Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26449 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26449 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il 25/01/1992
avverso l’ordinanza del 20/01/2025 del GIP TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
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RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME avanzava istanza volta alla rideterminazione della pena inflittagli, in relazione al capo A) (rapina), con sentenza emessa dal G.U.P. del Tribunale di Roma in data 27 gennaio 2018, divenuta irrevocabile in data 23 settembre 2023.
Il giudice della cognizione aveva condannato, con rito abbreviato, l’imputato per i reati di rapina impropria e lesioni personali aggravate, unificat dalla continuazione, alla pena complessiva di due anni, due mesi di reclusione e 500,00 euro di multa.
L’istanza si fondava sulla sentenza n. 86/2024, con la quale la Corte costituzionale:
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità;
ha dichiarato, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, primo comma, cod. pen. nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
Con l’ordinanza in epigrafe, il G.I.P. del Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza, escludendo la ravvisabilità, nella specie, dell’invocata attenuante, in quanto l’imputato, nel commettere la rapina ascrittagli, aveva causato alla persona offesa lesioni giudicate guaribili in cinque giorni.
Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore, deducendo, con due motivi, inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 628 cod. pen. e vizio di motivazione.
Il difensore del ricorrente contesta, come contrastante con il dictum del Giudice delle leggi, che il giudice a quo si sia limitato, nella sua decisione, a valutare solo il profilo della violenza, senza considerare la tenuità del danno arrecato, avendo riguardato la rapina “penne, quaderni e altri oggetti”.
D’altro canto, anche in relazione al profilo della violenza, il giudice dell’esecuzione non avrebbe considerato che le lesioni provocate dall’agente, costituite da “presenza di graffi coscia sx causati da calci e gonfiore mano dx e la
dolore spalla destra” erano state giudicate guaribili in cinque giorni, sicché andavano qualificate come “lievissime”.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Il difensore del ricorrente ha fatto pervenire memoria adesiva alle conclusioni del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni che seguono.
2. Giova premettere che, nella motivazione della sentenza 13 maggio 2024, n. 86, il cui dispositivo è stato, prima, integralmente riportato nella parte in fat la Corte costituzionale, nell’affasciare, in una considerazione unitaria ai fin d’interesse, i reati di rapina e di estorsione, ha fornito indicazioni esplicite su indicatori sintomatici della “lieve entità del fatto”, mutuandoli dalla sentenza n 120 del 15 giugno 2023, con cui era pervenuta ad analoga declaratoria di illegittimità in relazione al delitto di cui all’art. 629 cod. pen.
Vale la pena di riportarne i passaggi più significativi.
«5.5.- Per costante giurisprudenza di legittimità, la rapina si distingue dall’estorsione poiché nell’una la persona offesa subisce una violenza o minaccia «diretta e ineludibile», mentre nell’altra non vi è questo «totale annullamento della capacità del soggetto passivo di determinarsi diversamente dalla volontà dell’agente» (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenze 15 febbraio-17 maggio 2023, n. 21078, e 15 settembre-28 ottobre 2021, n. 38830).
In linea teorica, questo discrimine potrebbe segnalare una maggiore gravità della rapina, quale coazione assoluta (vis absoluta), rispetto all’estorsione, quale coazione relativa (vis compulsiva), il che potrebbe apparire ostativo all’estensione della sentenza n. 120 del 2023.
Tuttavia, è lo stesso legislatore che, parificando i minimi edittali, dimostra di considerare i due titoli di reato omogenei quanto all’offensività astratta sull’implicito presupposto che la libertà morale debba essere protetta non meno che la libertà fisica.
5.6.- Con la sentenza n. 141 del 2023, questa Corte, pronunciandosi su una fattispecie concreta di incerta sussunzione tra i paradigmi della rapina o dell’estorsione, ha condotto per i due titoli di reato un discorso unitario, in tema di bilanciamento tra circostanze, avuto riguardo al comune elevato minimo edittale di pena detentiva e alla pari latitudine dello schema legale.
L’ampiezza della descrizione tipica dei delitti in parola, si è osservato, «fa sì che essi si prestino ad abbracciare anche condotte di modesto disvalore: non solo con riferimento all’entità del danno patrimoniale cagionato alla vittima, che può anche ammontare (come nel caso oggetto del giudizio a quo) a pochi euro»; «ma anche con riferimento alle modalità della condotta, che può esaurirsi in forme minimali di violenza» (come, nel caso di specie, una lieve spinta), ovvero «nella mera prospettazione verbale di un male ingiusto, senza uso di armi o di altro mezzo di coazione, che tuttavia già integra la modalità alternativa di condotta costituita dalla minaccia».
E ancora, ha affermato questa Corte nella citata sentenza, «nche rispetto a simili fatti, la disciplina vigente impone una pena minima di cinque anni di reclusione: una pena che risulterebbe, però, manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità oggettiva dei fatti medesimi – anche in rapporto alle pene previste per la generalità dei reati contro la persona -, se l’ordinamento non prevedesse meccanismi per attenuare la risposta sanzionatoria nei casi meno gravi».
La considerazione unitaria dei delitti di rapina e di estorsione deve essere tenuta ferma anche nella definizione della questione odierna, agli effetti dell’estensione della sentenza n. 120 del 2023, giacché l’addizione dell’attenuante della lieve entità del fatto riguarda essa pure quell’elevato comune minimo edittale, alla cui notevole entità viene applicata una, costituzionalmente necessaria, “valvola di sicurezza”.
5.9. Mette conto ribadire quanto già osservato nella sentenza n. 120 del 2023 a proposito dell’estorsione, cioè che gli indici dell’attenuante di lieve entità del fatto – estemporaneità della condotta, scarsità dell’offesa personale alla vittima, esiguità del valore sottratto, assenza di profili organizzativi – garantiscon che la riduzione della pena «sia riservata alle ipotesi di lesività davvero minima, per una condotta che pur sempre incide sulla libertà di autodeterminazione della persona» (punto 7.9. del Considerato in diritto)».
La riduzione di pena, conseguente all’applicazione dell’attenuante de qua, va, dunque, riservata “alle ipotesi di lesività davvero minima”, riconoscibili, secondo il Giudice delle leggi, in base agli indicatori della estemporaneità della condotta – connotata, quindi, dall’assenza di profili organizzativi – della “scarsità dell’offesa personale (ad esempio, come affermato al par. 5.6., a proposito di una “lieve spinta” quale forma “minimale” di violenza) e della “esiguità” del valore sottratto.
3. Nell’elaborazione della giurisprudenza di legittimità sviluppatasi in materia dopo la sentenza Corte cost. n. 120 del 2023, pronunciata – come detto – con riferimento al delitto di estorsione, si è affermato che l’attenuante della liev
entità postula una valutazione del fatto nel suo complesso, sicché non è configurabile se essa difetti con riguardo all’evento in sé considerato o con riguardo alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità e alle circostanze della condotta ovvero, ancora, in relazione all’entità del danno o del pericolo conseguente al reato (Sez. 2, n. 9820 del 26/01/2024, COGNOME, Rv. 286092 – 01: in applicazione del principio, la Corte ha giudicato immune da censure la decisione che aveva escluso tale attenuante sul rilievo che l’imputato era recidivo e la vittima era ottantenne).
Negli stessi termini, quanto all’applicazione della medesima attenuante nel caso di rapina, si è espressa Sez. 2, n. 47610 del 22/10/2024, L., Rv. 287350 – 01 (fattispecie in cui la Corte di cassazione ha escluso la sussistenza dell’attenuante in relazione a due rapine di apparecchi cellulari, perpetrate recando provocando lesioni alla persona offesa e in un contesto di atti persecutori).
Ciò premesso, va detto che il condannato per il delitto di rapina all’esito di giudizio definito prima che, con la sentenza n. 86 del 2024, la Corte costituzionale dichiarasse illegittimo l’art. 628 cod. pen., nella parte in cui n prevede la possibilità di diminuire la pena in caso di lieve entità del fatto, pu chiedere al giudice dell’esecuzione di riconoscere la circostanza attenuante rideterminando il trattamento sanzionatorio, salvo che si versi in un caso di rapporto esaurito (Sez. 1, n. 9599 del 13/02/2025, COGNOME, Rv. 287685 – 01).
Correttamente, pertanto, nel caso in esame, è stato investito della richiesta di rideterminazione della pena – in prospettata applicazione degli effetti derivanti dalla menzionata pronuncia della Corte costituzionale – il giudice dell’esecuzione, con riferimento alla sentenza emessa dal G.U.P. del Tribunale di Roma in data 27 gennaio 2018, divenuta irrevocabile in data 23 settembre 2023.
Venendo ai poteri del giudice dell’esecuzione in un incidente come quello al vaglio, va tenuto presente che, per l’analoga fattispecie della dichiarazione di illegittimità dell’art. 630 cod. pen. a causa della mancata previsione della lieve entità del fatto, la Corte di cassazione ha enunciato il principio di diritto per cui tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, il condannato con sentenza divenuta irrevocabile prima della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’ar 630 cod. pen., nella parte in cui non prevedeva l’attenuante della lieve entità del fatto (Corte cost., sent. 19 marzo 2012, n. 68), può richiedere, con incidente di esecuzione, l’applicazione della predetta attenuante al fine di rideterminare il trattamento sanzionatorio, ed il giudice adito “in executivis” è tenuto a compiere una valutazione circa la sussistenza della circostanza nei limiti consentiti dalla decisione di merito, ovvero sulla base delle risultanze acquisite e degli apprezzamenti operati, in base ad esse, nel giudizio di cognizione» (Sez. 1, n. 5973 del 04/12/2014, dep. 2015, COGNOME Rv. 262270 – 01, richiamata, di recente,
da Sez. 1, n. 6225 del 30/10/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287557 – 01, in motivazione).
Si tratterebbe dell’applicazione del principio generale secondo cui «quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, e quest’ultimo non è stato interamente eseguito, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato pur se il provvedimento “correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali, o comunque derivanti dai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo, che inibiscono l’applicazione di norme più favorevoli eventualmente “medio tempore” approvate dal legislatore» (Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260697 – 01; tra le sezioni semplici successive, v. Sez. 6, n. 27403 del 10/06/2016, COGNOME, Rv. 267365 – 01).
Nell’operazione di rideterminazione della pena, il giudice, si è detto, deve operare discrezionalmente e considerare i parametri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., tenendo conto degli elementi fattuali accertati nel giudizio di cognizione e coperti dal giudicato definitivo.
6. Il giudice dell’esecuzione, nel caso di specie, si è attenuto alle coordinate ermeneutiche costituzionali e di legittimità, pervenendo ad escludere, in base alle evidenze del giudizio di cognizione, la circostanza attenuante della lieve entità valorizzando, in modo dirimente e non manifestamente illogico, seppure stringato, la circostanza che l’azione violenta posta in essere dall’allora imputato ebbe a provocare alla vittima lesioni con prognosi di cinque giorni; circostanza, quella dell’aver provocato lesioni, che la Corte di cassazione ha già reputato sufficiente ad escludere l’applicabilità dell’attenuante in parola (Sez. 2, n. 47610 del 2024, cit.), in sintonia, del resto, con quanto affermato dalla Corte costituzionale a proposito del carattere “minimale” che deve ineludibilmente connotare la violenza (ad esempio, una lieve spinta) per poter essere compatibile con la lieve entità del fatto.
7. A fronte dell’adeguato costrutto argomentativo che sostiene la decisione impugnata, il ricorso oppone censure manifestamente infondate in diritto, sia nella parte in cui si assume che il giudice dell’esecuzione avrebbe “tradito” il senso della sentenza n. 86/2024 della Corte costituzionale, sia nella parte in cui, muovendo dall’idea errata che si possa operare, direttamente in sede esecutiva, la valutazione della lieve entità, il ricorrente mostra di voler riferire quest’ultima al “danno” non, come dev’essere, per quanto detto, al “fatto”, complessivamente inteso.
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Sotto quest’ultimo profilo, non può non osservarsi che lo stesso giudice della cognizione aveva già fornito indicatori atti ad escludere, anche
ex post, la
lieve entità del fatto, in quanto, pur avendo applicato la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4), cod. pen. (danno patrimoniale di speciale tenuità in relazione
al valore degli oggetti sottratti), aveva riconosciuto la gravità complessiva dell’episodio, desumendola dall’essere stata commessa la rapina in pieno giorno
in un esercizio commerciale regolarmente aperto al pubblico e dall’avere l’imputato cagionato lesioni (v. sentenza n. 9002/2022 della Corte di appello di Roma versata
in atti).
Il provvedimento impugnato si correla, dunque, in modo coerente con le valutazioni già espresse nel giudizio di cognizione.
8.
Per le esposte ragioni il ricorso va, in conclusione, dichiarato inammissibile, dal che discende la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, non esulando profili di colpa (Corte Cost. n. 186 del 2000), al versamento di una somma ulteriore in favore della Cassa delle ammende, che si
stima equo fissare in euro tremila.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Il PrRsidente