurare due reati distinti: un furto e, successivamente, una minaccia o violenza privata.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, rigettando completamente la tesi difensiva. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza: il concetto di “immediatezza” non va interpretato in senso letterale e restrittivo, come se la violenza dovesse seguire la sottrazione senza alcun intervallo di tempo.
Al contrario, per la configurazione della rapina impropria, è sufficiente che tra la sottrazione e la successiva azione violenta o minacciosa intercorra un arco temporale tale da non interrompere l'”unitarietà dell’azione”. In altre parole, la violenza deve essere funzionalmente collegata al furto, rappresentandone un completamento finalizzato a due scopi alternativi: consolidare il possesso del bottino o garantirsi la fuga.
Nel caso esaminato, la minaccia con il coltello, avvenuta durante la fuga e la colluttazione con la parte offesa, era chiaramente volta a impedire alla vittima di recuperare il maltolto e ad assicurare all’autore del reato l’impunità. Pertanto, la Corte ha concluso che l’intera sequenza di eventi – sottrazione, inseguimento, colluttazione e minaccia – costituisce un’unica azione criminosa, correttamente qualificata come rapina impropria.
Conclusioni
Questa ordinanza rafforza un’interpretazione funzionale e non meramente cronologica della rapina impropria. La lezione pratica per cittadini e operatori del diritto è chiara: la violenza esercitata da un ladro in fuga per non essere catturato o per tenersi la refurtiva trasforma inesorabilmente il reato da furto a rapina, con un conseguente e significativo aggravamento della pena. Non è necessario che la minaccia avvenga nello stesso istante o luogo del furto; ciò che conta è il legame finalistico che unisce i due momenti in un’unica condotta delittuosa.
Quando un furto si trasforma in rapina impropria?
Un furto si trasforma in rapina impropria quando l’autore, subito dopo la sottrazione del bene, usa violenza o minaccia contro una persona per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa rubata o per garantirsi la fuga e l’impunità.
La violenza nella rapina impropria deve essere immediata e avvenire nello stesso luogo del furto?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che il requisito dell'”immediatezza” non richiede una stretta contestualità temporale e spaziale. È sufficiente che tra la sottrazione e la violenza intercorra un arco di tempo che mantenga l’unitarietà dell’azione, ovvero che la violenza sia funzionalmente collegata al furto per garantirne il profitto o l’impunità.
Cosa ha deciso la Corte nel caso specifico di minaccia con un coltello durante la fuga?
La Corte ha stabilito che la minaccia perpetrata con un coltello nei confronti della vittima, avvenuta dopo un inseguimento e una colluttazione seguiti al furto, integra pienamente il reato di rapina impropria. Questo perché tale azione era finalizzata a impedire il recupero della refurtiva e ad assicurare la fuga dell’autore del reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6387 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6387 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato a Catania il 27/12/1990
avverso la sentenza del 23/01/2024 della Corte d’appello di Catania
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che l’unico motivo di ricorso, con cui si contesta la violazione di legge per avere i giudici di merito erroneamente qualificato il fatto ascritto all’odierno ricorrente come reato di rapina impropria, è manifestamente infondato, in quanto, in base alla ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito (in particolare, si veda la chiara descrizione della vicenda criminosa effettuata dal giudice di prime cure) e non rivisitabile in sede di legittimità, la condotta del Patanè è stata correttamente sussunta nella fattispecie di cui all’art. 628, comma secondo, cod. pen., conformemente al principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 7, n. 34056 del 29/05/2018, COGNOME, Rv. 273617 – 01; Sez. 2, n. 40421 del 26/6/2012, COGNOME, Rv. 254171 – 01; Sez. 2, n. 43764 del 4/10/2013, COGNOME, Rv. 257310), secondo cui il requisito della immediatezza della violenza o della minaccia non va interpretato letteralmente nel senso che la violenza o la minaccia debbono seguire la sottrazione senza alcun intervallo di tempo, poiché nella rapina impropria la violenza o la minaccia possono realizzarsi
anche in luogo diverso da quello della sottrazione della cosa e in pregiudizio di persona diversa dal derubato, sicché, per la configurazione del reato, non è richiesta la contestualità temporale tra sottrazione e uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere Inunitarietà dell’azione volta a impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l’impunità (cfr., pag. 4 della sentenza impugnata, in cui la Corte d’appello ha chiarito che la minaccia perpetrata con un coltello da parte del ricorrente nei confronti della persona offesa è avvenuta in un momento cronologicamente successivo alla sottrazione del marsupio contenente denaro e, in particolare, quando, dopo un inseguimento, si è instaurata una colluttazione tra i due, conclusasi con la fuga del ricorrente, il quale è stato poi successivamente ritrovato nascosto sotto un veicolo e in possesso del denaro sottratto);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2025.