Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23818 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23818 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Barletta il 5/1/1984
avverso l’ordinanza del Tribunale di Trani del 25/11/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 25.11.2024, il Tribunale di Trani ha provveduto, in funzione di giudice dell’esecuzione, su una richiesta di rideterminazione della pena inflitta a COGNOME Luigi con sentenza del Tribunale di Trani del 4.11.2019 (confermata dalla Corte d’Appello di Bari il 9.3.2021, irrevocabile il 15.11.2022), che lo aveva condannato per il reato di rapina aggravata, commesso il 12.5.2015, alla pena di due anni di reclusione e 400 euro di multa.
La richiesta ha richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 2024, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, comma primo, cod. pen., nella parte in cui non prevede la diminuzione della pena per il fatto di lieve entità.
Il giudice dell’esecuzione ha rigettato l’istanza, in quanto, nonostante sia stata riconosciuta in cognizione la circostanza attenuante del danno patrimoniale di particolare tenuità, il fatto complessivo non è qualificabile di lieve entità, avendo COGNOME posto in essere il fatto con un complice e svolto il compito di ‘palo’ mentre l’altro usava violenza e minaccia nei confronti della vittima, titolare di un panificio.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di Cafagna, articolando un unico motivo, con cui deduce l’erronea applicazione degli artt. 311 e 628 cod. pen. nonché l’omessa e/o illogica motivazione.
La sentenza di condanna di primo grado aveva espressamente motivato, nella determinazione del trattamento sanzionatorio, la concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva, ‘in considerazione della non particolare gravità del fatto’. Pertanto, i giudici dell’esecuzione hanno compiuto una valutazione incidentale disancorata dalla cosa giudicata.
L’ordinanza tradisce la ratio della sentenza della Corte costituzionale, quella di calibrare la pena prevista per la rapina rispetto alle condotte non particolarmente gravi senza l’inflizione di una pena sproporzionata.
Con requisitoria scritta trasmessa il 26.2.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, in quanto il Tribunale, alla luce dei principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale, ha offerto una idonea motivazione, posto che, anche in presenza dell’attenuante del danno patrimoniale di particolare tenuità, il solo modesto valore della somma sottratta non può essere valorizzato per ricondurre il fatto-reato al nuovo paradigma della lieve entità, in base alla complessiva valutazione del fatto ed in particolare della complessiva condotta del condannato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è da considerarsi infondato.
L’unico motivo si fonda sull’argomento che in sede di cognizione il giudice abbia applicato la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4), cod. pen. e le
circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva contestata, definendo il fatto di ‘non particolare gravità’.
Da tanto, si fa derivare la censura di motivazione apodittica dell’ordinanza nella parte in cui, ritenendo insussistente l’attenuante invocata, non ha sostanzialmente valutato gli indici di lieve entità del fatto come individuati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 2024.
2. I due concetti in questione, tuttavia, non sono pienamente sovrapponibili.
Nel caso di specie, l a valutazione di ‘non particolare gravità’ del fatto è stata operata dal giudice della cognizione in relazione alla commisurazione della pena da infliggere in concreto e, dunque, con specifico riferimento al criterio di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen.
In particolare, la concessione delle attenuanti generiche è la risultante del riconoscimento di elementi circostanziali – nell’ambito della previsione dell’art. 133 cod. pen. – che, anche in relazione a fatti reato di non particolare gravità, possono giustificare una ulteriore riduzione della pena rispetto alla misura che si dovrebbe infliggere alla stregua degli ordinari canoni di valutazione della fattispecie, ma non implica necessariamente un giudizio di lievità del fatto reato.
La ‘lieve entità’, invece, postula una valutazione del fatto nel suo complesso e deve investire tutti gli elementi integrativi del reato, i quali, in sé considerati, possono essere espressione di non particolare gravità del reato, ma non anche, al tempo stesso, talmente trascurabili da integrare un fatto qualificabile come di lieve entità.
D’altra parte, sebbene i criteri previsti dall’art. 62, n. 4 cod. pen. siano in parte sovrapponibili a quelli, come si vedrà infra, da considerare ai fini della circostanza attenuante invocata dal ricorrente (secondo la puntualizzazione di Sez. 2, n. 45792 del 04/12/2024, Cizmic, Rv. 287359 -01, infatti, mentre per ritenere sussistente l’attenuante di matrice costituzionale è necessario valutare «la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità», in modo del tutto sincrono, per concedere l ‘attenuante codicistica occorre valutare il «danno patrimoniale di speciale tenuità», ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, «il lucro di speciale tenuità», sempre che «l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità»), essi possono non condurre al concorso delle due circostanze.
La ratio della previsione della ipotesi attenuata di ‘lieve entità’ della rapina è ben chiarita nella sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 2024, la quale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 628 cod. pen. nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita quando il fatto risulti di
lieve entità, ha fatto riferimento al carattere multiforme degli elementi costitutivi «violenza o minaccia», «profitto», «danno», per affermare che il reato può essere consumato anche ‘ tramite condotte occasionali, di minimo impatto personale ‘ , e ‘ tali da recare alla vittima un pregiudizio esiguo ‘ .
Dunque, la ipotesi della lieve entità del fatto è tendenzialmente circoscritta alle sole condotte materiali di modesta portata e di disvalore minimo.
Alla luce di queste coordinate, si deve ritenere che la descrizione delle modalità di esecuzione del reato contenuta nell’ordinanza impugnata renda sufficientemente ragione della non inquadrabilità del fatto nel paradigma della ‘lieve entità’.
Intanto, la rapina è stata commessa da COGNOME in concorso con un altro soggetto: ora, la realizzazione del reato da parte di più persone può razionalmente essere inteso come indice di non marginale gravità del fatto e di maggiore pericolosità dei soggetti, in quanto segno di previa organizzazione e di convergenza di intenti delinquenziali verso un fine illecito.
In secondo luogo, il fatto è stato commesso all’interno di un esercizio commerciale ai danni del suo titolare: sicché, al di là del limitato profitto economico conseguito dagli agenti, occorre considerare i più complessivi effetti dannosi dell’azione , attesa la natura plurioffensiva del delitto di rapina, che lede, oltre al patrimonio, anche la libertà e l’integrità fisica e morale del soggetto aggredito per la realizzazione del profitto (Sez. U, n. 42124 del 27/6/2024, Nafi, Rv. 287095 02).
Dunque, la valutazione della eventuale ‘lieve entità’ del fatto nella prospettiva di stabilire se la condotta sia di ‘minimo impatto personale’ deve tenere conto complessivamente dei pregiudizi arrecati a entrambi i beni tutelati: e, in questa ottica, non sono stati rappresentati elementi per ritenere a priori che la spoliazione di carattere intimidatorio subita, ad opera di due persone, da un commerciante mentre lavora nel proprio negozio costituisca una irrisoria lesione della sua libertà di determinazione, anche economica, e della sua integrità morale.
Infine, la contestazione della recidiva specifica nei confronti di COGNOME nemmeno consente di ritenere la sua condotta ‘occasionale’, non avendo il giudice della cognizione escluso la detta aggravante ma anzi avendone ritenuta la sussistenza, sia pure nell’ambito di un giudizio di subvalenza rispetto alle attenuanti, e così tuttavia riconoscendo una sua spiccata proclività a delinquere nel settore dei delitti contro il patrimonio (cfr. Sez. 2, n. 9820 del 26/1/2024, COGNOME, Rv. 286092 -01).
Il ricorso, in definitiva, non arriva ad invalidare la valutazione compiuta dal giudice dell’esecuzione nell’ordinanza impugnata e per contrastarla fa riferimento
soltanto alla valutazione operata dal giudice della cognizione in ordine al non del tutto coincidente aspetto della gravità del fatto, preso in considerazione nel peculiare ambito del trattamento sanzionatorio.
Si tratta di valutazioni non completamente convergenti, se solo si considera che la motivazione della sentenza di cognizione va valutata in riferimento al quadro normativo vigente al momento della decisione di merito: l’apprezzamento di ‘non particolare gravità’ era funzionale essenzialmente alla concessione delle attenuanti generiche ai fini dell’adeguamento della pena al caso concreto e non può essere valorizzato una seconda volta in relazione al diverso vaglio di complessiva ‘lieve entità’ del fatto , che al tempo del giudizio di cognizione non era normativamente contemplata.
Si intende dire, cioè, che, fermo restando il dovere del giudice dell’esecuzione di considerare la portata della declaratoria d’incostituzionalità, sia pure parziale, di una norma e i suoi effetti rispetto alla pronuncia di cognizione, tale compito va svolto mediante il ricorso ai suoi autonomi poteri valutativi, applicati a profili che non hanno costituito oggetto di specifico accertamento del giudice di merito.
Nel caso di specie, la valutazione del Tribunale di Trani -per le ragioni che sono state sin qui esposte -non è affetta da vizi motivazionali rilevanti in sede di legittimità, sicché il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso l’1.4. 2025